Recensione Dark Shadows

Tim Burton vi dà il benvenuto a Collinwood.

Recensione Dark Shadows
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C'è sempre fermento e tensione in momenti come questo, quando un film di Tim Burton si avvicina pericolosamente alle sale cinematografiche. Lui che, da ragazzino disadattato cresciuto nei sobborghi urbani di Burbank è riuscito a trasformarsi in una icona cult del cinema contemporaneo, trascendendo se stesso e la sua arte. Tim Burton è quel personaggio, più che persona fisica, che tutti vorremmo come mentore, padre, migliore amico... un cervello costantemente in fermento e capace di penetrare, con sottile umorismo e inguaribile tristezza, negli angoli più oscuri dell'emotività di una società sempre più avvezza a scolorirsi per una più tranquilla omologazione. È se stesso quello che vediamo riproposto nei suoi film, modellato e ricostruito, plasmato in qualcosa di più facilmente riconoscibile e identificabile. Sono le sue paure, le sue passioni, ma soprattutto i suoi desideri inespressi a mescolarsi insieme per creare quello che ormai tutti definiscono stile burtoniano. Eppure, negli ultimi anni, questa sua peculiarità sembra essersi spenta, nascosta dietro un continuo rincorrere se stesso, bellissimo da vedere, tecnicamente sempre ineccepibile, ma stranamente vuoto, indifferente. La cura all'improvvisa malattia dello stile burtoniano potrebbe essere un ritorno alle proprie origini, come dimostra l'impegno del regista in progetti come Frankenweenie o in questo Dark Shadows.

Il migliore dei Collins

È il 1752 quando Joshua e Naomi Collins decidono di trasferirsi in America, in una piccola cittadina del Maine, per costruire la propria fortuna. Nasce così Collinsport, villaggio che trova sostentamento attraverso l'attività ittica dei Collins, che diventano ben presto il cardine di tutta la società. Con loro c'è il piccolo Barnabas, destinato a ereditare tutti i beni di famiglia, compresa la sontuosa Collinwood, la maestosa residenza dei Collins. Vent'anni dopo, Barnabas (Johnny Depp) è un giovane uomo con tutto il mondo ai suoi piedi: è ricco, potente, intelligente e ha un discreto successo con le donne, tanto da aver fatto perdere la testa anche alla bella Angelique Bouchard (Eva Green), serva di Collinwood di cui lui approfitta sessualmente ed emotivamente fino a quando non si innamora perdutamente dell'angelica Josette (Bella Heathcote). Ferita e abbandonata, Angelique maledice Barnabas trasformandolo in un vampiro e seppellendolo vivo nel bosco, luogo in cui rimane fino al 1972, quando uno sventurato gruppo di operai edili incappa nella sua bara, riportandolo alla luce. Disorientato e sconcertato dal mondo che lo circonda, Barnabas si reca nell'unico luogo possibile, Collinwood, dove scopre che la sua famiglia, così come la sua adorata magione, non se la passano molto bene. Quando tutto quello a cui lui tiene di più sta cadendo in mille pezzi, l'unica soluzione è riprendere in mano le redini dei Collins e riportarli agli antichi splendori. Ma per le strade di Collinsport ormai non si sussurra più il loro nome, ma quello della proprietaria della Angel Bay, società ittica che permette alla città di sopravvivere.

Il ritorno di Burton?

Impossibile non chiedersi se con Dark Shadows Tim Burton sia finalmente pronto a tornare al suo fasto iniziale, affascinante e irresistibile, dopo le discusse cadute di stile di Alice in Wonderland. Come sempre, purtroppo, la risposta non è così facile da rintracciare. Dark Shadows è sicuramente un progetto che torna alle origini sotto diversi punti di vista, a cominciare dalla natura della storia.

