Recensione Figli delle Stelle

Recensione del film diretto da Lucio Pellegrini

Recensione Figli delle Stelle
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Da Il cielo in una stanza (1999) di Carlo Vanzina a Mio fratello è figlio unico (2007) di Daniele Luchetti, passando per Ricordati di me (2003) di Gabriele Muccino e Notte prima degli esami (2006) di Fausto Brizzi, non pochi sono stati i prodotti cinematografici italiani che hanno preso il proprio titolo "in prestito" da un successo musicale del bel paese.
Non fa eccezione questo Figli delle stelle, quarto lungometraggio cinematografico diretto dal regista originario di Asti Lucio Pellegrini, il cui titolo deriva dalla famosissima canzone di Alan Sorrenti, a suo modo già fonte d'ispirazione per Figlio delle stelle (1979), uno dei primi lavori del succitato Vanzina.
Però, mentre nella pellicola diretta dal figlio di Steno avevamo come protagonista proprio il cantante napoletano, qui si parte da cinque diversi individui delusi dalla loro vita e in preda alla passione antipolitica: il precario "cronico" Pepe (Pierfrancesco Favino), l'aspirante giornalista televisiva Marilù (Claudia Pandolfi), Ramon (Paolo Sassanelli), appena uscito di prigione, il ricercatore un po' stagionato Bauer (Giuseppe Battiston) e il giovane portuale di Marghera Toni (Fabio Volo). Tutti insieme, decisi a risarcire la moglie di una vittima di un incidente sul lavoro, organizzano il rapimento di un politico per poter poi chiedere un riscatto, ma, maldestramente, finiscono per trovarsi tra le mani l'oscuro sottosegretario Stella (Giorgio Tirabassi).

I soliti “soliti ignoti”

Quindi, cinque diversi individui che, decisamente vintage (non fanno uso di internet e possiedono solo pochi cellulari di vecchio tipo) e accomunati soltanto dall'alto tasso di frustrazione e dalla precisa vocazione alla sconfitta, non faticano a rivelarsi ben presto incompetenti nel portare avanti quella che possiamo tranquillamente definire una missione impossibile, destinata a condurli fino in mezzo alle montagne della Valle d'Aosta, sempre più consapevoli di aver rapito una brava persona.
E Pellegrini, che sfrutta anche un flashback, poco dopo il rapimento, per mostrarci cosa è accaduto due settimane prima del colpo gobbo, s'ispira in parte alla comicità surreale dei fratelli Coen, tenendo però in considerazione soprattutto la Commedia all'italiana, dalla quale dichiara di aver rubato i magnifici perdenti di Mario Monicelli, lo sguardo dolceamaro di Antonio Pietrangeli e la frenesia e la vitalità di Pietro Germi.
Infatti, mentre il mai disprezzabile Favino sfoggia oltretutto un accento burino alla Nino Manfredi, riuscendo a strappare anche qualche risata allo spettatore, è impossibile non pensare a I soliti ignoti (1958) quale principale modello di riferimento o a La banda degli onesti (1956) di Camillo Mastrocinque, in particolar modo nella sequenza in cui abbiamo banconote appese con le mollette come se fossero panni bagnati.
Ma, nonostante la consueta immensità di Battiston e un breve intervento del sottovalutato Pietro"Cemento armato"Ragusa, i circa 102 minuti di visione non impiegano molto tempo a rivelarsi fiacchi e confusi, tanto da non permettere allo spettatore di capire a dovere alcuni passaggi della sceneggiatura.
Con la risultante di un'operazione che non racconta nulla di nuovo e che, tentando di apparire più impegnata di quello che effettivamente è tirando in ballo il solito paragone tra gli stipendi dei politici e quelli degli operai, ci spinge soltanto a chiederci quando mai verrà realizzato un film che denunci il dislivello tra le paghe dei "lavoratori umili" e quelle di attori e registi italiani, spesso responsabili di obbrobri di celluloide che non meritano affatto il biglietto. Anche se Figli delle stelle non è propriamente da catalogare tra questi.

Figli delle Stelle Per il suo quarto lungometraggio cinematografico, dopo E allora mambo! (1999), Tandem (2000) e Ora o mai più (2003), il piemontese Lucio Pellegrini ricorre ad una sceneggiatura scritta insieme a Francesco Cenni e Michele Pellegrini che parte da un’idea fortemente debitrice nei confronti del monicelliano I soliti ignoti (1958). Nonostante a tratti si rida e la prova di alcuni degli attori sia apprezzabile, l’insieme si rivela ben presto fiacco e confuso. Quindi, poco consigliabile.

5.5

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