Chi è Enola Holmes (Millie Bobby Brown)? Il cognome suggerisce la parentela con il ben più famoso Sherlock (Henry Cavill), migliore detective d'Inghilterra, e con l'altrettanto intelligente Mycroft (Sam Claflin), il fratello maggiore più pigro ma ammanicato dei tre. Non confondetela con la Eurus Holmes della serie BBC con Benedict Cumberbatch: anche quella sorella, come d'altronde la stessa Enola, è una creazione postuma ai romanzi di Arthur Conan Doyle. Anagrammato, il nome della protagonista del nuovo film originale Netflix diventa Alone, ed effettivamente la giovane Enola è stata cresciuta dalla madre Eudoria (Helena Bonham Carter) lontana dalla frastornante Londra, in campagna, senza amici.
Le è sempre stato detto "di cavarsela da sola nella vita" eppure la madre non l'ha mai abbandonata per un istante, tra allenamenti, studio e divertimento. Niente cricket, fiabe della buonanotte o collanine, comunque, perché Enola sin da piccola leggeva Giovanna d'Arco, libri sulle istituzioni britanniche, sull'architettura di Londra, su Shakespeare. Ha conosciuto presto la scienza, il tiro con l'arco, i combattimento corpo a corpo e l'addestramento mentale (scacchi, caccia al tesoro). Una vera e propria donna del domani cresciuta però confinata all'interno delle mura - seppur larghe e accoglienti - di Ferndell Hall con il genitore e Mrs. Lane, la domestica. Tutto cambia nel giorno del suo sedicesimo compleanno, quando Eudoria scompare misteriosamente lasciando a Enola un regalo "da usare saggiamente", permettendole nuovamente di incrociare la strada con i suoi due brillanti fratelli e vivere la sua prima e grande avventura ben lontana dal sicuro focolare domestico.
Deduzione per adolescenti
Omonimo adattamento della serie di romanzi per ragazzi ideata da Nancy Springer, Enola Holmes è sicuramente un progetto interessante ma non così riuscito come vorrebbe essere. Lo è in entrambi i casi per il suo target, per la sua forma e anche per il suo contenuto, tutti elementi pensati per coesistere in modo organico e funzionale all'interno di una storia coming of age dedicata a questa controparte più giovane e femminile di Sherlock, con cui condivide soprattutto (se non unicamente) la propensione esasperata al ragionamento deduttivo. Anche se cresciuta praticamente isolata dal resto del mondo, Enola non è "una sociopatica iperattiva" come Sherlock o un'apatica arrogante come Mycroft: è invece una ragazza che tende e non rispettare i costumi dell'epoca ed essere moderna, autosufficiente, acuta osservatrice, donna d'azione e di coraggio.
È un racconto profondamente adolescenziale che non vuole andare oltre il suo pubblico di riferimento né attraverso l'estetica né grazie alla scrittura, il che significa che la regia del bravo Harry Bradbeer (Ramy, Fleabag) e la sceneggiatura di Jack Thorne (The Eddy, His Dark Materials) sono completamente asservite alla causa traspositiva di Enola Holmes, che è quella palesemente femminista adeguata a uno standard di trasmissibilità e comprensibilità basico ma non superficiale. Il fatto che si tratti di una storia dedicata a una Holmes e che si copra di un tema oggigiorno assai caro al mondo cinematografico rendono il film già appetibile di per sé, ma per gli amanti di Stranger Things è soprattutto la presenza della Bobby Brown nei panni della protagonista a funzionare da leva principale alla visione.
Un personaggio, quello di Enola, che la stessa attrice è riuscita a farsi cucire addosso da Thorne e Bradbeer investendo praticamente su se stessa e partecipando al progetto come produttrice, avendo così un potere decisionale molto importante e rendendo un bel romanzo di formazione un titolo trampolino per il proprio ego, che supera bellamente quello di Sherlock.
Si percepisce nell'immediato la mano della Brown e la sua volontà di adeguarsi a degli standard young adult pertinenti con i gusti dei più giovani. Prima di tutto, la semplificazione della narrazione e dei concetti passa da una rottura costante e invadente della quarta parete, che solo Enola è in grado di distruggere per arrivare direttamente allo spettatore.

Ci parla e ci spiega più o meno tutto senza che le venga richiesto o che sia effettivamente necessario, il che rende la trovata più insistita che funzionale e un modo per la Brown di crogiolarsi in mille espressioni, sguardi e sorrisini ammiccanti lanciati al pubblico. Divertente all'inizio, già insopportabile dopo mezz'ora, specie se poi si avverte una certa tendenza ad autoincensarsi e a voler spiccare su tutto e tutti, compresi comprimari e caso della storia. Né Henry Cavill né Sam Claflin riescono infatti ad avere spazio sufficiente per imprimersi nei ruoli di Sherlock o Mycroft, il primo decisamente troppo ingessato ma dal look giusto, il secondo forse un po' troppo spinto nella sua caratterizzazione ma non così sbagliato, dopotutto.
Nel profondo, comunque, Enola Holmes ha carattere in termini di humor british elaborato per un pubblico teen, il che è comunque importante tenendo conto della coerenza con cui il progetto è stato sviluppato. Ha invece meno personalità nel resto, che alla fine vorrebbe essere un connubio dall'action pop forsennato dello Sherlock Holmes di Guy Ritchie (gli "imita" persino una sequenza) e dei sofisticati intrecci narrativi e stilistici dello Sherlock BBC, da cui è invece distante anni luce. Bradbeer non condivide la stessa grinta autoriale e underground di Ritchie ed è soffocato da una patinatura adolescenziale necessaria ma un po' stomachevole, mentre Thorne declina in piccolo tutti gli errori già visti nel suo Radioactive sfornando una scrittura sì perspicace e godibile ma mai appagante, avvincente o viscerale come quella della controparte ideata da Steven Moffat.
Tra il caso della madre scomparsa, un serie di personaggi secondari superflui e altri misteri da risolvere, Enola Holmes si perde lungo tutto il tracciato narrativo ricordandosi qualche pezzetto della storia solo alla fine, senza peraltro risultare stimolante o soddisfare appieno la fame di intrigo dell'audience più cresciuta. Bisogna però tenere conto delle intenzioni del progetto e della grande logica con cui è stato confezionato, impacchettato come un proiettile a salve sparato direttamente in faccia all'audience più facile da colpire. In fondo anche lato morale fa il suo dovere e alla fine il messaggio arriva forte e chiaro a chi deve arrivare. L'obiettivo di trasporre su schermo un'eroina teen per la generazione Z si può dire insomma vinto, anche se tendenzialmente Enola Holmes tenta di fare troppo con poca inventiva, rispettando l'anima e la fan base dei romanzi della Springer. Un film che vuole strafare senza avere però il gusto giusto per farlo o la temerarietà per osare, ingegnarsi in trovate che non siano insipide (le scene d'azione era meglio evitarle) o ridondanti e procedere oltre il solo tema, facilitato peraltro da un argomento socio-culturale di grande impatto per la contemporaneità sviluppato in modo alquanto furbetto. Se Netflix cercava però un nuovo franchise di successo, potrebbe finalmente averlo trovato.