Dov'è il mio corpo? Recensione del film d'animazione premiato a Cannes

Realtà e fantasia che si rincorrono, per un film d'animazione sull'importanza del tatto, pronto a renderci finalmente vivi.

Dov'è il mio corpo? Recensione del film d'animazione premiato a Cannes
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Ogni quanto ci fermiamo a dare importanza al nostro tocco? Quel sottile tremolio quando indice e medio si sfiorano; una manciata di sabbia che fugge tra le dita; l'impacciato contatto con una pelle straniera, pronta a far scaturire elettricità statica, come un fiammifero che prende vita. Un gesto quotidiano talmente banale che finiamo per dimenticarlo, finché un coltello troppo affilato o uno spillo sporgente non ci ricorda quanto sia cruciale sentire con le mani.
E se stillare quella gocciolina rossa non dovesse bastare, beh, ci pensa Dov'è il mio corpo? a imbrattarci il volto di cinema, riempiendo i nostri occhi di piccoli enormi gesti, come disegni su un vetro appannato.
Un film d'animazione francese che ha conquistato Cannes, lasciando germogli spruzzati di vermiglio pronti a nascere nei solchi dei nostri polpastrelli, ogniqualvolta li usiamo. Netflix sceglie con estrema dolcezza di occuparsi della distribuzione italiana facendo rotolare questa perla sulle nostre televisioni. Scopriamo assieme perché farsi afferrare al volo è inevitabile.

Spark me up

Una mano si sveglia nel frigorifero di un ospedale. Le serve aria. Deve uscire, sentire il tocco. Ma non quello delle dita, quello del polso. Ha bisogno del resto del suo corpo. Naoufel consegna le pizze. Ha una vita tristemente ordinaria. Voleva sognare. Fare il pianista nello Spazio, o l'astronauta del pentagramma. Ha lo stesso neo sulla mano che tenta di fuggire dall'ospedale. Ma è ancora attaccata al suo corpo. A rebours, avrebbe già detto Huysmans. In un magistrale montaggio alternato Dov'è il mio corpo? comincia a raccontare le storie di Naoufel e della sua mano, amalgamando con un taglio quei gesti quotidiani che al ragazzo sembrano così banali, ma che diventano titanici sforzi quando è soltanto la sua mano a doverli compiere. Due ricerche incessanti: un ragazzo che prova a riappropriarsi della propria vita, lottando per uscire dalle sabbie mobili in cui sta morendo scomodo e un arto che sa quanto il suo padrone abbia assoluto bisogno della sua presenza. Davanti a loro? Le dune del mondo, alte, frastagliate, pronte a riempire ogni spazio per rallentare il moto dei sentimenti, impedendo di tirare fuori un dito tra i granelli: perché Naoufel, nonostante tutto, vuole salvarsi.

Steal me away

A volte è l'incontro casuale, la luminaria fulminata in fondo al tunnel dopo che il treno ti ha sfiorato. Dov'è il mio corpo? trova una chiave perfetta per far incontrare Naoufel e Gabrielle, isole in una nebbia che fatica a diradarsi. Ma a quel punto il retrogusto di speranza è già sotto la lingua del ragazzo. Deve trovarla, conoscerla, rincorrerla. Mette in gioco tutto, in una corsa a perdifiato dentro le proprie incertezze, le stesse che avvilupperebbero noi vedendo la ragazza che ci piace dall'altro lato della strada. Solo che lei non sa chi siamo, e noi avvertiamo quella morsa fredda, quella tagliente consapevolezza che qualsiasi cosa potremmo fare sarà quella sbagliata. Ma stare fermi è ormai impossibile. Naoufel si tira su, lotta contro topi in metropolitana, scivola sotto il ghiaccio per poi tornare a galla, vola. Si aggrappa alla vita, stritolandola, spezzandole il collo, perché nonostante non riesca a sedersi di fianco alla persona di cui si sta innamorando, beh, sa che in qualche maniera deve starle vicino. Le mani sfrigolano, le dita corrono sui tasti della sua vita, e Naoufel vorrebbe attaccare le variopinte cuffie di Gabrielle al suo pianoforte. E suonare, solo per lei.

Stare at me with the lights off

E intanto la mano rotola e salta, si spaventa, rischia tutto. Jérémy Clapin sfrutta con chirurgica dolcezza la sua regia, colpendoci stacco dopo stacco, destabilizzando i nostri occhi in un rimbalzo sfrenato tra l'arto e Naoufel, tra presente, passato e futuro, dove il turbine di neve spazza la vista e fa tremare le gambe.

Ma c'è un grande balzo da fare. Ci sono interminabili spazi e sovrumani silenzi in cui tuffarsi, tentando poi di rimanere a galla. Dov'è il mio corpo? sublima questa inesausta ricerca in un sentimento di appartenenza alla vita che frantuma i limiti, che la rende sovrannaturale, impensabile. Uno squarcio netto con le nostre certezze che si trasforma in una lotta continua, con il mondo e con sé stessi, rendendo i percorsi di Naoufel e della sua mano complementari e paralleli, pronti a rincontrarsi in un gelido spazio tra passato e presente, dove tutto è già tristemente successo, ma qualcosa può ancora accadere. Anche soltanto guardare l'altro dormire, con le luci spente.

So I can feel something

E quindi, cosa resta? Un consapevole urlo nell'aria fredda, una registrazione di tragica felicità, pupille che battono e un profumo di pizza che vorremmo soltanto mordere. Dov'è il mio corpo? utilizza il tatto per rendere il mondo adulto tramite gli altri sensi. Frammenta un pezzo di vita intera in cocci sbriciolati, brillanti, luminosi, e pronti a tagliare. Rende verosimile l'impossibile, facendoci correre nella sua animazione precisa ed efficace, senza guizzi inopportuni, pronta a sostenere l'intima potenza della sua storia, enorme e piccola come quella di una persona che cerca il proprio posto nel mondo. Soprattutto quando sull'orlo del precipizio ci si sente immortali, come chi ha perso ogni cosa. A volte, però, bisogna saper lasciar andare un pezzo di sé, e capire che, forse, afferrare una mosca al volo non è poi così importante. Lei, prima o poi, affogherà nel miele. Noi, invece, resteremo aggrappati, anche con una mano sola.

Dov'è il mio corpo? Dov'è il mio corpo? compie un lavoro dolce e chirurgico sul tatto, sull'importanza di sentire attraverso le mani, per poi riportare il tutto assieme agli altri sensi, per rendere il mondo davvero adulto. Il film d'animazione distribuito da Netflix si porta a casa una fetta di Cannes, e un brandello di cuore del pubblico. La storia reale e magica di Naoufel e la sua mano si aggrappa agli occhi dello spettatore, come un'eterocromia vermiglia impossibile da scacciare. E, finito il film, noi saremo esattamente come il suo protagonista: splendidamente diversi e pronti a urlarlo al mondo.

8.5

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