Recensione Factory Girl

Ascesa e caduta di una stella...

Recensione Factory Girl
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Può la vita mischiarsi all'arte? Si, se accetta di mercificarsi nel quotidiano, almeno questa è la visione di Andy Warhol. Ma cosa accade quando ad essere oggetto non è un barattolo di zuppa Campbell, ma una volubile ventenne dalle vaghe aspirazioni artistiche?Questo è l'assunto da cui parte l'ultima opera di George Hickenlooper. Edith Sedgwick (Sienna Miller) è l'ultima erede di una famiglia della famosa "nobiltà borghese" americana, dopo aver frequentato con scarso profitto l'Harvard Art School, decide di trasferirsi a New York, per avvicinarsi agli artisti più in voga del momento (siamo nella prima metà degli anni '60). Ad una mostra conoscerà il giovane, ma già affermato, Andy Warhol (Guy Pearce), profeta assoluto della pop - art. Fra i due scoccherà subito la scintilla e la piccola Edie diventerà la musa del grande artista newyorchese che la inizierà sì alle arti figurative ma, come contrappasso, le chiederà qualcosa di molto più importante. In una Factory (oggi lo chiameremmo un, Workshop) rappresentata prima come un piccolo paradiso al riparo dalle mostruosità del mondo reale e poi trasformatasi in un incubo allucinogeno, la giovane scoprirà le droghe chimiche e l'amore saffico, finendo completamente succube del genio megalomane ed egoista di Andy.Ad una festa però, incontrerà la rockstar Billy (Hayden Christensen, chiaramente ispiratosi a Bob Dylan) con cui avrà una breve relazione e la possibilità di liberarsi dalla dipendenza dall'eroina e dalla presenza ingombrante dell'artista. Tuttavia Edie non coglierà l'opportunità scivolando lentamente nel baratro.

Hickenlooper ha scelto un tema difficile, bisogna dargliene atto, cercare di ricostruire per l'ennesima volta gli anni '60 senza scadere nel nostalgico o nel banale era impresa difficile ed effettivamente, nella prima parte del film pare riuscirci piuttosto bene, con una bella combinazione di scenografie, musiche e bravi attori. Peccato però che nel momento culminante (e cioé l'inizio delle dipendenze di Edie e la sua repentina caduta) il regista pare gettare la spugna, buttandosi a pesce nei cliché più classici, con piani sequenza in bianco e nero, atmosfere psichedeliche ed una prevalenza del notturno. Il risultato è un film piuttosto disarticolato in cui gli eventi si succedono non necessariamente con soluzione di continuità dando l'impressione che molte scene siano messe lì solamente come riempitivo, senza una vera funzione narrativa. La vicenda infatti ha un senso più o meno fino alla metà del film, dopo pare sparire lasciando per mezz'ora lo spettatore a vedere Edie che si buca, Edie che scopa, Edie che chiede la carità, senza però contestualizzare il tutto, e trasformando la storia maledetta di Edith Sedgwich in una specie di documentario sugli effetti (nocivi) delle droghe. Grazie ma ci saremmo aspettati qualcosina di più.Anche i personaggi sono poco più che abbozzati, la Miller, vantando, fra l'altro, una straordinaria somiglianza con l'Edith originale, non riesce a sostenere il peso di un carattere così complesso, o meglio, non ce la fa fino alla fine, offrendoci una fotografia, tutto sommato, abbastanza sbiadita della musa di Andy Warhol. Probabilmente la sceneggiatura non ha aiutato, dato che si è preferito privilegiare il lato più pubblico della Sedgwich, anziché approfondire i suoi tormentati rapporti con la famiglia e soprattutto con il padre (che, a quanto pare, ha abusato di lei in giovane età).Buona invece la performance di Pearce che, pur scivolando a volte nella caricatura, ritrae bene l'artista perso nei suoi fantasmi interiori, megalomane, e completamente disinteressato alle persone intorno a lui; anche in questo caso l'aderenza all'iconografia ufficiale è pressoché perfetta, il biancore lunare della pelle, gli occhiali scuri ed i tic propri di Warhol ci sono tutti, rendendo l'interpretazione tutto sommato convincente, salvo i già citati eccessi caricaturali (come nella scena del pranzo con i signori Sedgwitch). Per quanto riguarda Christensen, francamente non riusciamo a capire come faccia ad ottenere parti importanti ad Hollywood, per tutto il film mantiene la stessa espressione sarcastica e lo stesso identico sguardo che aveva Anakin Skywalker durante il duello su Mustafar, non se ne può più, mancava solo la congiuntivite!
Nel complesso non possiamo dunque dire che Factory Girl sia un film completamente riuscito, le leggerezze in fase di sceneggiatura e gli attori mal diretti non sono scusabili, tuttavia la storia della bambina che anziché trasformarsi in donna diventa un oggetto è molto affascinante e in molti saranno rapiti dal retrogusto nostalgico che permea l'intera pellicola. Il nostro consiglio, per mantenere la magia è quello di uscire appena appaiono i titoli di coda, dato che la scelta, pessima, di inserire come sottofondo alle scritte dei brani tratti da interviste ai fratelli di Edie ed a suoi conoscenti, ricordano più un documentario di History Channel che un film.

Factory girl Factory girl, nel complesso si lascia guardare, la storia è intrigante e gli attori ce la mettono tutta per rendere la vicenda, se non credibile, almeno interessante. E questo è sempre un bene. Consigliato per una serata all’insegna della nostalgia per il decennio delle illusioni.

6.5

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