L'ispirazione è quella dell'omonima serie televisiva statunitense creata da Dan Curtis che ha incatenato una generazione alla televisione, tra cui un giovanissimo Burton che, proprio con essa, ha nutrito la sua propensione per il gotico, il misterioso, le magioni dalle alte guglie. Un primo passo nel passato personale del regista a cui sembrano seguirne altri, concettuali, stilistici, decisionali. L'eterna e decadente Collinwood che si affloscia su se stessa come il rifugio di Edward Mani di Forbice, le cromatografie del make-up che si prendono scherzosamente in giro come se fossimo in Mars Attacks!, l'ironia di fondo che accompagna tutta la narrazione che strizza costantemente l'occhio a Beetlejuice. Come sempre il percorso di Tim Burton è ben evidente in ogni suo lavoro, ma da tempo ormai non si faceva così spiccatamente iconico e ridondante. Il risultato finale non somiglia però a un pasticcio di pellicole e colori e riesce a trovare una sua dimensione tutta particolare, merito anche dello scontro stilistico tra atteggiamenti ottocenteschi e stramberie anni Settanta che si ripercuote per tutta la narrazione. Ogni nota didascalicamente fuori posto non stona nel complesso e trova una sua giustificazione d'essere nella bizzarria generale che Burton imposta come filtro diegetico. Tutta la vicenda è infatti vista e raccontata attraverso gli occhi sgranati e cerchiati di nero di Barbabas Collins e, proprio per questo, accettiamo le sue stranezze e imperfezioni senza assimilarle come tali.

La famiglia prima di tutto

Johnny Depp, Michelle Pfeiffer, Chloe Moretz, Jonny Lee Miller e il giovanissimo Gulliver McGrath: la famiglia Collins ha sicuramente degli esponenti illustri i cui personaggi, ognuno con le proprie stranezze e manie, la rendono il cardine narrativo della serie televisiva. Nonostante le ottime performance di tutto il cast, non sono però loro a decidere i ritmi di Dark Shadows. Al di là della sua lucente scrivania alla Angel Bay, brilla indiscussa l'Angelique Bouchard di Eva Green. È lei che ruba il trono di incompreso protagonista al classico Depp che, ormai a suo agio nelle movenze dell'outsider, quasi non stupisce più. Angelique è un personaggio d'altri tempi, nato quasi dalla penna di donne altrettanto tormentate come Jane Austen ed Emily Bronte. Eroina guidata dal suo amore, prepotente e cannibale, eterno e indistruttibile, combatte con tutte le sue forze per conquistare la felicità che sogna da sempre e lo fa con un sarcasmo fatto di sorrisi sghembi e vertiginose scollature, incantesimi e battaglie acrobatiche. Bellissima e bravissima comanda non solo su tutta Collinsport ma anche sull'intero portafoglio di attori, abbagliandoli con la sua maestria nel gestire quella che, da sceneggiatura, è una donna assolutamente ingestibile.

Dark Shadows Dark Shadows è sicuramente un simbolo di speranza per tutti quelli che di Tim Burton e del suo cinema cominciavano a sentire ormai la mancanza. Di certo non la sua opera migliore e di strada da percorrere ce n’è ancora un po’, prima di tornare ai fasti della vecchia tenuta cinematografica burtoniana. Di fondo si tratta di una storia semplice ed episodica, di impostazione romanzesca ma affrontata con spirito moderno, merito anche dello scontro generazionale tra Ottocento e anni Settanta che avviene nel protagonista. Impossibile non rintracciare momenti divertenti e umoristici nella scoperta, da parte di un vampiro, di un mondo che da sempre si distingue per i suoi gusti e modi psichedelici. Tim Burton ancora una volta si dimostra un regista con uno stile visivo ben definito, fatto di scontri cromatici e pesanti ombre, saturazioni estreme opposte ai grigi più gotici, tecnicamente ineccepibile. È ancora una volta Colleen Atwood a vestire i suoi personaggi fuori dal tempo, donando loro quella dimensione in più da sempre ricercata dall’artista, come dietro gli spartiti musicali si nasconde il viso amico di Danny Elfman, le cui note si mescolano in contrasto con la più iconica musica anni Settanta, Alice Cooper compreso. Ma l’arte burtoniana non è tutta tecnicismi e virtuosismi, pennellate di colore ben inserite nella cornice del grande schermo: ed è quel 'qualcosa in più', che la rende emotivamente iconica, a mancare ancora a Dark Shadows.

7

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