Recensione Fai bei sogni

Film d'apertura della Quinzaine des Réalisateurs, Fai bei sogni di Marco Bellocchio, ispirato all'omonimo romanzo autobiografico di Massimo Gramellini, è un'ode sul rapporto madre-figlio ma anche una carrellata nostalgica sull'Italia a cavallo dei '70.

Recensione Fai bei sogni
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Nella Torino del 1969, il piccolo Massimo ha solo nove anni. Vive i suoi giorni perso nelle fantasie tipiche della sua età e in maniera quasi simbiotica con la madre, giovane e bella trentottenne piena di vita. Ma una mattina, al risveglio, tutto sarà diverso. Sua madre (gli dirà più tardi il padre), durante la notte e dopo aver sussurrato al piccolo Massimo la consueta frase "Fai bei sogni" ha avuto un infarto fulminante ed è volata in paradiso. Immaginazione e orrore monteranno così nella piccola mente del bambino, costretto da quel momento in poi ad aggrapparsi a qualunque cosa, perfino allo spettro di Belfagor (il fantasma del Louvre che così tante volte aveva visto in TV accoccolato sul divano assieme alla mamma) pur di sopravvivere a quella nuova verità per lui così drammatica. Un bambino senza mamma che ha smarrito nell'arco di una sola notte il suo punto di riferimento, la sua guida, e l'immagine spensierata dell'amore. Eppure, in qualche modo Massimo dovrà farsi coraggio e andare avanti, nonostante tutto. Coltiverà la passione innata per il giornalismo diventando una penna di riferimento presso un'importante testata, andando perfino a Sarajevo come inviato, ma quasi trent'anni dopo (nel 1997) la necessità di vendere la casa dei genitori lo riporterà tra quelle mura, e di peso a quei ricordi dolorosi, costringendolo a fare nuovamente il punto su quella perdita e sul vuoto che la scomparsa della madre aveva lasciato nella propria vita. Sarà poi anche la risposta commissionatagli dal caporedattore del giornale, a una lettera dal contenuto ‘odio mia madre' inviata alla stessa testata, a fornire un'ulteriore occasione di riflessione, momento catartico per accomiatarsi definitivamente dai fantasmi che a oltre quarant'anni ancora gli impediscono di "fare bei sogni".

È nulla il morire. Spaventoso è il non vivere (Hugo - I miserabili)

Con Fai bei sogni, ispirato all'omonimo romanzo autobiografico di Massimo Gramellini, il nostrano Marco Bellocchio apre la più prestigiosa tre la sezioni parallele del festival di Cannes, ovvero la Quinzaine des réalisateurs. Accolto calorosamente alla prima proiezione ufficiale, Fai bei sogni è un film che in un certo senso raccoglie la nostra eredità italiana, inscrivendola in un percorso circolare che prende vita dal legame primigenio, il legame dei legami, ovvero quella che lega una madre al proprio figlio. Una tematica che di recente sembra aver presenziato con una certa frequenza nel nostro cinema (basti pensare al Mia Madre di Moretti o anche al recentissimo La pazza gioia di Virzì - che analogamente ha come uno dei suoi punti nevralgici e narrativi il rapporto madre-figlio). Come se a un certo punto della vita questo confronto diventi quasi fisiologico, e per un regista sia naturale affrontarlo a mezzo cinema. Bellocchio ripercorre dunque il materiale autobiografico di Gramellini, filtrandolo e trasformandolo in una sorta di compendio storico-emotivo di un momento e di una realtà sociale, la nostra Italia a cavallo degli anni ‘70. Nei ricordi di Massimo bambino assieme alla madre infatti sfilano le immagini 'vinta della televisione di quegli anni (La Carrà, Canzonissima, lo stesso Belfagor poi divenuto amico immaginario sul quale fare affidamento). Sottilmente rapsodico specie nella prima parte per via di un montaggio che salta da un'immagine all'altra nell'idea di ricreare l'album dei ricordi, il film di Bellocchio (sceneggiato insieme ad Edoardo Albinati e Valia Santella) acquista peso specifico con l'andare dei minuti, con il passare del tempo, quando l'insieme del materiale seminato dalla pellicola inizia a sedimentare. L'uso scanzonato, quasi irriverente di una musica che irrompe nei momenti chiave a rievocare il tempo storico del racconto si somma poi alla fotografia di Daniele Ciprì restituendo un ritratto realistico e onirico, concreto e a tratti psichedelico di questa storia spiccatamente intimista. L'ode a una madre (alla figura della madre in generale) che attraverso il lutto e l'elaborazione del lutto si compie e si rivela. L'emozione di una lettera ‘banale' e sincera scritta per sancire il valore di un legame e la ricerca di una verità mai scoperta, eppure utile per ricucire la ferita della perdita, della scomparsa. Immagini, momenti, sensazioni, emozioni che in qualche modo Bellocchio fa confluire in questo ritratto a più marce, e che prende vita anche grazie alle interpretazioni partecipate di un ottimo cast (Bérénice Bejo, Fabrizio Gifuni, Guido Caprino, Barbara Ronchi) con una menzione speciale al solito Valerio Mastandrea, capace di regalare controllo, e un pizzico di follia al Massimo adulto.

Fai bei sogni Marco Bellocchio traspone per il cinema Fai bei sogni, ispirato all'omonimo best seller di Massimo Gramellini. Una carrellata di immagini ed emozioni che segnano una riflessione intensa non solo sul rapporto madre-figlio tout court, ma anche sul senso della vita, sul concetto di fede e sull'importanza della ricerca. Imperfetto eppure profondamente emozionale, il Fai bei sogni di Bellocchio trova a sua modo una chiave, un'idea sincera per parlare di trauma e dolore senza cadere nel melò, dando vita invece al racconto lucido di quel percorso che porta alla maturazione di paure e fobie, traumi e ferite, mutando l'ignoto in ragionevole e il bambino in uomo.

7.5

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