Recensione Espiazione

Quanto può costare caro un errore

Recensione Espiazione
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Questo film parla di tutte quelle cose che crediamo giusto fare ma che, per i più disparati motivi, rischiano di non venire mai portate a compimento. Per paura del giudizio degli altri, di solito: meglio rispettare le convenzioni sociali, meglio non dover affrontare una brutta figura, meglio non scagliarsi contro il potere costituito, specie se di potere economico si tratta. Ma questo film parla anche delle conseguenze che siamo destinati a subire, a seconda di come abbiamo deciso di reagire di fronte all’impellenza di una scelta. Possiamo abbandonarci alla consapevolezza di ciò che è necessario, voltare le spalle a tutto ciò che non lo è e vivere senza rimpianti. Oppure possiamo rinunciare all’opportunità di agire, continuandoci a chiedere, quando ormai sarà troppo tardi, come sarebbero andate le cose, come ci saremmo sentiti, se avessimo avuto più forza al momento opportuno. Finchè ci si trova nel territorio dell’ipotesi, chiunque propenderebbe spavaldo per la prima scelta. C’è da augurarsi che la stessa sicurezza ci guiderebbe nella realtà, perché in caso contrario, come cinicamente insegna questa pellicola, a farne ingiustamente le spese sarebbe anche, e più di noi, chi ha osato essere più coraggioso.

La vicenda prende avvio nell’estate del 1935, in un assolato pomeriggio che vede un’altolocata famiglia inglese attendere il ritorno del primogenito, affaccendata in preparativi: la tredicenne Briony, appassionata scrittrice, ha appena concluso una commedia dedicata al fratello e sta tentando, con scarso successo, di metterla in scena con l’aiuto dei cugini; la matriarca vegeta in camera da letto attanagliata dal mal di testa; la giovane Cecilia ha un battibecco con Robbie, il figlio della governante, reo di averle fatto mandare in frantumi un prezioso vaso. Tutto piuttosto appropriato al luogo e al tempo, tranne il fatto che per Cecilia e Robbie sia ormai impossibile continuare ad ignorare l’attrazione reciproca, tenuta sedata in tutti i modi, da ambo le parti, fino a quel momento. Ma un bigliettino di scuse un po’ sopra le righe, recapitato a Cecilia per sbaglio al posto della versione riveduta e corretta, e per giunta letto dall’attenta quanto fantasiosa Briony, insieme ad una sequela di episodi che ben si adattano allo scenario scabroso che solo una mente tredicenne può produrre, darà il via ad una serie di nefaste conseguenze. Robbie e Cecilia si troveranno così ingiustamente separati: lui in prigione, accusato di un reato non commesso, e successivamente volontario nell’esercito in partenza per la Francia, lei, abbandonata la famiglia per sposare la causa dell’oggetto amato, infermiera volontaria a Londra. E se né il tempo né la lontananza sembrano aver avuto il potere di affievolire il legame di due anime che hanno il diritto di appartenersi, quegli stessi tempo e lontananza sono stati in grado di produrre in Briony la consapevolezza dell’errore, e la volontà di rimediare, almeno in parte, al torto fatto ai propri cari. Anche la piccola di casa, quindi, nonostante le previsioni che la volevano brillante studentessa a Cambridge, deciderà di frequentare la scuola per infermiere e di tentare di ricostruire il rapporto con la sorella.

Non si può che rimanere favorevolmente impressionati dalla bella regia di Joe Wright, che in questo suo ultimo lavoro mette in mostra una padronanza del mezzo e del linguaggio cinematografico non da poco. Curatissimo nelle inquadrature, impreziosite da una ricostruzione di ambienti e costumi impeccabile, stupisce per l’abile e raffinato uso dei flashback, indispensabili a veicolare il concetto, attorno al quale si dipanerà l’intensa sequenza finale, della molteplicità dei punti di vista e quindi della/e realtà, ci regala anche un lungo piano sequenza che merita di essere ricordato, anche in virtù del grande dispendio di uomini e mezzi. Ma se l’aspetto prettamente tecnico della pellicola non può che soddisfare, le riflessioni scatenate dalla visione di questo adattamento dell’omonimo romanzo di Ian McEwan lasciano l’amaro in bocca. Perché l’evolversi della vicenda di Briony non è altro che una parabola sulla debolezza umana. Possiamo scusare la ragazzina che, comunque in parte anche per la propria stessa superbia, finisce per rifugiarsi, sola, nel proprio mondo immaginario, destinato a rimanere inascoltato fino alla decisione di sovrapporlo con la realtà e i suoi abitanti, finalmente assoggettati, in tal modo, alle sue volontà. Ma è difficile essere altrettanto indulgenti con la Briony adulta che, anche di fronte al disvelamento della propria colpa, riuscirà a escogitare soltanto rimedi palliativi, ancora una volta rifugiandosi dietro la maschera dell’ipocrisia, scegliendo deliberatamente sì di punirsi, ma con una vanità che ricorda molto da vicino l’autocompiacimento e la martirizzazione. Certo, quasi collateralmente, durante questo percorso sperimenterà effettivamente una crescita personale, umana, ma la mancanza di quel salto ulteriore, l’unico veramente necessario, è l’emblema della difficoltà, che certamente tutti avranno affrontato in prima persona, di fare i conti con le proprie responsabilità, di venire a patti con la propria malvagità senza cercare di annichilirla riversandola su se stessi. Briony è un personaggio difficile, tormentato, al quale tutte e tre le attrici (Saoirse Ronan, Romola Garai, Vanessa Redgrave) che si avvicenderanno, durante la vicenda, a interpretarne il ruolo, sanno infondere un fascino particolare, patetico e commovente. Ben assortita anche la coppia Knightley/McAvoy: lei si appropria dello stile degli anni ’30 come se ci avesse effettivamente vissuto, lui la segue con puntualità come solo un autentico ragazzo di campagna farebbe con la bella padroncina.

Espiazione Espiazione è sicuramente un film che vale la pena di essere visto. Elegante, a tratti anche un po’ freddo e distaccato, sembra in alcune sequenze volersi quasi parlare addosso, indugiando in qualche virtuosismo. Ciononostante, sarebbe un peccato rifiutarsi di cogliere l’occasione di riflettere tanto sul contrasto tra la propria etica e il proprio spirito di conservazione, che poi costituisce il filo conduttore dell’opera, quanto su altre tematiche, soltanto accennate ma non per questo meno degne di nota, quali il potere dell’immaginario e della parola, e di conseguenza anche dei loro mezzi di diffusione, la scrittura nel caso di Briony, il cinema nel caso del regista stesso. Come ci è stato dimostrato, una realtà creata ad hoc può non avere meno voce in capitolo di quella plasmata da eventi propri dello spazio-tempo.

7

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