Recensione Edmond

Un grande regista horror firma un grande film autoriale

Recensione Edmond
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Che Stuart Gordon, dai più conosciuto per la memorabile, eterna saga di "Re-Animator", fosse in un evidente stato di grazia c'erano pochi dubbi; i due episodi per le due differenti stagioni dei Masters Of Horror sono lì a testimoniarlo, costituendo sicuramente una delle maggiori attrattive del lodevole progetto americano di Mick Garris. Semmai, in pochi si aspettavano poi un lavoro dello spessore di Edmond, in apparenza avulso dai soliti e rituali contesti del regista americano, in realtà permeato dello stesso substrato orrorifico e conturbante delle precedenti opere.

L'inesorabile e inevitabile confusione mentale che è dentro ognuno di noi

Adattamento di una pièce teatrale di David Mamet, Edmond è la storia dell'ennesimo "uomo qualsiasi", stanco della sua vita di tutti i giorni, del suo lavoro, di sua moglie, che improvvisamente confessa a quest'ultima il suo stato d'animo confuso, a tratti infantile, ed inizia una sua personale discesa negli inferi; di notte, per le strade della città, andrà ad incontrare prostitute, ladri, truffatori, modeste bariste ed altri personaggi al limite del simbolico, per finire poi nel punto di non ritorno per antonomasia, dove realizzerà definitivamente un ribaltamento grottesco e traumatico dei suoi abituali valori e clichè vitali. Il motore di partenza di Edmond è una spasmodica ricerca di sesso, a pagamento ovviamente, attraverso bordelli, locali a luci rosse e peepshow da cardiopalma: sessualità che si fonde poi con razzismo, nutrito dalle numerose invettive contro i "negri" (parola che viene ripetuta di continuo dal protagonista ); religione, cercata senza convinzione se non come ultimo disperato approdo; e filosofia, masticata ed elaborata senza ordine di sosta dai quasi sermoni che il disperato uomo propina a chiunque incontri, cercando di spronare e risvegliare gli altrui intelletti, in guisa di improvvisato e ingenuo, perfino prevedibile, profeta. Tutto questo viene affrontato però con un certo distacco, una palpabile diffidenza, che in alcuni momenti si configura anche come atteggiamento infantile, proprio del bambino che si trova di fronte alla realtà circostante per la prima volta nella sua vita; Edmond spesso non capisce i meccanismi sociali e le logiche di causa/effetto che governano la vita da cui ha deciso di scappare e che cerca affannosamente di ribaltare, rinnovare dalle sue primordiali fondamenta.

Un cast scelto con precisione chirurgica

Innanzitutto un doveroso tributo al sempre troppo poco considerato William Macy, che con una prova attoriale semplicemente sbalorditiva riesce a rendere credibile, pulsante, toccante una vicenda umana a cui sarebbe bastato ben poco per sfociare nel prevedibile e nel ridicolo; la sua è un'interpretazione assolutamente teatrale, che quindi si fonda alla perfezione con l'originaria natura del copione di Mamet, e che ci conduce, complici e ipnotizzati, in una parabola di desolante solitudine e incomunicabilità. Assolutamente azzeccata anche la scelta degli altri attori, impegnati a dar vita anche solo per pochi istanti a personaggi emblematici, irrisolti nella loro analoga ricerca di se stessi come il protagonista del film; tra questi Joe Mantenga, Julia Stiles, Mena Suvari, Bai Ling, Dylan Walsh, e ovviamente l'immancabile Jeffrey Combs.

L'horror esplicito si traveste e si trasforma in un dramma perfetto

Edmond è un film solido, inesorabile, monolitico; ogni inquadratura è sinonimo di classe, di una capacità autoriale artigianale, di chi riesce ad imprimere il proprio marchio e la propria esperienza anche in un ambito teoricamente differente dai propri canoni. Luce e fotografia maniacali nel dipingere veri e propri affreschi notturni di puro isolazionismo, una generale e genuina semplicità di intenti ad evitare inutili sensazionismi visivi, sempre dietro l'angolo quando ci sono in ballo storie come quella di Edmond. Gordon tratteggia e scolpisce il vuoto ed il conseguente sgretolamento in mille pezzi del cittadino medio, razzista, ostinatamente e necessariamente etero, ateo: la mente di Edmond ragiona ad alta voce, sicuramente in maniera retorica, soprattutto nell'ultima parte, di spicciola metafisica, ma proprio per questo è credibile, vera, realistica, perchè ci fa ascoltare i nostri stessi pensieri, che senza ombra di dubbio ognuno di noi ha formulato ed espresso in periodi della propria vita, magari vagheggiando ed ipotizzando una fuga, un viaggio analoghi a quelli raccontati in questo piccolo, prezioso gioiello filmico.

Edmond Stuart Gordon si meritava di realizzare un lavoro del genere, degno tributo ad una carriera eccellente, relegata quasi solo al genere horror: Edmond è un film solido, sincero e imponente, realizzato da un genuino e amabile autore che non ha paura di misurarsi con tematiche nuove, stimolanti oltre che estremamente difficili e rischiose da affrontare. Un ritratto spietato della solitudine, dell'ipocrisia e della prevedibilità dell'uomo medio, forse semplicemente solo e soltanto dell'uomo: l'apparente banalità di situazioni e dialoghi è invece il necessario manifestarsi delle debolezze e dei limiti della razza umana, senza confini di luogo, tempo, religione, razza, sesso o cultura che siano.

8

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