Dopo il matrimonio, la recensione del film con Michelle Williams

Bart Freundlich riprende un film del 2006 di Susanne Bier per ambientarlo negli USA, una storia di madri, segreti e malattie.

Dopo il matrimonio, la recensione del film con Michelle Williams
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New York può essere una città complicata, capace di inghiottire senza pietà chi desidera una vita tranquilla, lontana dallo sfarzo, dedita magari ad aiutare gli altri. Theresa ad esempio è "scappata" in India, lasciandosi alle spalle la sua esistenza precedente, i ricordi, gli agi, gli amori. In pratica, ogni cosa. Adesso le sue giornate passano grazie alla meditazione e alla cura di tanti piccoli pargoli senza più i genitori, gestisce infatti una sorta di casa famiglia che ha bisogno di costanti fondi occidentali per il suo sostentamento. Proprio a causa di un nuovo finanziamento, è fondamentale per Theresa tornare per qualche giorno nella Grande Mela, un viaggio tanto necessario quanto odiato e rifiutato, ma purtroppo inevitabile.
Ne va del futuro della sua struttura e di tutti i suoi piccoli ospiti. Atterrata negli USA, lo sfarzo, il caos, il lusso più sfrenato (con la camera d'albergo che le hanno assegnato comprerebbe 100 nuovi letti in India) Theresa inizia da subito ad avere il respiro corto, affannato, eppure questo non sarà che l'inizio; il destino ha in serbo per lei una particolare e dolorosa sorpresa. Di questo però si parlerà Dopo il matrimonio della figlia della sua potenziale benefattrice, un'imprenditrice di gran classe che le ha offerto 2 milioni di dollari.

Tutto dopo il matrimonio

Costretta a presenziare la cerimonia, e relativo banchetto, Theresa scopre che in realtà il marito della sua benefattrice è un suo storico ex, con il quale avrebbe potuto probabilmente costruire una famiglia prima di essere assalita dal panico e fare i bagagli per l'India. Se pensate però che sia questo il twist che anima Dopo il matrimonio, vi sbagliate, c'è ancora molto da scoprire... Bart Freundlich ha ripreso una sceneggiatura firmata Susanne Bier e Anders Thomas Jensen per fare un vero e proprio remake americano di Efter brylluppet, lungometraggio del 2006 diretto proprio dalla Bier. Questa volta tutto è declinato al femminile, le vere protagoniste sono infatti due donne, Therese e Isabel, con al centro l'unico uomo Oscar a fare da ago della bilancia.
Un punto di vista estremamente interessante, poiché fra le pieghe dello script si discute dell'essere madri e delle responsabilità che questo comporta, ma non solo. Fra i temi cardine del film ci sono anche la fiducia reciproca, l'amore, le conseguenze relative a una malattia importante, l'egoismo. Ci troviamo dunque di fronte a un prodotto davvero pregno di significati, quasi mai però si cede alla morale, il tutto è ripreso in modo distaccato, in modo che ogni spettatore possa farsi un'idea in merito a ciò che accade su schermo - nonostante il finale dia indicazioni ben precise su cosa sia meglio fare nella situazione in cui Therese, Isabel e Oscar sono finiti.

Impossibile scappare

Un'opera all'apparenza molto semplice, costruita in modo lineare, che vive delle interpretazioni intense dei suoi attori principali. Michelle Williams, che gioca nei panni di Therese, è una donna costantemente arrabbiata con il mondo, con l'unico chiodo fisso relativo all'aiutare i suoi piccoli orfani in India, a cui pensa costantemente. Eppure il suo fuggire da New York nasconde segreti e responsabilità mancate, dribblate almeno in apparenza senza troppo dolore, con il destino tornato ora a saldare il conto. Opposta a lei c'è un'ottima Juilanne Moore che ha le sembianze di un Deus ex machina: tutto è nelle sue mani, è lei che deve decidere se dare o meno i soldi a Therese, sempre lei a dover gestire un patrimonio di svariati milioni di dollari con annessi centinaia di posti di lavoro, ancora lei a dover affrontare un brutto male.

Il tutto con decisioni che devono avvenire in una manciata di ore, subito dopo il matrimonio della figlia. Fra le due donne si insinua un Billy Crudup sempre in parte, ormai abituato al ruolo del marito amorevole che deve calmare le acque - un personaggio simile lo ha interpretato proprio di recente in Che fine ha fatto Bernadette? accanto a Cate Blanchett. I tre attori hanno una splendida chimica, le loro interazioni su schermo si incastrano alla perfezione con interpretazioni bilanciate e raramente sopra le righe (per volere di sceneggiatura), con l'aggiunta di una solare Abby Quinn negli scomodi panni di una figlia sballottata dagli eventi.

Un prodotto che non tocca le vette autoriali raggiunte da Susanne Bier nel 2006 ma che si lascia guardare con gusto, nonostante il ritmo vada a calare in diverse occasioni. Dei 112 minuti forse si poteva tagliare qualcosa oppure rendere lo sviluppo di alcune sequenze leggermente più dinamico, Dopo il matrimonio però non punta alla perfezione tecnica; è un lavoro che va visto "di pancia", seguendo il flusso delle varie emozioni che fuoriescono dallo schermo. In questo modo, totalmente abbandonato alle storie dei personaggi, ci si riesce a emozionare in più punti, soprattutto verso il finale. A ogni pedina viene richiesto di mettersi in spalla le proprie responsabilità, dalle quali non può più scappare in alcun modo, un concetto che viene per forza di cose assorbito anche dal pubblico che si troverà a fare i conti con se stesso. Un film che mira dunque a farci ragionare, talvolta anche facendoci scavare nei ricordi, senza particolari orpelli ma con un linguaggio diretto ed estremamente semplice - nell'accezione più positiva del caso.

Dopo il matrimonio Michelle Williams, Julianne Moore e Billy Crudup sono gli intensi protagonisti del remake americano di Dopo il matrimonio, film omonimo firmato da Susanne Bier nel 2006. Questa volta il punto di vista è tutto al femminile, con una donna che deve misurarsi con le proprie responsabilità, un'altra che ha un brutto male, una terza - la più giovane - sballottata dagli eventi. Un prodotto che si interroga sull'egoismo e sull'amore, dal ritmo non sempre impeccabile ma girato con decisione e un linguaggio leggero adatto a ogni tipo di pubblico.

7

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