Recensione Copia conforme

In viaggio con Abbas Kiarostami tra realtà e finzione

Recensione Copia conforme
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Il regista iraniano Abbas Kiarostami, da sempre ammirato per il suo cinema intensamente poetico, oltrepassa per la prima volta gli aspri confini del suo Paese per girare una pellicola in terra nostrana, più precisamente in Toscana. Culla del rinascimento, fucina delle arti ma anche eterno dipinto di bellezza grazie ai suoi paesaggi bucolici, questa terra baciata dal sole e profondamente ‘artistica' è stata d'ispirazione per Copia Conforme, film in cui due intellettuali smarriti intavolano una filosofica discussione sull'originalità nell'arte, ma anche nella vita, che sfocerà in un confronto dialettico, pericolosamente in bilico tra realtà e finzione.

Sotto il sole della Toscana

Lui, l'affascinante scrittore inglese James Miller (il tenore William Shimell), si trova alla conferenza italiana del suo libro Copia Conforme, un interessante saggio filosofico-letterario che avallerebbe la tesi secondo cui "una buona copia è meglio dell'originale", e secondo cui l'arte in sé non è altro che un rifacimento del reale. Lei (Juliette Binoche), invece, è una seducente gallerista francese, trasferitasi da molti anni in Toscana. I due faranno conoscenza e trascorreranno del tempo insieme, passeggiando per le amene vie di una Lucignano da cartolina, confrontandosi sulla tesi sostenuta nel libro di lui. E mentre attraversano in auto strade fiancheggiate da filari di cipressi, giungono a Lucignano in mezzo a un pullulare di novelli sposi (si dice che Lucignano sia di buon auspicio per i matrimoni), e dibattono sulla vera bellezza di una statua in cui la donna ha il capo chino sulla spalla dell'uomo, si va delineando una dinamica tutt'altro che rosea. Tra i due, infatti, si accende la miccia di un gioco pericoloso in cui arde il fuoco di un rapporto logorato dalle assenze e dalla distanza (più mentale che fisica), come in ogni coppia che si rispetti, e che si barcamena altalenante tra finzione e realtà. Un crescendo di tensioni dialettiche, stemperate solo dalla cornice bucolica e dalle note di O surdato nnammurato che accompagnano i festeggiamenti delle giovani coppie ancora non arenatesi nel porto dell'oblio.  Tensioni soprattutto interiori che mirano a instillare nello spettatore un dubbio: si tratta di due sconosciuti al primo approccio o di una coppia di lunga data che ripercorre gli stadi logoranti di una vita fatta di sofferenze e incomprensioni?

Esercizi di perfezione

È la prima volta che il regista Abbas Kiarostami, in esilio forzato, gira un film fuori dalla sua terra. E forse tale condizione lo ha privato di quel trasporto che al cinema si traduce in emozione, soprattutto nel suo cinema (basti pensare alla forza evocativa di lavori come Il vento ci porterà via o Il sapore della ciliegia). Questo suo ultimo film, Copia Conforme, è esattamente come la copia conforme cui s'ispira. Esteticamente perfetto ma privo delle emozioni conturbanti che fanno correre il pennello sulla tela dell'artista ispirato, quale Kiarostami senza dubbio è. Una raffinatissima confezione, fatta di un lungo piano sequenza iniziale, inquadrature strette e simmetriche di interni, acuti e pletorici (forse un po' troppo) dialoghi, grande rigore cromatico nel riprendere una Toscana dalle tonalità pastello, sullo sfondo della quale vibrano le tensioni di una matura Juliette Binoche (sempre di grande intensità) e del baritono William Shimel (prestato per la prima volta al cinema e che sembra trovarsi piuttosto a suo agio davanti alla macchina da presa). Ogni scena è una ponderata combinazione di elementi estetici, da sottolineare la bellissima fotografia del nostrano Luca Bigazzi, e dialoghi incalzanti, vero cuore del film, dai quali emergono l'acredine dei rapporti, il logorio di punti di vista non sempre speculari e una tenue nostalgia per le primavere trascorse. Soffermandosi sul valore del giudizio e di quanto sia quest'ultimo a valorizzare opere, persone e vite, Kiarostami trae spunto dal concetto di unicità per realizzare un film che ruota tutto attorno ai suoi due attori protagonisti, simulacri di esistenze che "non guardano nella stessa direzione", ma in direzioni opposte, e alla coppia cui danno vita. Coppia simbolo che si allunga tramite il parallelo con le altre coppiette che incontreranno a Lucingnano: da quella giovane e speranzosa a quella anziana che ancora cammina teneramente fianco a fianco, metafora del sostegno reciproco che si sostituisce all'amore passionale. 


Alla ricerca della semplicità

Se la Binoche tiene fede alla visceralità fisica che l'ha consacrata attrice di livello, capace di passare dal dramma alla commedia senza la minima sbavatura, il suo ‘Adamo' fa del suo meglio per starle dietro, in una vorticosa vertigine di tirate verbali che rimangono sospese a mezz'aria, tra dubbi instillati e rapporti che si piegano sotto il peso di un'eloquente incomunicabilità (in una delle scene clou, ognuno usa la propria lingua, come a voler esasperare il distacco). Un film che ha il pregio di rimanere impresso per lo stile, di una perfezione ellenica, ma dall'incedere algido che cela uno sguardo sotteso di malinconia. Malinconia per quella donna matura ed esuberante che cerca ostinatamente la spalla di un consorte su cui posare il capo, segnando la resa della sua indipendenza, e per quell'uomo talentuoso e di successo, che non ha saputo carpire il segreto della serenità facile, quella a portata di mano che è altra cosa dalla perfezione. Quella che vive nella balbuzie di un uomo comune o nella bellezza di una copia conforme. Per stare a ciò che dice Kiarostami attraverso James Miller: "Non c'è cosa meno semplice dell'essere semplici". E qui, forse, ciò che manca è proprio un po' di emozionante semplicità.


Copia conforme Apolide e costretto a un esilio forzato che forse lo ha privato di qualche stilla di passionalità, Kiarostami firma un’opera dalla confezione perfetta, in cui inquadrature, colori e dialoghi lavorano all’unisono per rendere ogni istante perfetto. Un grande lavoro di minuziosa ricerca stilistica, di cui un regista come Kiarostami è senza dubbio un maestro, sostenuto dalla inesauribile bravura della Binoche e da un attore neofita rubato all’opera che se la cava 'onestamente' anche sul grande schermo. Nell’incastro di perfezioni, però, si perde di vista l’ampiezza dello spettro emotivo, fatto perlopiù di sfumature. Il risultato è un film che manca di emozionare come dovrebbe, molto lontano anche dal cinema essenziale e poetico di Kiarostami, ma che ha comunque molto da dire in fatto di stile.

7

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