Cry Macho Recensione: Clint Eastwood colpisce ancora

Il nuovo film del grande regista è un road movie atipico, personale; una resa dei conti verso il concetto di identità e di libertà personali.

Cry Macho Recensione: Clint Eastwood colpisce ancora
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C'era grande attesa da noi per il nuovo film di Clint Eastwood, resa ancor più palpitante dall'accoglienza a dir poco fredda che la stampa d'oltreoceano ha riservato all'ultima opera dello "Straniero Senza Nome", che da diverso tempo pare aver perso il feeling con la critica americana. Cry Macho è finalmente nelle sale e, al contrario, noi constatiamo che Eastwood, è riuscito ancora una volta a sorprendere, a cucire insieme un titolo pieno di umanità, che oltre a parlarci della difficile realtà in Messico affronta soprattutto il tema della distanza generazionale, della mascolinità, di un bilancio che ad un certo punto si è obbligati a fare nella propria vita.

Meditativo ma mai noioso, toccante, con quella leggera sfumatura di humor che lo ha reso iconico, Cry Macho è senza ombra di dubbio un film che merita di essere visto, l'ennesima semplice ma efficace pennellata di un grande autore cinematografico.

Un vecchio, un ragazzo e un gallo in giro per il Messico

Mike Milo (Clint Eastwood) è quello che si definirebbe normalmente un vecchio leone. Nel 1979, quando era una star dei rodei nel sud-ovest delle Grandi Pianure americane, a causa di un'infortunio ha dovuto dire addio ai propri sogni, al proprio status di macho.

Ormai anziano, e un po' deluso dalla vita, riceve inaspettatamente dal suo boss Howard Polk (Dwight Yoakam), un incarico a dir poco delicato: recuperare il figlio adolescente Rafael, scappato in Messico a seguito della madre, e farlo ritornare a casa. Non ci vuole molto perché il vecchio Mike scopra che il giovane Rafael (Eduardo Minett), si è infilato in un giro di combattimenti clandestini tra galli, con un pennuto il cui nome è proprio Macho. Convinto dal vecchio cowboy a seguirlo in un viaggio di ritorno alquanto incerto e pericoloso, grazie a Mike Rafael comincerà un percorso di formazione personale, che gli cambierà la vita. Allo stesso modo il ragazzo instillerà in quel vegliardo pieno di ricordi, ma anche di saggezza, una scintilla di vita che scoprirà essere ben più presente di quanto immaginasse. Cry Macho è tratto dall'omonimo romanzo di N. Richard Nash del 1975, da decenni considerato uno dei più profondi ed intimi di quella generazione di autori, capace negli anni 70 di rivoluzionare gli archetipi della narrativa americana, in particolare quella dedicata al mito della frontiera e ai suoi protagonisti. Dieci anni fa pareva dovesse toccare a Schwarzenegger esserne protagonista, invece è stato il vecchio Clint a cimentarsi nell'impresa.

La decostruzione dell'Eastwood testosteronico

Partiamo col dire immediatamente che Cry Macho conferma in pieno l'ultimo periodo autoriale di Eastwood, la sua volontà di creare una completa decostruzione del mito dell'uomo forte, dello Straniero senza Nome, del macho tutto d'un pezzo che in fin dei conti egli ha sempre interpretato per gran parte della sua inimitabile carriera.

Dagli spaghetti western di Sergio Leone, alla saga dell'Ispettore Callahan, dai film fatti con tanti altri registi, fino al suo percorso registico di prim'ordine, come scrivevamo nel nostro (speciale su Clint Eastwood), l'icona originaria di San Francisco è stata per decenni l'ultimo macho, il duro dal cuore d'oro per antonomasia, l'eroe armato di pistola ma anche di autoironia, esternamente brutale ma intimamente sensibile. La verità è che anche nei lungometraggi di cui si è limitato ad essere regista negli ultimi anni, che trovate descritti nella nostra recensione di Sully), ma soprattutto nella recensione di American Sniper (oltre ovviamente a J. Edgar), Eastwood si è concentrato nella demitizzazione dell'eroe americano, che ancora oggi è un assoluto protagonista narrativo sul grande schermo. Cry Macho segue tale finalità in modo aperto e e coraggioso, così come avevamo sintetizzato nella nostra (recensione di The Mule, che all'epoca aveva lasciato in molti stupiti per il modo in cui Eastwood aveva interpretato un personaggio totalmente agli antipodi rispetto a quelli a cui ci aveva abituati.

