Corpus Christi, la recensione del film di Jan Kosama

Candidata agli Oscar 2020, un'opera potente ed evocativa, illuminata dalla straordinaria interpretazione del suo giovane protagonista.

Corpus Christi, la recensione del film di Jan Kosama
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Il giovane Daniel ha trascorso l'ultima parte della sua vita in un riformatorio, per via di un grave crimine da lui commesso che ha segnato, e segnerà per sempre, la sua esistenza. All'interno della struttura ha avuto un vero e proprio risveglio spirituale, ma la sua fedina penale gli impedirà di poter coronare il suo sogno di diventare un uomo di Chiesa.
Il ragazzo è prossimo a trascorrere un periodo di libertà vigilata per favorire il suo reintegro nella società e viene assunto in una segheria di un piccolo villaggio del suo Paese, la Polonia. Prima di recarsi al colloquio di lavoro però Daniel decide di fare una visita in chiesa e questo cambierà inaspettatamente il suo immediato futuro.
Qui è infatti scambiato per il nuovo reverendo, il quale dovrà sostituire per qualche tempo Padre Tomasz, attualmente indisposto. Il protagonista decide di stare al gioco e assume quelle vesti talari che aveva sempre desiderato poter indossare.
Le sue strane e bizzarre omelie spiazzano inizialmente la platea di fedeli locali, ma con il passare del tempo Daniel comincia a farsi apprezzare da molti e si rivelerà determinante nell'aiutare una persona, ostracizzata dall'intera cittadinanza per via di una tragedia avvenuta nel passato della comunità.

Odio e amore

Vi avevamo già parlato del cinema di Jan Kosama con la recensione del suo ultimo film, esclusiva del catalogo Netflix, ossia l'intenso thriller drammatico The Hater (2020). Facciamo ora un breve balzo nella sua carriera passata per presentarvi la sua opera forse più matura e completa, non a caso candidata all'Oscar come miglior film straniero ed entrata nella cinquina finale nell'anno del Parasite pigliatutto.
Corpus Christi esce finalmente nei cinema italiani dopo quei lunghi mesi di attesa dati dalle restrizioni che ben tutti conosciamo, ed è un'occasione ghiottissima per chi è in cerca di un prodotto di qualità e sostanza, in grado di utilizzare un plot relativamente semplice in maniera incisiva e catartica, tale da scardinare pregiudizi e ostracismi in maniera furente e consapevole.
Se l'incipit di base può ricordare a grandi linee un classico di Hollywood come Non siamo angeli (1955) e il suo relativo remake, la storia qui è ben connotata su snodi drammatici e profondamente realistici, pur dovendo fare i conti con la forzatura d'apertura dalla quale poi prende il via l'impianto base del racconto vero e proprio.

Le vie della redenzione sono infinite

Perché il percorso compiuto da Daniel non è soltanto quello di un arrivista pronto a sfruttare la ghiotta occasione presentatagli su un piatto d'argento, come inizialmente potrebbe sembrare: vitto e alloggio assicurati, con la consapevolezza però sempre in agguato che il suo inganno prima o poi verrà scoperto.
No, quello del protagonista è un maturo coming-of-age che utilizza la teologia con fare ambiguo ma non disdicevole, che nel suo essere a tratti esteticamente profano si rivela molto più sacro e sacrificale di quanto lui stesso potesse aspettarsi. Diverse scene madri sono permeate da una potenza primigenia che lascia senza fiato, sia per le magnifiche scelte registiche sia grazie alla maestosa, totalizzante performance di Bartosz Bielenia, un agnello pronto a trasformarsi in leone sempre e comunque a fin di bene.
Diventa lui il difensore dei più deboli e non esita a prendere le parti di qualcuno ormai escluso da tutti, pronto ad andare contro i propri interessi e rischiando di far saltare la propria copertura pur di fare la cosa giusta.
La love-story in divenire con la bella Marta è un altro elemento di disturbo che però non distoglie mai Daniel da quell'opera di Fede per la quale si sente il solo e unico portatore.
L'epilogo conferma i toni da tragedia ma quanto scorre nel mezzo, carico di energia e sana consapevolezza, è capace di conquistare ed emozionare il pubblico a più riprese.

Corpus Christi Non è raro che in Polonia diversi individui si facciano passare per preti quando in realtà non hanno neanche fatto la comunione: una serie di casi che ha ispirato Corpus Christi, diretto nel 2019 da Jan Kosama e selezionato nella cinquina finale dei candidati all'Oscar per il miglior film straniero. Ci troviamo davanti a un'opera potente ed evocativa, in cui il giovane protagonista, appena uscito dal riformatorio e reduce da un passato di violenza, viene scambiato come nuovo sacerdote di un piccolo villaggio. Quel ruolo inizialmente assunto per gioco e desiderio - il suo sogno, irrealizzabile per via della fedina penale, era quello di diventare uomo di Chiesa - diventa ben presto una cosa seria e dopo le prime titubanze la sua presenza cambierà per sempre e in diversi modi la vita della comunità. Suggestive scene madri, una regia potente ed evocativa, e la furente e intensa performance del protagonista Bartosz Bielenia rendono le due ore di visione un concentrato esplosivo di emozioni e spunti di riflessione, capace di smuovere le coscienze.

8.5

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