Da 5 Bloods, la recensione del nuovo film Netflix di Spike Lee

I valori della lotta civile e dell'amicizia si incontrano in un'intensa caccia al tesoro attraverso cinquant'anni di storia, tra finzione, sangue e realtà.

Da 5 Bloods, la recensione del nuovo film Netflix di Spike Lee
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Vietnam, giorni nostri. Paul, Davis, Otis ed Eddie si rincontrano dopo quasi cinquant'anni. Sono tutti veterani afroamericani della Guerra, ormai sui sessanta e con due motivi validi per tornare nel Paese dei Viet Cong: disseppellire un grande tesoro e recuperare i resti del loro commilitone, mentore e amico Norman Holloway, morto nel conflitto nel luogo in cui avevano rinvenuto il prezioso carico che poi hanno deciso nascondere e recuperare in seguito. Si tratta di oro: 45 milioni di dollari in lingotti che servivano al tempo come paga al popolo vietnamita che aveva collaborato con gli USA, dispersi però nel profondo della giungla, all'interno della carcassa dell'aereo che li trasportava.

I quattro compagni tornano in un Paese che ha radicalmente mutato aspetto (convertendosi anche al capitalismo) ma ancora sconvolto dalle ferite della Guerra, dolorose cicatrici ancora non del tutto rimarginate. Qui devono fare i conti con il loro passato e confrontarsi con un difficile presente, in un'intensa caccia al tesoro che sotto la superficie nasconde sin da subito la dirompente potenza espressiva dell'energico cinema politico di Spike Lee, che con Da 5 Bloods - Come Fratelli confeziona un nuovo ed emblematico manifesto contro il razzismo (di ogni forma) parlando di demoni interiori, guerra e amicizia.

Fratelli

Uno dei momenti storici più importanti per la lotta ai diritti civili degli afroamericani coincide curiosamente con la sanguinaria, inutile e fallimentare Guerra del Vietnam. Al finire degli anni '60, i neri rappresentavano circa l'11% dell'intera popolazione USA, ma quelli spediti in prima linea contro i Viet Cong erano il 32% delle forze militari. A casa combattevano razzismo e discriminazione, in oriente Ho Chi Minh, morendo per cause differenti ma sempre sotto la bandiera americana, soprattutto per colpa di un Paese che cercavano di cambiare e difendere e che di loro, sostanzialmente, si è sempre servito. Dall'epoca dello schiavismo alla Guerra Civile, passando per i Disordini di Boston e fino alla Segregazione Razziale e oltre, arrivando ai giorni nostri con la morte di George Floyd e le rivolte che stanno incendiando nuovamente gli Stati Uniti, gli afroamericani "sono sempre morti per l'America nella speranza di ottenere il posto che gli spetta, ricevendo invece sempre e solo calci in c**o".
Tornando dunque a inserirsi all'interno di questo ciclo di ingiustizie e violenze, con Da 5 Bloods Spike Lee manipola al minimo una realtà storica fatta di immagini e video di repertorio per raccontare l'amicizia e l'impresa di questi quattro Veterani del Vietnam, fratelli d'armi in guerra e nella vita. L'impegno civile del regista è immediatamente evidente: i filmati d'apertura ripropongono allo spettatore alcune importanti dichiarazioni di Malcom X, Muhammad Ali e Angela Davis contro lo strapotere bianco e la poca riconoscenza verso i membri delle comunità afroamericane mandate a morire al fronte.

Tra questi, Lee immagina questo piccolo e astuto gruppo guidato dal Norman Holloway di Chadwick Boseman e composto dagli altri quattro protagonisti, i 5 Bloods, i cinque fratelli. Bloccati nella canicola della giungla vietnamita e lontani della più importante battaglia che si stava combattendo in America, Paul, Davis, Otis ed Eddie vedevano in Tornado Norman il "loro Malcom e il loro Martin"; una figura carismatica in senso positivo che trasmetteva loro valori essenziali, da seguire e proteggere, a cui rimettere senza indugio la propria vita.
Soprattutto Paul (uno stupefacente Delroy Lindo) aveva in Norm la sua religione, unico membro del gruppo a vederlo effettivamente morire e intercettando proprio nel recupero dei suoi resti la missione principale - restando pur sempre molto interessato all'oro.

Tra le altre magnifiche interpretazioni di Jonathan Majors, Clarke Peters, Norm Lewis e di Isiah Whitlock Jr (che veste i panni di Melvin, figlio di Paul), proprio la performance di Lindo è quella che potremmo descrivere come "principale", nel senso di più centrale, significativa e d'impatto. Un suo monologo verso la fine del film vale da solo una nomination agli Oscar, ed è l'unico personaggio a ottenere un simile spazio confidenziale e d'apertura, forse perché più complesso dei compagni, emotivo e dannatamente respingente in più di un'occasione.

