Dark Night, la recensione del film di Tim Sutton

All'indomani della strage di Aurora, una nuova tragedia è pronta a prender forma in questo viaggio nelle vite delle potenziali vittime e dell'attentatore.

Dark Night, la recensione del film di Tim Sutton
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La strage di Aurora, avvenuta nella notte tra il 19 e 20 luglio 2012 nell'omonimo comune del Colorado, costò la vita a dodici persone e il ferimento di altre cinquantotto, tutti avventori del cinema in cui si proiettava la prima de Il cavaliere oscuro - Il ritorno (2012), terzo e conclusivo capitolo della trilogia su Batman firmata da Christopher Nolan. A questo massacro, compiuto dal giovane James Holmes, ex dottorando di neuroscienze, si ispira Dark Night, film scritto e diretto da Tim Sutton.

Il regista ci racconta le fasi precedenti di una nuova tragedia, pronta a seguire di pari passo le orme di quella ben più famosa (non a caso ripercorsa tramite i notiziari), alternando riprese della vita di tutti i giorni di vittime e attentatore: dagli adolescenti che non riescono a staccarsi dai cellulari agli appassionati di armi da fuoco, dai nerd ossessionati dai videogiochi online alle scorribande in skateboard, utenti ignari di quanto accadrà durante la visione in multisala.

La notte è oscura e piena di terrori

Prendere spunto da un evento drammatico schivandone furbescamente il confronto con la realtà, lasciando alle immagini di un telegiornale il compito di separare quel che è accaduto da quel che accadrà: una scelta necessaria dal punto di vista morale per evitare potenziali accuse dai parenti delle vittime e polemiche, ma al contempo gratuita nella reiterazione comunque omologa di un fatto di cronaca nera ancora fresco nell'opinione pubblica. Sutton "gioca col fuoco" e si prende qualche rischio, e il risultato finale forse non vale poi così tanto la pena. Dark Night è infatti una sorta di non-film, un vezzo autoriale che pecca di superbia dimenticandosi proprio del pubblico stesso a cui è rivolto, un docu-film pregno di compiacimento in cui lo stile iperrealista delle immagini diventa l'unico tratto distintivo degli ottanta minuti di visione.

Se nel seminale Elephant (2003) Gus Van Sant era riuscito a raccontare il massacro della Columbine High School con un'opera tanto scioccante quanto cinematograficamente preziosa, qui l'approccio si perde in una narrazione nulla che vorrebbe mettere alla berlina i mali dell'America contemporanea con un minimalismo underground alla Larry Clark, svuotato però proprio della forza dei personaggi, che qui appaiono come inermi e spogli involucri destinati al martirio o alla dannazione, a seconda dei ruoli.

Cinema e fotografia

Dark Night paga soprattutto un montaggio che passa senza continuità logica da una figura all'altra, dimenticandosi di costruire un background atto a identificare le varie personalità coinvolte: se da un lato questo serve a imprimere una sorta di aura universale in cui identificare gran parte dell'adolescenza contemporanea, dall'altro nega qualsiasi coinvolgimento empatico ed emotivo, lasciando una sensazione di statica freddezza che accompagna anche le fasi finali del racconto, con l'attuazione della violenza lasciata all'immaginazione dello spettatore alla comparsa di uno schermo nero seguito dalle riprese di un cielo terso dal sapore apocalittico.

Un'operazione che si bea del proprio stagnante formalismo ma che proprio per questo finisce per spegnere la tensione (che compare solo in una manciata di brevi sequenze), affidandosi unicamente alla scelte fotografiche con le quali vorrebbe dire tutto senza raccontare niente. La messa in scena scomoda e affilata segue le forme di un ritrattismo antropologico che contestualizzato in altri mezzi avrebbe forse guadagnato più senso di esistere, ma che nella forma filmica lascia il tempo che trova, rivelandosi uno stagnante buco nell'acqua.

Dark Night Prende spunto dalla strage di Aurora, costata la vita a dodici persone che stavano assistendo alla prima de Il cavaliere oscuro - Il ritorno (2012), per mettere in scena una nuova tragedia all'indomani della precedente. Il regista e sceneggiatore Tim Sutton tenta di dar vita a un'opera "totale" nel suo freddo minimalismo, finisce però per cadere in un autocompiacimento fastidioso in cui la storia e i dialoghi sono pressoché inesistenti: Dark Night è infatti un continuo alternarsi delle quotidianità pre-massacro di alcune delle potenziali vittime e dell'attentatore, che vorrebbe sfruttare la forza delle immagini (fotograficamente ispirate ma vuote di contenuto) per riflettere sulle contraddizioni dell'America moderna, dall'ossessione per i videogiochi e i selfie al fanatismo per le armi da fuoco. Ma il tentativo è al grado zero di emozione ed empatia e non raggiunge il suo pubblico, quello che avrebbe dovuto condurre a spunti di riflessione. Gli ottanta minuti di visione risultano così un esercizio di stile che pecca di superbia e annulla il significato. Il film andrà in onda sabato 29 giugno alle 23:00 su RAI4.

4.5

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