Recensione Die Hard: Vivere o Morire

Ancora azione per John McClane

Recensione Die Hard: Vivere o Morire
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Introduzione

Avremmo preferito che per l’edizione italiana di questo quarto episodio delle avventure dell’Agente John McClane della Polizia di New York fosse stato conservato il titolo di lavorazione, Die Hard 4.0, che è sicuramente più appropriato, essendo incentrato sul tema della sicurezza informatica. Si è invece preferito insistere nel cattivo vezzo italiano di stravolgere il senso dei titoli originali richiamando invece, seppur vagamente, un vecchio film di James Bond, in nome di un più forte richiamo al botteghino.
Ci sono state vittime illustri (da Welles a Costner, da De Palma a Ford, da Spielberg a Siegel, e l’elenco potrebbe continuare..), ma certo è che con questa serie il traduttore pare proprio essersi accanito: così il primo film, Die Hard, del 1988, divenne Trappola di Cristallo, il secondo, Die Hard2, del 1990, fu da noi proposto col titolo 58 Minuti per Morire, ed il terzo, Die Hard with a Vengeance (1995) fu ribattezzato Die Hard-Duri a Morire.
Per l’occasione il regista John McTiernan veste i panni del produttore ed arruola gran parte dell’equipaggio di Underworld (regista, sceneggiatori, direttore della fotografia, autore delle musiche) che, come sappiamo, ha forti legami con Herr Roland Emmerich. Nella produzione infatti, oltre allo stesso Willis, è coinvolto anche quel Patrick Tatopoulos che Emmerich onorò dando il suo nome al personaggio protagonista di Godzilla.
Il tema sollevato è poi inquietante: cosa accadrebbe se un gruppo di terroristi fosse in grado di impadronirsi di tutti i sistemi di una nazione come gli USA controllati da computer? In letteratura già Louis Charbonneau nel 1982 con Intruder aveva dimostrato come una città potesse essere messa in ginocchio da un hacker in grado di inserirsi nella rete che controlla i semafori o gli ospedali. E il maniaco omicida esperto di informatica in Profondo Blu di Jeffery Deaver aveva reso ancora più inquieti i nostri sonni.
Nessuno di loro aveva previsto però l’ingresso nella storia del detective McClane...
Ci sono quindi tutte le premesse per attenderci un film ad alto tasso spettacolare, con tanta azione e ritmo incalzante.

Trama

Il detective McClane viene incaricato di prelevare, per conto dell’FBI, un giovane hacker, coinvolto in un progetto misterioso, mentre, in contemporanea, assistiamo all’assassinio di diversi programmatori di livello. Inutile dire che il nostro giunge in tempo per salvare il malcapitato, non senza qualche difficoltà, con una sparatoria ed una fuga mozzafiato. Esiste una organizzazione che, sfruttando le falle nella difesa informatica statunitense, mira ad impossessarsi di tutti i sistemi di sicurezza controllati da computer, gettando nel panico l’intera nazione americana. La caccia del detective all’organizzazione, in un clima da apocalisse imminente, il suo confronto con il "villain" di turno, gli immancabili scontri a fuoco, inseguimenti su ogni mezzo immaginabile, combattimenti a mani nude, e quant’altro la serie ci ha abituato a vedere, guidano la trama verso il finale, in puro stile Die Hard, che coinvolgerà anche la figlia Lucy.

