Non guardare in alto. Anche di fronte all'evidenza, non guardare in alto. Anche se la verità è incontrovertibile, non guardare in alto. Anche se il futuro è nero, non guardare in alto. Anche se fa male, non guardare in alto. Anche se ti gettano il fumo negli occhi, non guardare in alto. Anche se ti infarciscono di sicurezze, non guardare in alto. Anche se ti forniscono dati rassicuranti, non guardare in alto. Non guardare in alto, anche se dovresti. Don't Look Up.
Il nuovo lungometraggio di Adam McKay, al cinema dall'8 dicembre e su Netflix dal 24 dicembre (non perdete anche gli altri film in sala a dicembre 2021 e il catalogo Netflix di dicembre 2021), è un sagace e tagliente racconto di post verità, una parabola sottile ed ironica sul complottismo e sul rapporto tra comunicazione e potere, sul controllo delle masse e sull'allarme ambientale. McKay dipinge uno spaccato tanto crudele quanto reale sul genere umano e sulle sue contraddizioni, in un film che riesce a far riflettere senza nemmeno prendersi sul serio. Lo abbiamo visto in anteprima e oggi, nel giorno di uscita nelle sale cinematografiche, ve lo raccontiamo.
Un futuro apocalittico
Il dottor Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) e la dottoressa Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), entrambi a capo di una squadra di ricercatori astronomi, fanno una scoperta tanto epocale quanto apocalittica. Un'immensa cometa, larga 9 chilometri e grande quanto l'Everest, si abbatterà sul pianeta Terra entro poco più di 6 mesi.
I danni al globo saranno irreparabili: lo schianto dell'asteroide provocherà tsunami alti più di un chilometro, inondazioni e terremoti, distruggendo tutto ciò che incontrano e decretando la fine della vita sulla Terra. Non è facile caricarsi sulle spalle il peso di una simile rivelazione: il dr. Mindy, scienziato sull'orlo della schizofrenia e della depressione, decide di supportare la sfortunata Dibiasky, i cui calcoli precisi e ripetuti più volte non lasciano scampo ad altre ipotesi al punto che la cometa porterà addirittura il suo nome. I due, convocati d'urgenza alla Casa Bianca, tentano di convincere la presidente degli Stati Uniti (un'istrionica e divertita Maryl Streep) dell'imminente devastazione, sperando che il loro drammatico appello mobiliterà le migliori forze scientifiche e militari per decretare l'arresto o la distruzione del corpo celeste.
I protagonisti non vengono presi sul serio e finiscono vittime di un asfissiante e invalicabile circo di potere e pregiudizi, e persino appellandosi ai principali media americani incontrano nient'altro che prese in giro, in una spirale di infotainment, campagne social derisorie e la gogna mediatica dei meme. Ma questa non è altro che la premessa: i due si ritrovano ad ogni passo coinvolti in un gioco di potere che diventa man mano sempre più grande e schiacciante, facendosi involontariamente portatori di una campagna politica manipolatoria e complottista.
Don't Look Up, l'invettiva sociale di McKay
A differenza della premessa, Don't Look Up è un'opera capace di non prendersi sul serio, scritta con l'intelligenza e l'ironia di un autore in grado di trasformare il dramma in una satira piacevolmente grottesca. In poco più di due ore di visione Adam McKay riversa tutto il proprio livore nei confronti delle contraddizioni americane, nella maschera patinata e doppiogiochista della politica, nella messa a nudo di una post verità scomoda e onnipresente, nel realismo di un presente parallelo e possibile. Lo fa con una scrittura capace di poggiarsi su un numero indefinito di stereotipi mai banali e spiazzatamente attuali, per quanto costantemente sopra le righe.

Lo fa, soprattutto, con i volti di DiCaprio e della Lawrence, che portano in scena le uniche coscienze drammatiche di quella giostra volutamente ridicola e sfarzosa che è il mondo, troppo occupato a farsi tenere con la testa abbassata pur di non alzare gli occhi al cielo per scovarvi la tremenda e apocalittica verità imminente. Dont' Look Up è un film virtuoso non soltanto sul piano dello stile narrativo e dell'invettiva sociale e politica, ma anche su quello formale: quello di McKay è un occhio che guarda all'avvicinarsi della distruzione planetaria con l'amore di chi osserva la natura e i suoi protagonisti, realmente presenti nella messinscena con frequenti e improvvisi intermezzi, ma anche di chi condanna una passerella mediatica fatta di bias di conferma e misinformation.
Con un montaggio frenetico e una regia in grado di valorizzare l'espressività disarmante dei suoi attori, un cast di prim'ordine in cui figurano anche Timothée Chalamet, Jonah Hill e Ron Perlman. Pedine di un gioco raccontato in una storia lunga, ma scandita da un ritmo pressoché perfetto che non farà affatto pesare le quasi due ore e mezza di visione.