Qui vi è una più decisa sfumatura personale, perché Mike Milo sembra l'alter-ego di Clint, dei suoi protagonisti. Sembra quasi una sorta di velata autocritica, per non aver fatto comprendere abbastanza come per lui interpretare pistoleri dallo sguardo di ghiaccio o poliziotti delle maniere forti fosse soprattutto un gioco. Ma è fuor di dubbio che già a quel tempo, sottotraccia, egli rendesse ben più spartana l'epica hollywoodiana classica.

Cosa significa essere un uomo?

Cry Macho ha tanto in comune anche con Gran Torino (recuperate qui la nostra recensione Gran Torino), non solo e non tanto per il suo avere al centro una minoranza, in questo caso quella messicana, ma soprattutto per come perdura la volontà da parte di Eastwood, di mettere in scena più che uno scontro, una comunicazione transgenerazionale.

Rimane, come nel suo grande capolavoro sul reduce di Corea indurito dalla solitudine, la stessa domanda di fondo, quella che Eastwood ha posto per tutta la sua cinematografia: cosa vuol dire essere un uomo? Forse rispettare alcune regole basilari? Magari dimostrare durezza o invincibilità come crede Rafael? E se non è questo, in fin dei conti, allora che cos'è oggi un uomo, in questo mondo sempre più fluido e mutevole? Cry Macho risponde metaforicamente cominciando come un classico western, un road movie, pieno di tensione, a volte paura, e del mai appagato diretto destro di Clint (90 anni e non sentirli), diventando poi un racconto contemplativo, dove sarà l'indagine interiore a far capire ad entrambi i protagonisti chi sono e quale strada vogliono intraprendere.

Come sempre nella sua carriera o quasi, la regia di Eastwood è misurata, classica, è al servizio dei personaggi (rarità nel cinema di oggi) e della loro evoluzione, di quel gallo che è quasi depositario della loro visione della vita, di un ideale che si evolve col tempo. Cry Macho è il film con cui l'ultimo, vero, divo d'America ragiona su ciò che ha fatto, su ciò che ha rappresentato, sull'anima di un Paese, di una Frontiera, in cui è facile perdere coscienza di sé, in cui le nuove generazioni forse gli paiono prive della giusta guida.

Cry Macho è una pellicola incredibilmente attuale, piena di sentimento ma mai retorica e, per quanto forse leggermente poco dinamica esteticamente, di grande impatto emotivo. Sorge il sospetto che le critiche in patria siano da tempo connesse alle convinzioni politiche di Eastwood, in realtà molto più sfumate di quanto si creda. Vale la pena ricordare che si parla di un regista che qui conferma il suo coraggio di autore. Lo stesso che gli ha fatto parlare di omosessualità, eutanasia, femminismo e minoranze molto tempo prima che fosse di tendenza.

Cry Macho Clint Eastwood con Cry Macho crea un iter narrativo a metà tra il western e il racconto di formazione, in cui affronta il concetto di maturità, di mascolinità, staccandosi dalla narrazione testosteronica. Film molto personale, intimo e pieno di sentimenti, Cry Macho è anche un confronto generazionale tra l'America di ieri e quella di oggi, divise da molto ma unite dal problema della libertà esistenziale, del mito del maschio che schiaccia sensibilità ed empatia. Un film umile ma pieno di significati, con cui lo Straniero Senza Nome torna a parlare dell'animo umano.

8

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