Recensione Crazy Heart

Un monumentale Jeff Bridges per una storia di redenzione e musica country.

Recensione Crazy Heart
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Dopo quattro nomination andate a vuoto, la sera del 7 marzo Jeff Bridges potrebbe finalmente tornare a casa accompagnato da quella statuetta lucente chiamata Oscar, grazie alla sua magnifica interpretazione di Bad Blake in Crazy Heart. Avvalendosi di un cast attento e pieno di talento ed esperienza, di panorami dalle tinte calde e mozzafiato e di tanta buona musica country, Scott Cooper approda al cinema con il suo primo lungometraggio.

Brand New Angel

Bad Blake (Jeff Bridge) è un cantante country con una carriera in declino, troppi matrimoni alle spalle, molte ore passate in compagnia dell'alcool chiuso in camere di squallidi motel, ed un apparato respiratorio che funziona grazie all'apporto ininterrotto di nicotina. Vive in solitudine, di concerto in concerto, da una bettola all'altra, portandosi ogni sera in camera una donna diversa, fino a quando non si esibisce a Santa Fe dove viene intervistato da una giornalista locale, Jean Craddock (Maggie Gyllenhaal), con cui si instaura presto un rapporto molto intimo e passionale. Ma Jean ha un figlio e se vuole entrare a far parte della loro vita, Blake dovrà dare inizio ad un complesso processo risanatorio che lo trasformi dall'alcolizzato ex-uomo che si lascia vivere, in una persona nuova.

La musica country è composta di tre accordi e della verità

Crazy Heart racconta un percorso di redenzione, così come molti film prima di lui. Un uomo distrutto, corrotto fin nel profondo, trova improvvisamente un motivo per cui vale la pena tornare a vivere, solitamente una donna ed i sentimenti che prova per lei, così lontanamente persi nei propri ricordi. Guardando indietro solo di pochi mesi ci si accorge che stiamo seguendo lo stesso filo narrativo alla base di The Wrestler di Darren Aronofsky, o ancora più indietro di Un tenero ringraziamento, la pellicola che consegnò l'Oscar a Robert Duvall. Nulla di originale sul campo della sceneggiatura quindi, adattamento dell'omonimo romanzo di Thomas Cobb, eppure questa vecchia storia, sentita mille volte, non annoia. Come mai? Sicuramente il merito va prima di tutto al monumentale attore protagonista. Bad Blake sembra costruito su Jeff Bridges ed ogni ruga espressiva, ogni lento movimento, ogni espressione sembrano reali ed affascinanti. L'attore riesce a conferire al suo personaggio sfumature inaspettate, soprattutto in una storia che contiene tutti i presupposti per trasformarsi in un one man show, modellato su un personaggio centrale che traina le redini di una storia semplice e d'impatto. Bridges è invece riuscito a gestire la narrazione in maniera impeccabile, trasformando in protagonista la storia e non il personaggio stesso, sottraendosi quando necessario per dare maggiore spazio agli altri personaggi o semplicemente alle emozioni. Magistrale anche l'interpretazione della sua compagna sullo schermo, Maggie Gyllenhaal che riesce a dare maggiore spessore alla sua Jean, sulla carta una tipica madre single combattuta tra le sue emozioni ed il bene del proprio figlio. Insieme i due attori mostrano un perfetto esempio di che cosa singnifichi veramente entrare nel personaggio, tanto da condizionarlo e trasformarlo in una propaggine di se stessi. Tutto il resto però non si azzera a confronto con queste due interpretazioni, ma si moltiplica ed assume una ragione d'essere. Panorami sconfinati, contrasti tra l'azzurro lucido del cielo e le sabbie bruciate dal sole, bettole di periferia che costituiscono l'anima di una parte del territorio statunitense... tutto legato dal filo conduttore della musica country, un mix di varie influenze creato appositamente per la pellicola da T Bone Brunette assieme al compianto cantautore texano Stephen Bruton, tra cui spicca la bellissima The Weary Kind, la ballata acustica che Bad Blake sta scrivendo nella seconda metà del film e che diviene tema conduttore del suo personale viaggio.
Crazy Heart, se vogliamo, sarà anche la solita storia, ma il modo in cui Scott Cooper decide di raccontarla, assolutamente concreto eppure profondamente emozionale, funziona alla perfezione e conferisce una nuova dimensione alla storia, rendendola quasi nuova agli occhi dello spettatore completamente immerso in un mondo che non gli appartiene.

Crazy Heart Come trasformare una storia bella ma già ascoltata mille volte in qualcosa di nuovo? Basta consegnarla nelle mani giuste, e così Crazy Heart si trasforma della sottile ma profonda storia di un uomo che si trasfroma da una versione più alcolica del Drugo in un Jeff Bridges al massimo delle sue capacità. La poca originalità o i personaggi secondari per nulla approfonditi (peccato per il produttore di Blake interpretato da Robert Duvall che avrebbe potuto regalare alla pellicola un maggiore spessore, o per l'inespresso conflitto di Bad con il suo più commerciale allievo Tommy), passano così completamente in secondo piano davanti a delle interpretazioni che divengono colonne portanti dell'intera pellicola.

7

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