Cold War: la recensione del nuovo film di Pawel Pawlikowski

Arriva in Italia il nuovo, grandioso film di Pawel Pawlikowski, Cold War, con protagonisti Joanna Kulig e Tomasz Kot.

Cold War: la recensione del nuovo film di Pawel Pawlikowski
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Appena in tempo per rientrare nelle nostre classifiche di fine anno dedicate ai migliori film del 2018, e a pochi giorni dal trionfo agli European Film Awards (dove è stato eletto miglior film e premiato anche per la miglior regia, sceneggiatura, attrice e il miglior montaggio) arriva nelle sale italiane Zimna wojna, ovvero Cold War, la nuova tragedia di Pawel Pawlikoski.
Evidentemente la statuetta per il miglior film straniero ricevuta agli Oscar 2015 con Ida al regista polacco non bastava, perché nel raccontare questo dramma d'amore epico nella dilatazione temporale e shakespeariano nell'epilogo, elegante ma essenziale nella messa in scena e laconico nello spiegarsi, Pawlikoski allestisce un film ancora più bello, che sullo sfondo della Guerra Fredda si muove fra Polonia, Germania, Francia e Jugoslavia, tra il 1949 e il 1964 e su diverse sfumature di generi musicali.
C'è un evidente manierismo che potremmo quasi definire istrionico, nell'esasperata parsimonia di mezzi cinematografici coi quali Pawlikoski continua a estremizzare la sua visione da poeta ermetico: formato in 4/3, categoricamente in bianco e nero, pellicole che durano sempre meno di quanto in realtà dovrebbero (o che il soggetto vorrebbe che durassero), composte da sequenze centellinate ai limiti dell'avidità che però esprimono sempre più di quello che raccontano. Se Alfonso Cuaron con ROMA ha simulato il neorealismo felliniano e lo ha rielaborato tramite il suo sguardo, Pawlikoski ha preteso di rifare il cinema dell'epoca stessa che va a raccontare. E lo ha fatto con una grazia e una leggerezza che sono modernissime, davanti alle quali è impossibile rimanere indifferenti.

La La War

La caratteristica peculiare di Cold War è il modo in cui il montaggio taglia via tutte le sfumature drammatiche di una tragedia ampia, ai limiti dell'epopea, mantenendo al suo interno solo gli aspetti più positivi.
Ciò che resta, in meno di 90 minuti, è la storia di un compositore musicale (Wiktor, interpretato da Tomasz Kot) e una giovane cantante talentuosa (Zuzanna, interpreta da Joanna Kulig) che si innamorano nel 1949 e che per quindici anni tentano ripetutamente (ma sempre inutilmente) di vivere il loro amore.
È una vicenda, questa, che ben si presterebbe a kolossal di ampio respiro, un dramma d'amore di quattro ore alla Via Col Vento. Pawlikowski però sottrae la tragedia, "scarta" via pagine e pagine del libro delle vite di Wiktor e Zuzanna e di quei quindici anni di distanza conserva solo i pochi giorni che il destino bastardo decide di concedergli.

Come un Lawrence d'Arabia senza la guerra o un La La Land svuotato dalla narrazione e ridotto a stacchi musicali. E il paragone con il film di Damien Chazelle è quasi d'obbligo, per quanto all'apparenza ardito: in Cold War, dopo il sistematico lavoro di "eviscerazione" del contesto effettuato da Pawlikowski, la musica diventa il solo modo che lo spettatore ha di sentire non solo il passaggio del tempo, ma anche il mutamento geografico, con i canti folkloristici polacchi, gli inni di propaganda sovietici e i ritmi occidentali nei salotti e nei nightclub di Parigi, pieni di jazz e addirittura rock & roll.
Tutte canzoni d'amore a corredo dei fugaci momenti di felicità che Pawlikowski concede ai suoi protagonisti, censurando per noi il resto.

La Tragedia di Wiktor e Zuzanna

Come eroi shakespeariani orfani di patria, Wiktor e Zuzanna vivono vite conflittuali mosse dai capricci del destino. Pawlikowski si intromette fra loro e li segue nei momenti dell'amore, degli amplessi, dei litigi e degli abbracci. Ci sono anni e distanze a tenere separati i due, ma l'arte cinematografica piega tempi e spazi, e grazie a un lavoro certosino di ellissi in Cold War sembra che per chi è destinato a stare insieme, anni e distanze non contino nulla.
La fotografia di un cristallino bianco e nero esalta i momenti di intimità e gli spettacoli onirici da cinema art-house immaginati dal regista, che inquadra il fango ghiacciato come fosse una tela dipinta dal più grande dei pittori e gli affreschi nei muri corrosi dalle intemperie e dalla guerra.
La sua natura episodica tratta il tema dell'amore senza confini con la leggiadria e la sinteticità incisiva di un haiku, racchiudendo in pochi versi un intero mondo e due vite complete: la politica e la storia ci sono ma appaiono sullo sfondo, sono ingredienti di passaggio nel contesto delle esistenze dei protagonisti, si agitano appena fuori campo e poi svaniscono quando i due amanti tornano nella stessa inquadratura.
Come in Ida, la Polonia è oscura e soffocante, qui però l'amore riesce a emergere di continuo, boccheggiando fra un'onda anomala di cambiamenti e l'altra, inspirando a pieni polmoni nelle pause fra cinismo, conflitti, tradimenti e prigionie, come se il sentimento che li tiene in vita fosse l'unico inno che Wiktor e Zuzanna sono in grado di cantare contro le bruttezze del mondo.

Cold War è poi anche un'opera sul cambiamento, e sull'impossibilità di cambiamento. C'è un conflitto bellico che va avanti per tutto il film e che non vediamo, una battaglia che spacca il pianeta Terra in due distinguendolo in porzioni denominate Occidente e Oriente: i leader cadono e vengono sostituiti, le persone muoiono, i campi di prigionia sono allestiti e smantellati, le ideologie si scontrano in ogni modo possibile e dal punto di vista di ogni ambito (soprattutto da quello musicale) le città mettono in mostra loro stesse e i propri stili di vita. Varsavia, Berlino, Parigi. Per Wiktor e Zuzanna nessuno di questi cambiamenti messi in atto dagli ingranaggi della storia conduce al cambiamento definitivo che stanno aspettando, quello che finalmente gli permetterà di stare insieme.
Rick e Isla avrebbero sempre avuto Parigi, in Casablanca. In Cold War il ricordo della felicità passata è totalmente inutile, conta solo il presente e la speranza forse appartiene in esclusiva a un'altra vita. E Parigi è solo un altro dei tanti rimpianti da provare a dimenticare.

Cold War Con Cold War il regista polacco Pawel Pawlikowski scrive e dirige un nuovo capolavoro, ermetico come una poesia di Ungaretti e dal feeling vetusto come un film dell'Europa dell'Est dopo-guerra. Il tocco leggiadro col quale il regista tratta poi la storia d'amore dei due protagonisti conferisce all'opera una peculiare modernità, mentre le numerose ellissi trasformano sapientemente un'epopea drammatica in un film romantico dal sapore agrodolce e indimenticabile.

9

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