Considerazioni

Il primo film della serie ci aveva messo di fronte ad un personaggio "sui generis", un poliziotto anarchico, tormentato da problemi coniugali con una moglie "in carriera", che si trovava, in un territorio non suo, a confrontarsi con un’organizzazione terroristica spietata, implacabile: uomo solo contro l’inevitabile, circondato da responsabili della sicurezza inetti e supponenti. Era però in grado di scompaginare, con un’irriverenza che sapeva tanto di "politicamente scorretto" i piani di criminali e superiori. Era il simbolo dell’uomo della strada, in un’epoca in cui cominciava a serpeggiare un diffuso malcontento nei confronti di una politica che aveva promesso senza poi mantenere, uno sbeffeggiamento, anche nel linguaggio, pieno di termini "forti" e di parolacce, di ogni forma di pretesa superiorità intellettuale o gerarchica. Messo a confronto con l’altro grande poliziotto solitario di fine ‘900 , quel Callaghan dell’accoppiata Siegel/Eastwood, si distingueva proprio per l’approccio, che non disdegnava qualche richiamo a toni da commedia, una certa tendenza all’iperbole nelle scene d’azione e soprattutto la convinzione che dietro ogni asserita idealità si nascondessero brame ben più... terrene.
Il regista Len Wiseman, che ha firmato i due Underworld, si è trovato a dover fare i conti con questo background ed ha scelto di privilegiare la parte spettacolare: in alcuni scontri a fuoco pare proprio di rivedere modalità narrative e ritmi della saga vampiresca. I cambiamenti di inquadratura sono frenetici, adrenalinici, non lasciano tregua a chi assiste allo spettacolo, mentre si evidenzia anche qui la predilezione per le scene notturne, per gli ambienti chiusi e con luce artificiale. Wiseman conferma anche le qualità evidenziate nei precedenti lavori nelle scene d’azione, valendosi della fotografia di Simon Duggan che, oltre ad Underworld: Evolution, si era potuta apprezzare nello spielberghiano Io, Robot e del montaggio di Nicholas De Toth (Terminator3 ed, ovviamente, Underworld: Evolution). Il film ha un ritmo incalzante, le pause si misurano in termini di pochi secondi, gli effetti speciali sono assolutamente su livelli di eccellenza, e non manca una citazione per il mentore Emmerich, nella scena della distruzione della Casa Bianca, che richiama la celebre sequenza di Independence Day.
Quello che in Die Hard 4 mostra delle debolezze è la sceneggiatura di Mark Bomback e David Marconi: non ci sono tracce di approfondimento psicologico, peraltro mai troppo presente nei film d’azione, ed i dialoghi sono talvolta di una banalità disarmante, senza per la verità mai toccare il fondo di certe produzioni stalloniane. McClane si fa "politically correct" e gli censurano anche la mitica frase "Hippy-Kai-Ye, figlio di p..." che accompagnava l’annientamento di un cattivo. Sebbene gli elementi del "buddy movie" siano ben dosati (ad esempio il rapporto col giovane hacker, che definisce McClane "un uomo analogico in un mondo digitale"), l’impressione è che ci si fermi sempre un momento prima di raggiungere un risultato apprezzabile, quasi fosse tutto un necessario intermezzo prima della prossima scena d’azione. Il contrasto psicologico del protagonista col cattivo di turno, che nella serie fa abitualmente da motivo catalizzatore della storia, qui è meno pronunciato del solito: si sente la mancanza, insomma, di un antagonista di livello (certo, non si può pretendere di avere sempre un attore shakespeariano come Alan Rickman o Jeremy Irons, ma il problema è lo spazio che si dedica alla contrapposizione). Alcune situazioni, poi, sono francamente eccessive, impossibili, irrealistiche, a livello di Mission: Impossible 3, e rasentano il comico involontario (qualche graffio, un po’ di sangue, e via, anche se si è bombardati da un jet o si è a pochi centimetri dal punto di deflagrazione di una bomba ad alto potenziale). Le musiche dell’italiano Marco Beltrami, che ha una solida esperienza in horror, thriller e film d’azione, accompagnano senza mai debordare, avendo come obiettivo di sostenere la tensione narrativa. Di grande impatto gli effetti sonori. La recitazione di Willis è come ci si aspetta, forse un po’ meno ironica e più sofferta del solito, e si difendono bene Justin Long, nei panni del giovane pirata informatico Matthew Farrell, ed il caratterista neozelandese Cliff Curtis, che qui è l’agente FBI Bowman. Dignitosi Mary Elizabeth Winstead nei panni della figlia del protagonista e Maggie Q (la "cattivissima" Mai Lihn). Discorso a parte per Timothy Olyphant, al suo primo ruolo cinematografico di rilievo dopo numerose apparizioni in serie televisive, che nella parte del capo dei terroristi Thomas Gabriel vanta una buona presenza scenica ma, forse anche per i problemi di sceneggiatura citati sopra, avrebbe potuto essere valorizzato maggiormente. Si rivede sempre con piacere, in un piccolo cameo, il viso rotondo di Chris Ellis, caratterista che ha lavorato con registi del calibro di Tom Hanks, Ron Howard, Roland Emmerich, Michael Bay, Tim Burton ed ha partecipato a serie televisive di grande successo come X-Files, Navy NCIS, Alias, CSI New York, Jag, Criminal Minds.

Die Hard: vivere o morire Un buon film d’azione, coinvolgente e spettacolare, con un Bruce Willis in gran forma, che farà divertire gli appassionati del genere che siano disposti a perdonargli alcune esagerazioni un po’ troppo evidenti.

7.5

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