End of Justice, la recensione della nuova pellicola di Dan Gilroy

Denzel Washington al di sopra di tutti, film compreso. Altalenante la seconda prova da regista di Dan Gilroy, in sala dal 31 maggio.

End of Justice, la recensione della nuova pellicola di Dan Gilroy
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Quando lo scorso 23 gennaio vennero rese note le candidature agli Oscar 2018, nove cinefili su dieci non avevano idea di che film stessero parlando gli annunciatori quando venne nominato End of Justice - Nessuno è innocente. Un titolo sostitutivo (sempre in inglese...) per il mercato italiano, ben diverso da Roman J. Israel, Esq., con il quale il film è uscito lo scorso ottobre negli Stati Uniti in distribuzione limitata e successivamente dal 22 novembre. Nel nostro Paese il film di Dan Gilroy (Lo sciacallo - Nightcrawler), alla sua opera seconda dietro la macchina da presa, è appena arrivato in sala grazie a Warner Bros., così anche lo spettatore italiano ha finalmente modo di poter vedere questo nuovo saggio di recitazione firmato Denzel Washington, anche produttore del film.
Washington per questa interpretazione ha ricevuto la sua nona candidatura agli Academy Awards, già conquistati in passato con Glory - Uomini di gloria (1990) in qualità di miglior attore non protagonista e nel 2002 come protagonista di Training Day. L'aspetto centrale del film è proprio lui, Denzel Washington, che torna nei panni di un avvocato sul grande schermo a venticinque anni di distanza dalla celebre interpretazione in Philadelphia di Jonathan Demme, al fianco di Tom Hanks. Il Joe Miller del film di Demme è profondamente diverso dal Roman J. Israel di Gilroy. Si specchiano in un percorso parallelo al contrario: se l'avvocato di Andrew Beckett (Hanks), inizialmente deciso a non accettare l'incarico, si grava della responsabilità di affrontare il mondo per riuscire ad avere giustizia per il suo cliente e non solo, è profondamente diversa, meno ragionata e più istintiva l'azione di Roman J. Israel in End of Justice.

Tanta carne al fuoco

A dispetto dei commenti piuttosto negativi arrivati Oltreoceano negli ultimi mesi, End of Justice è dotato di un prologo accattivante, che introduce lo spettatore in una Los Angeles perfettamente connessa al film, parte integrante di una narrazione che ne valorizza l'aspetto sociale e le problematiche a esso correlate. Non mancano certo gli spunti al film di Gilroy perché la vicenda che riguarda Roman tocca diversi aspetti, alcuni di questi alquanto scottanti. La perdita del lavoro, le battaglie morali, il proprio idealismo. Roman è un personaggio e un avvocato bizzarro. Si direbbe così, guardandolo. Ma dietro all'espressione smozzicata, i capelli arruffati e le cuffie sulle orecchie per ascoltare musica in ogni luogo, Roman è un avvocato con dei principi solidi e un attivista che ha visto il mondo attorno a sé cambiare senza quasi accorgersene. Chiuso per anni nel suo ufficio legale, viene improvvisamente rigettato nelle aule di tribunale e in strada, in mezzo alla società, in seguito all'improvvisa scomparsa del suo socio, amico e mentore.
Tutto il bagaglio di argomentazioni che il film propone, e che riesce a sorreggere nella prima parte con discreta lucidità, viene decisamente meno col passare dei minuti quando la sceneggiatura vive dei passaggi a vuoto abbastanza importanti. Dan Gilroy prepara la tavola molto bene ma poi finisce per rovinarla sempre di più col passare dei minuti, non riuscendo a mantenere il treno sui binari, anche per colpa di uno script infarcito di lodevoli intenzioni ma complesso da gestire. Ecco allora che l'aspetto retorico del film, percepibile anche nelle sequenze iniziali, si fa via via più difficile da digerire. Il percorso mutevole dello stesso protagonista è fin troppo frettoloso per essere credibile e a nulla valgono i giganteschi sforzi di Denzel Washington nel cercare di sorreggere l'intero film sulle proprie spalle. Ed è proprio al giro di boa che End of Justice accusa una certa stanchezza e approssimazione, penalizzando in tal modo anche una regia che a tratti dimostra di destreggiarsi bene, confermando il buon piglio di Dan Gilroy, ben più apprezzato nel precedente film con Jake Gyllenhaal.

Roman J. Israel

È inevitabile però tornare a Roman J. Israel. Tutto il repertorio di tematiche etiche e morali, così come il dramma vissuto dal protagonista, sono davvero sulle spalle di Denzel Washington; è come se il film fosse tutto lì, all'interno della sua caratterizzazione. E il didascalico incedere della seconda parte è insito addirittura nel titolo originale della pellicola: Roman J. Israel, Esq. Perché è vero che il film di Gilroy propone una tesi amara e sfaccettata a proposito delle difficoltà di districarsi nella maglia sempre più stretta della società nella quale viviamo, in perenne costrizione di scelte e di ribaltamenti contraddittori fra azione e pensiero, ma allo stesso tempo l'espressione tangibile e credibile del film finisce laddove esce di scena Roman J. Israel. La zoppicante evoluzione della trama penalizza anche due figure contrapposte come il cinico George Pierce (Colin Farrell), capo di uno studio legale di successo che rimane affascinato dalle capacità di Roman, e la dolce, agguerrita ma ingenua idealista Maya (Carmen Ejogo), che della figura di Israel subisce la chiarezza di vedute e la forza delle convinzioni. End of Justice è così circoscritto e se da un lato l'oggettivo magnetismo della performance di Denzel Washington è sotto gli occhi di tutti, e rappresenta una qualità indiscussa all'interno del contesto narrativo, è altrettanto discutibile la scarsa cura in dirittura d'arrivo del film, incapace di compiere un salto di qualità importante, che avrebbe restituito efficacia e vigore anche ai suoi aspetti più interessanti e convincenti.

End of Justice - Nessuno è Innocente Alla sua seconda opera da regista, Dan Gilroy subisce un contraccolpo abbastanza definito dopo l'ottimo esordio con Lo sciacallo - Nightcrawler. Pur riprendendo lo splendido lavoro fotografico di Robert Elswit nella plumbea e sinistra Los Angeles dove scorrazzava il saccheggiatore di umanità, Lou Bloom (Jake Gyllenhaal), in questo nuovo film Gilroy rimane impantanato in uno script via via più farraginoso e poco equilibrato rispetto alla posta in gioco e alle carte in tavola. End of Justice - Nessuno è innocente ha dunque un incipit solido e tante tematiche interessanti sullo sfondo, purtroppo però non riesce ad andare oltre la magistrale interpretazione di Denzel Washington e col passare dei minuti si affievolisce, concludendo frettolosamente ciò che forse poteva esser maggiormente approfondito.

5.5

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