Un Fantasma in Casa Recensione: la comedy horror non spaventa e non diverte

La commedia targata Netflix con la coppia David Harbour e Anthony Meckie avrà le carte in regola per convincere?

Un Fantasma in Casa Recensione: la comedy horror non spaventa e non diverte
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C'è una definizione interessante avanzata dai Surrealisti che vuole la Settima Arte simile a un'esperienza mistica, un cortocircuito a occhi aperti tra il sogno e la veglia. E non vi è allora storia migliore dell'incontro paranormale tra il mondo dei vivi e quello dei morti per esprimere al meglio quella natura dicotomica dell'essenza cinematografica: traghettati lungo un Acheronte fatto di performance e immagini in movimento, gli spettatori offrono in dono a una proiezione di luci, il proprio giacimento aureo di emozioni represse, e ricordi rimossi. Ma quel momento di incontro tra vita in sala e di "morte al lavoro" sullo schermo si troverà ben presto chiamato a scegliere tra due vie: o quella dello spettacolo onirico, fiabesco e divertente, oppure quella del racconto traumatico, catartico e doloroso. Proprio come pauroso, o gioioso, può essere un film sull'incontro tra il mondo dei vivi e quello dei fantasmi.

Un fantasma in casa, diretto da Christopher Landon per Netflix, e interpretato tra gli altri da David Harbour, Anthony Mackie e Jennifer Coolidge (sprecata in un cameo del tutto futile all'economia del racconto) non rientra né nel primo, né nel secondo caso. È un ibrido dal contenuto vuoto, dipinto da colori sgargianti e assemblato da materiali di recupero che lo rendono ripetitivo, poco originale e alquanto respingente, sopratutto nella resa visiva di quello spettro fantasmatico che altri non è che il punto focale di tutta l'intera narrazione.

La paura di essere se stessi

Vuole essere tante cose l'opera targata Netflix. Vuole essere commedia, vuole essere film d'azione con sfumature da dramma famigliare; vuole essere opera sarcastica e irriverente, attaccando la potenza di un universo come quello dei social, capace di rendere famoso anche un fantasma.

Ma un po' come Balto, Un fantasma in casa sa solo quello che non è: una storia ben amalgamata, capace di divertire e allo stesso tempo intrattenere. In essa sussiste un'anima fantasmatica, un cuore di uno spettro che vive all'ombra di film già visti, vite già vissute, esistenze di un'altra epoca, ora vittima dello scorrere del tempo. È tutta una copia di mille riassunti in formato cinematografico, Un fantasma in casa. C'è l'apparato paranormale qui ripiegato su una comicità a tratti demenziale e fin troppo senza pretese del più tipico Buddy movie di stampo comico-americano. Ci sono le relazioni tra padre e figlio tutte da arginare e ricostruire; c'è la coppia di giovani vicini complici e innamorati; c'è l'incontro con un freak, un essere diverso, un nuovo King Kong dalla natura evanescente non più da emarginare ma capire, comprendere, aiutare. Insomma, Un fantasma in casa è un misto di ingredienti presi in prestito da altri scaffali (Casper, Beetlejuice, La casa dei fantasmi) e poi rimescolati senza l'utilizzo di quel giusto collante capace di amalgamarli insieme. Il risultato è una ricetta mal riuscita di un dolce che non lascia alcun sapore gradevole al palato, ma si appiccica ai denti, infastidendo la masticazione.

Toppe bucate per lacune incolmabili

Ci prova Christopher Landon ad aggiornare il costrutto narrativo, inserendovi le condivisioni di TikTok e i like di YouTube; eppure, Un fantasma in casa appare come un collage di tante istantanee raccordate con pezzi di scotch usurato e per questo poco incollante. Sebbene l'apparato narrativo ripieghi sullo scorrere di battute deboli, forzate, e su eventi alquanto prevedibili, il comparto visivo e interpretativo tenta in un qualche modo di colmare le varie lacune. Un rattoppo generale offerto da movimenti di macchina che di rado osano, limitandosi a sorreggere una portata narrativa sfilacciata e superata. Interessante invece il montaggio, l'unico aspetto capace di ridare un senso di dinamicità a un elettrocardiogramma ormai piatto.

Dal canto suo David Harbour ci prova a calarsi totalmente nel proprio personaggio, risultando però fin troppo caricato. A poco servono gli sguardi colmi di tenerezza; il suo Ernest è un fantasma-macchietta che non brilla e non impaurisce. A salvare il salvabile gioca in campo anche una fotografia cangiante sviluppata su un netto contrasto di colori caldi nei momenti di rafforzamento dei legami tra Ernest e il giovane protagonista, e quelli verdi, dal retaggio spettrale, negli eventi di maggior dinamismo e azione.

Si tratta di un braccio di ferro cromatico funzionale ed espressivo a livello simbolico, perché capace di comunicare - sebbene indirettamente - una galleria intera di sentimenti diversi molto di più di quanto fatto da una sceneggiatura elementare e basica. Ma anche in questo caso, ogni tentativo di creare un senso di tensione crescente appare vano a discapito di un climax che fa capolino di soppiatto, sgonfiando tutta quella possibile portata di pathos nascosta nei meandri di risvolti narrativi prevedibili e citofonati.

La paura fa novanta (condivisioni)

Vi è però un elemento interessante che vive nello spazio di un film alquanto dimenticabile. Un tema che colpisce a livello sociale e psicologico circa un fattore culturale modellato come creta dal potere dei media.

Quella contemporanea è una società iperstimolata dalla luce dello schermo: le nostre menti sono bombardate costantemente dal suono di notifiche sempre accese e da social che giudicano, manipolano, fino a istituire nuovi modelli di comportamento e di pensiero. Un atteggiamento che Un fantasma in casa riesce a denunciare, dimostrando quanto il potere della condivisione e dell'interessamento mediatico sia capace di divinizzare perfino un'idea, una personalità incorporea come un fantasma. Interessante a questo punto la scelta del cognome del protagonista che con quel Presley rimanda a un'altra icona pop del passato, la cui casa era attorniata da folle urlanti di fan in adorazione: Elvis. Un'analogia che avvicina la difficoltà del giovane Kevin di muoversi e scappare, perché ormai divenuto - suo malgrado - una celebrità. E come ogni icona, ogni suo movimento, pensiero, o minima azione è seguita, monitorata, denunciata da orde di curiosi, complici e avversari. Ma ancora una volta, questi ostacoli mediatici si frantumano polverizzandosi, come il corpo di Frank al passaggio degli umani.

Un Fantasma in Casa Il film con protagonisti David Harbour e Anthony Mackie aveva a sua disposizione ogni ingrediente necessario per realizzare un prodotto gustoso e ben fatto, finendo per sbagliare le dosi e cucinando un piatto alquanto indigesto. Il risultato finale è infatti quello di un titolo che vuole essere tante cose, senza trovare una propria identità. Sostenuto da una narrazione barcollante e da una regia impaurita non da fantasmi, ma dall'idea di osare e sperimentare, Un Fantasma in Casa finisce per essere accantonato nella buia soffitta dei film dimenticabili su Netflix. E non ci sarà alcun fantasma a salvarlo dall'oblio.

4.5

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