Anche contraddittorio, a dire il vero, negli anni '60 estremamente vicino agli ideali di Norman e dei Civil Rights e adesso invece a favore di Trump, tanto da indossare costantemente con un vistoso cappellino rosso con su scritto "Make America Great Again", per altro passivo-aggressivo, problematico, distrutto dentro. Tutti fattori che risultano ancora più evidenti nel rapporto con Melvin e che Spike Lee e gli altri sceneggiatori sfruttano anche come punto d'appoggio per una secca critica anti-trumpiana che investe in modo evidente ma pacato l'intera storia, dall'inizio alla fine.

Tutto è lotta

Da 5 Bloods è uno dei film più belli e importanti dell'autore, tristemente attuale e capace di raccontare attraverso guerra e amicizia le storture di una nazione in crisi. Partendo dall'evidenza dell'impegno civile e fino ad arrivare al PTSD (Disturbo Post-Traumatico da Stress) e all'esportazione del razzismo all'estero, il cinema del regista contiene tematiche strabordanti e riflessioni caustiche e accese sull'ipocrisia di un Paese fintamente forte e profondamente diviso. Viaggiando verso il luogo del tesoro, tra ricordi, scontri e confronti, i quattro protagonisti si interfacciano ognuno con i drammi dell'altro, lasciando emergere malesseri fisici, problemi economici e mancanze emotive.
Spike Lee costruisce Da 5 Bloods su temi sempreverdi e dolorosi, raccontando concretamente questa sorta di risarcimento storico-economico per tutti gli afroamericani uccisi dal razzismo e ideando concettualmente un risarcimento storico-cinematografico per tutte quelle vite distrutte, comprese in parte quelle dei protagonisti. Cinema d'autore profondo e concreto che si fa bellissimo anche dal punto di vista tecnico nei costanti passaggi tra passato e presente, dove il primo è ricreato in un fantastico formato 5:4 con pellicola 35 mm, tanto splendida da poter toccare la filigrana dell'immagine e tornare a vivere gli anni '60 in un battito di ciglia. Ma poi le riprese in steadicam, il ritmo della narrazione, l'enfasi e la regia delle parti dialogate, le idee nel montaggio e nell'editing.

Verso metà film arrivano anche un paio di scene gore davvero impressionanti, anticipate da una costruzione della tensione perfettamente bilanciata con un depistaggio formale di qualche indizio narrativo. Insomma, Spike Lee supera davvero se stesso grazie ovviamente allo sforzo congiunto di una grande squadra, arrivando anche a criticare e ugualmente citare il cinema hollywoodiano degli anni '70, parlando di Rambo come "dell'eroe bianco e damerino" con cui si tentava di vincere il Vietnam e sfruttando al contempo diverse soluzioni recuperate direttamente da Apocalypse Now, persino utilizzate con lo stesso scopo (impossibile da mancare l'omaggio a "l'orrore, l'orrore").

In conclusione, in ogni suo strato evidente o substrato nascosto, Da 5 Bloods è insistentemente e visceralmente contemporaneo e straordinario. Nel profondo, tra evidenti o reconditi meandri tematici, registici e narrativi, dimostra come la storia non sia minimamente cambiata, condannando e assolvendo in egual misura la violenza che dilaga ancora oggi per le strade americane, rimasta cauterizzata persino tra le ferite del Vietnam, altra vittima degli USA. Perché forse la violenza non è la risposta definitiva per combattere altra violenza, eppure è la sola cosa rimasta a chi è ormai stanco di ribellarsi pacificamente. Un pensiero di rivolta e rivincita che Spike Lee condensa in modo impeccabile nel motto del gruppo: "Noi non moriamo, ci moltiplichiamo".

Da 5 Bloods - Come Fratelli Da 5 Bloods - Come Fratelli è uno dei film più belli e importanti di Spike Lee. Mettendo in scena una caccia al tesoro fuori-schema, il regista di Fa la cosa giusta e BlaKkKlansman confeziona un racconto di guerra e amicizia che si muove veloce tra presente e passato, affrontando le più disparate tematiche civili da sempre care all'autore. Si parla di razzismo, di due Paesi feriti, di una storia mutevole ma immutata per le minoranze, ma anche di PTSD, di crisi economica, di relazioni complesse, bellissime o fallimentari. Concettualmente, un risarcimento storico-cinematografico per tutte le vittime del razzismo, girato magnificamente e interpretato altrettanto bene dall'intero cast, su cui a spiccare è comunque uno straordinario Delroy Lindo nei panni di un personaggio articolato, contraddittorio, profondo e respingente. Critica anti-trumpiana e cinema d'autore impegnato, l'ultima fatica di Lee arride alla Hollywood degli anni '70 mentre la sfrutta e la cita con cognizione di causa, arrivando infine a chiudere questa volontà paradossalmente dualistica nella condanna e parallela assoluzione della violenza che ancora oggi dilania l'America (e non solo). Un film tristemente, insistentemente e visceralmente contemporaneo.

8

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