Recensione Ci vediamo a casa

Le coppie "accasate" di Maurizio Ponzi

Recensione Ci vediamo a casa
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Ex critico cinematografico e aiuto regista per Pier Paolo Pasolini in Amore e rabbia (1969), l'ultima volta che abbiamo visto il romano classe 1939 Maurizio Ponzi - autore, tra l'altro, di Volevo i pantaloni (1992), Anche i commercialisti hanno un'anima (1994) e delle prime avventure cinematografiche di Francesco Nuti - al timone di un lungometraggio cinematografico fu in occasione di A luci spente (2004), nel quale raccontò in maniera romanzata - e con diversi riferimenti alla figura di Vittorio De Sica - la nascita del Neorealismo.
Una pellicola caratterizzata da un ricco cast che, oltre a Giulio Scarpati, Filippo Nigro e Toni Bertorelli, includeva la stessa Giuliana De Sio impegnata in questo Ci vediamo a casa a concedere anima e corpo alla molto ingombrante madre di un Nicolas Vaporidis omosessuale, pronto a innamorarsi di un poliziotto con le fattezze di Primo Reggiani.
Vicenda che seguiamo parallelamente a quella dei benestanti Myriam Catania e Giulio Forges Davanzati, conosciutisi al circolo del tennis e destinati, per necessità, a ritrovarsi entrambi nella casa di lui, e a quella della coppia formata da Edoardo Leo e Ambra Angiolini, costretti ad accettare l'ospitalità dell'amico pensionato Antonello Fassari, forse invaghitosi della ragazza.

Otto sotto un tetto

Tre storie ambientate in altrettante zone della capitale italiana, da quella balneare di Ostia ai quartieri più lussuosi, passando per il Prenestino.
Tre storie d'amore, fondamentalmente, costruite attraverso i tipici toni leggeri della commedia tricolore, ma che sembrano sempre lasciare uno spiraglio per il più o meno annunciato arrivo del dramma.
Tre storie che non mancano, comunque, di regalare allo spettatore occasioni per sprofondare in sane risate; grazie soprattutto alla già citata De Sio che, magistrale nell'incarnare questa grottesca madre fornita di accento romanesco e che detesta le forze dell'ordine tanto quanto ama fumare le canne, non solo sfodera una divertente battuta riguardante Piero Angela, ma si cimenta anche in un dialogo a tavola con il figlio e il suo neo-fidanzato, tirando in maniera esilarante in ballo Fragole e sangue (1970) di Stuart Hagmann e I segreti di Brokeback Mountain (2005) di Ang Lee.
Man mano che Ponzi, supportato dalle lodevoli prove sfoggiate dagli otto attori principali, confeziona il tutto attraverso quel modo semplice di fare cinema nostrano, ma sempre efficace, tipico degli artigiani della celluloide provenienti dalla vecchia scuola, decisamente lontana dall'epoca delle immagini digitali.
Fino alla simbolica resa dei conti in chiesa, quindi, davanti a Dio, di una oltre ora e quaranta di visione che rischia soltanto di rispecchiare, a tratti, il look del prodotto da piccolo schermo (ricordiamo, tra l'altro, che il curriculum Ponzi include la serie televisiva Il bello delle donne); pur dimostrandosi capace di funzionare discretamente e di risultare, nel complesso, gradevole.

Ci vediamo a casa “La casa è un bisogno sociale primario, ma spesso è anche l’occasione per fare emergere sentimenti e comportamenti inattesi. Il cinema italiano ha affrontato il problema della casa molte volte: con il tono magistralmente sentimentale de Il tetto, con quello farsesco di Totò cerca casa, con quello paradossale di Arrangiatevi. Con Ci vediamo a casa la mia idea era di mettere a confronto tre storie d’amore che si sviluppano in un modo piuttosto che in un altro a seconda del luogo in cui si svolgono. E, nello stesso tempo, raccontarle con tre stili diversi”. Così, Maurizio Ponzi descrive il suo ritorno al cinema, a otto anni da A luci spente (2004). Un lungometraggio caratterizzato da tre storie d’amore (due etero e una gay) e che punta principalmente sul suo ricco cast al fine di concretizzare un misto di commedia e dramma. Nulla di eccezionale, ma non annoia e riesce anche nell’impresa di strappare qualche risata.

6

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