Recensione Dio esiste e vive a Bruxelles

Dio non è come l'abbiamo sempre immaginato: vive in un appartamento a Bruxelles, beve birra e segue l'hockey. È meschino con la famiglia e nasconde una figlia, Ea, che vuole seguire le orme del fratello...

Recensione Dio esiste e vive a Bruxelles
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Ci basterebbe, oggi, recuperare uno dei tanti passi scritti dal profeta Ezechiele, quello che il teologo Giuseppe Angelini definì come il profeta ammutolito nel suo omonimo saggio, per avere una visione completamente diversa di Dio. Non vi è misericordia, non vi è un porgere l'altra guancia, non vi è alcuna cura dell'essere umano, creato a propria immagine e somiglianza: c'è astio, c'è vendetta e c'è una mano pesante che colpisce tutta la sua creazione. Ed è proprio questo il messaggio che Jaco Van Dormael, nel suo Dio Esiste e Vive a Bruxelles, vuole raccontare: la figura di Dio (interpretato da Benoît Poelvoorde) sotto una chiave distorta. Il risultato è una commedia surreale, tipica del regista belga, che nei primi minuti riesce a coinvolgere e a meravigliare, convincendo lo spettatore a rimanere attonito ad assistere alle vicende; poi a vincere è la lentezza della sceneggiatura e il dimenticarsi completamente del plot originale.

I SEI APOSTOLI

Dio vive in un appartamento morigerato di Bruxelles: grazie ai miracoli della moglie e della figlia si sostenta a biscotti e birra, vivendo con una maglia della salute macchiata e sudaticcia, coperta da una vestaglia da notte. Due gli averi più cari: la televisione, dove può essere trasmesso soltanto lo sport, l'hockey per la precisione, e le chiavi del proprio studio, dove è segregato il computer che utilizza per governare gli umani e decidere le leggi della vita. Dopo che il suo primogenito, JC, lo ha abbandonato per portare il verbo - quello sbagliato, quello in cui Dio non credeva - sulla Terra, gli è rimasto soltanto la figlia, Ea, della quale non si parla mai e che non vede l'ora di intraprendere la marcia di suo fratello maggiore. A permetterglielo sarà una grande prova di coraggio e un dono all'umanità: l'onniscienza sul tempo rimasto loro prima della morte attraverso un conto alla rovescia comparso sul loro smartphone.
L'idea di fondo di Jaco Van Dormael legata all'essenza del tempo, un tema a lui caro già in Mr. Nobody, è divinamente inaspettata e dà sbocchi a fantasie narrative più che interessanti, permettendoci di scovare tutte le perversioni degli uomini nel gestire i loro ultimi giorni di vita. La maggior parte di loro abbandona il lavoro, prova a cambiare vita, c'è chi sperpera tutto in prostitute e chi, invece, decide di sparare ai passanti vestendo i panni del destino, chi vive su una panchina sentendosi libero e chi, invece, prova a cambiare sesso. Sono tutte storie funzionali, ma che Van Dormael non riesce a raccontare con il giusto piglio: nella ricerca, annosa a dirla tutta, di Ea dei suoi apostoli, come fatto dal fratello più di duemila anni prima, la pellicola non fa altro che realizzare una lenta e pedissequa lista di situazioni venutesi a creare dopo il miracolo della figlia di Dio.

SURREALE, TROPPO

A salvare il ritmo, che è comunque altalenante, ci pensano gli intermezzi satirici con protagonista l'Eterno, qui rappresentato come un reietto della società privo di alcun tipo di potere e abituato a fare il despota dall'alto dei cieli, senza sapersi rapportare all'umanità: tra minacce, cattiverie e ingiustizie, oltre che a una corsa inutile alla ricerca della figlia, la sua figura è relegata a quella di buffo omuncolo lanciato in un contesto dove non è altro che un vagabondo, un senza casa, un piantagrane alla mensa dei poveri. Una morale sottile facile da scardinare, che vuole trovare in Victor, il barbone che farà da scrivano al Tutto Nuovo Testamento di Ea (che tra l'altro dà il titolo alla pellicola originale in francese), l'esatta contrapposizione di Dio: non ha mai avuto uno smartphone, quindi non sa quando morirà, dopo sei mesi di galera non ha mai più voluto dormire con un tetto sotto la testa, è dislessico e si sfama con gli avanzi di quel che trova per strada, ma il suo cuore - come ogni buon cliché richiede in questi casi - è grande tanto quanto è folta la sua barba. Passano anche da lui le vite degli apostoli, che vengono descritti dagli occhi genuini e naif di Ea, incapace di piangere, ma capace di ascoltare la musica delle persone.
Le idee del regista, insomma, sono molteplici, tutte molto originali, ma mal orchestrate, mal inanellate l'una dopo l'altra: troppa carne al fuoco a fare da misero cornice a quella che non è altro, come detto poc'anzi, un annoverare storie fuori dai canoni di sei persone chiamate a diventare apostoli: tra queste, inoltre, la eccessivamente grottesca vicenda di una donna innamoratasi di un gorilla, chiamato a sostituire il marito in tutto e per tutto, anche a letto. Una provocazione al genere umano che non risulta in linea con quella che Van Dormael costruisce per l'intera pellicola, ovvero una provocazione a Dio, che risulta comunque inconcludente: un prologo che ribadiamo essere un'idea assolutamente da premiare, ma che sfocia in un dimenticarsi completamente il senso della narrazione originaria chiudendo le vicende con un cielo decorato come dei centrini da tavolo. Jaco Van Dormael ci regala così un altro suo grande esperimento di satira e comicità che va oltre la blasfemia, ma si perde rovinosamente durante il viaggio, senza innalzare la qualità dello scenario artificiale che il regista belga ci propina per quasi due ore.

Dio esiste e vive a Bruxelles Dio esiste e vive a Bruxelles non è un film per tutti: la sua satira può essere confusa con blasfemia, soprattutto in un Paese bigotto come il nostro, ma anche per chi apprezza tale tipo di provocazione potrà trovare nella lentezza della secondo atto un deterrente nel farsi piacere la pellicola. Jaco Van Dormael offre numerosi spunti interessanti, ma vengono sviluppati in gran parte in maniera approssimativa, quasi a dimenticare il fulcro originale del suo script.

6.5

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