Di nuovo in gioco, recensione del film con Clint Eastwood

Clint Eastwood è l'intenso protagonista di Di nuovo in gioco, la recensione.

Di nuovo in gioco, recensione del film con Clint Eastwood
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Non in pochi hanno creduto che si trattasse del ritorno dietro la macchina da presa per Clint Eastwood, a un anno dal non troppo riuscito J. Edgar (2011) attraverso cui raccontò la storia del capo dell'FBI.
In realtà, invece, Trouble with the curve (come s'intitola in patria la pellicola) rappresenta il debutto alla regia per il Robert Lorenz che, dopo un inizio di carriera in qualità di assistente alla produzione nello slasher Slumber party massacre 3 (1990), non solo è stato produttore esecutivo di Debito di sangue (2002) e Million dollar baby (2004), ma ha prodotto tutti gli altri film diretti da Eastwood a partire dal 2003 (quindi, da Mystic river al già citato biopic con protagonista Leonardo DiCaprio).
Su sceneggiatura di Randy Brown, una vicenda riguardante un padre e una figlia le cui esistenze divergono completamente; tanto che, anche quando sono insieme, risultano distanti anni luce. Fino al momento in cui le circostanze li costringono a confrontarsi, superando le proprie divergenze nel tentativo di riuscire a trovare un accordo. Perché, come spiega lo stesso Eastwood: "In ogni famiglia, anche quando le situazioni si complicano, alcuni legami restano sempre. A un certo punto bisogna iniziare a cercare un punto di intesa per riuscire a comunicare di nuovo".

Clint il (non più) solitario

Ed è proprio il texano dagli occhi di ghiaccio dello schermo - anche produttore del lungometraggio insieme al regista stesso - a concedere anima e corpo a Gus Lobel, da decenni uno dei migliori "scout" ed esperti del baseball che, in grado di riconoscere il tipo di battuta solo dal rumore della mazza da baseball e sempre in cerca di nuovi talenti sportivi, non solo tenta di nascondere a tutti i costi il fatto che stia invecchiando, ma si rifiuta di finire in "panchina" e di chiudere in questo modo gli ultimi anni della sua brillante carriera.
Anche se non ha scelta e, quando l'ufficio centrale degli Atalanta Braves inizia a mettere in discussione le sue capacità, specialmente in vista della selezione di una nuova promessa del baseball, l'unica persona che potrebbe aiutarlo, ma alla quale preferirebbe non doversi rivolgere, è la propria figlia Mickey: giovane avvocato di Atlanta con le fattezze della Amy Adams de I Muppet (2011) che ha sempre avuto un rapporto difficile con il padre, il quale, in seguito alla morte della moglie, non è stato un genitore modello.

La famiglia di Adams

Quindi, con Justin Timberlake nei panni di Johnny Flanagan, scout rivale che sogna la carriera di cronista sportivo e che finisce per desiderare il cuore della ragazza, la quale mette a repentaglio la propria carriera per salvare quella del genitore accompagnandolo in un ultimo incarico in Nord Carolina, è questo particolare rapporto familiare a dominare la circa ora e cinquanta di visione.
Particolare rapporto che, costringendo i due a trascorrere del tempo insieme per la prima volta dopo quattro anni, li porta a fare ognuno delle scoperte, rivelando verità a lungo nascoste.
Verità che potrebbero cambiare il futuro di entrambi; man mano che entrano in scena veterani dello schermo del calibro di John Goodman nel ruolo di Pete Klein, amico e capo di Gus, e Matthew"Scream"Lillard in quello di Phillip Sanderson, leader degli scout dei Braves.
Senza contare la presenza del Robert Patrick di Terminator 2-Il giorno del giudizio (1991) e dell'Ed Lauter dalla sterminata filmografia (il kinghiano Cujo e Il giustiziere della notte 3 soltanto per citare due titoli); all'interno di un cast che, circondando questa sorta di lontano parente dello Walt Kowalski di Gran Torino (2008), finisce per rappresentare il maggiore pregio dell'operazione.
Perché, in fin dei conti, sebbene la prova recitativa eastwoodiana non manchi di apparire lodevole, con tanto di osservazione "La gente che usa il computer non capisce un accidente di baseball", non pochi sono i momenti in cui quasi ci si dimentica della presenza del "buono" di Sergio Leone; il quale, sebbene sia protagonista, tende spesso a lasciare spazio agli altri volti del set.
E la risultante, con una delle situazioni memorabili individuabile nella divertente chiacchierata volta a confrontare grottescamente Robert De Niro e Ice Cube, altro non è che uno di quei classici prodotti hollywoodiani interessanti più per i grandi nomi in cartellone che per ciò che raccontano. Proprio come certe vecchie grandi produzioni della mecca del cinema di tanti anni fa, confezionate con professionalità e che si lasciano guardare, ma delle quali, andando a stringere, sappiamo tutto già dall'inizio.

Di nuovo in gioco “Di nuovo in gioco è la storia di come riusciamo a gestire gli eventi della vita. I personaggi rispecchiano un po’ tutti noi, in quei momenti nei quali siamo costretti a riesaminare le nostre priorità: l’importanza che diamo al nostro lavoro, alle nostre amicizie ed alla nostra famiglia”. Ci limitiamo a riportare questa dichiarazione di Robert Lorenz - produttore di diversi film di Clint Eastwood - per commentare il suo esordio dietro la macchina da presa. Aggiungiamo soltanto che a fare da sfondo al tutto è il baseball e che si tratta di una classica pellicola americana alla vecchia maniera che si limita a porre in scena un cast ben assortito, senza regalare troppe sorprese.

6

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