Recensione Chocò

Dalla Colombia una triste storia tutta al femminile

Recensione Chocò
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Chi è Chocó?
Con le fattezze della colombiana classe 1986 Karen Hinestroza, vista sul grande schermo in El vuelco del cangrejo (2009) di Oscar Ruiz Navia e a teatro in Un tram chiamato desiderio e Il giardino dei ciliegi dopo essersi diplomata in arte drammatica presso l'Università del Valle, è una donna ventisettenne che, madre di due figli, svolge un lavoro sottopagato in una miniera d'oro e vive all'interno di una piccola capanna di legno al confine di un villaggio colombiano insieme al marito Everlides alias Esteban Copete, suonatore di marimba che perde al gioco il poco denaro che hanno e di cui lei è succube, soprattutto quando è ubriaco.
Perché, come spiega il regista Jhonny Hendrix Hinestroza, autore degli short Tricolor fútbol club (2005) e Cuando llegan los muchachos (2010), qui al suo debutto nel lungometraggio: "Chocó cerca di restare a galla. L'unica cosa che la fa andare avanti sono i suoi bambini, ma la depressione dovuta alla sua relazione e la violenza a cui è sottoposta le faranno cambiare idea sulla sua vita e la sua cultura".
In particolar modo dal momento in cui, pur credendo che le cose potranno andare meglio, perde il lavoro, sua figlia desidera una torta di compleanno e, come se non bastasse, l'uomo finisce per spendere i loro ultimi risparmi.

27 anni schiava

Ed è con il canto funebre per la morte di una madre che aprono i circa ottanta minuti di visione, volti poi a mostrare, immediatamente, Everlides impegnato a costringere Chocó ad avere un rapporto sessuale con lui, sebbene la donna stia dormendo.
Una situazione che provvede subito ad immergere lo spettatore nello squallido e tutt'altro che sereno quotidiano vivere della protagonista, tra baracche fatiscenti e totale assenza di moderni mezzi tecnologici quali la televisione o i telefoni cellulari.
Del resto, il titolo del film non fa riferimento soltanto al nome di questa particolare figura femminile ottimamente incarnata dalla già citata Hinestroza, ma, con capoluogo a Quibdó e comprendente altri trenta comuni, è anche uno dei trentadue dipartimenti di cui si compone la Colombia.
Connotato dalla foresta pluviale, è uno dei luoghi più piovosi della Terra, ricco di risorse naturali ma caratterizzato da una popolazione le cui condizioni economiche rientrano tra le più basse della nazione.
Non a caso, pur immortalando una triste storia di dura convivenza familiare, è proprio su questi aspetti che, parallelamente, si concentra la macchina da presa; accennando, tra l'altro, agli speculatori propensi ad usare il mercurio inquinante per la ricerca dell'oro e alla discriminazione dei neri, cosiddetti afro-colombiani.
Quindi, l'esile soggetto, complice un tragico ed inaspettato epilogo, riesce, di conseguenza, a porsi in maniera efficace al servizio di un racconto sì di finzione, ma che non sembra dimenticare neppure un indispensabile sguardo di taglio documentaristico.

Chocò “Chocó è un ritratto profondo su coloro che vivono in una terra dimenticata; è una metafora sulla ricchezza di questa terra e sull’abuso che ne deriva. È una storia che mescola dramma, amore e toni comici, come accade nella vita reale”. Sarebbe sufficiente questa dichiarazione del cineasta colombiano classe 1975 Jhonny Hendrix Hinestroza per sintetizzare il suo primo lungometraggio, drammatica storia al femminile volta a raccontare non solo le difficoltà della vita coniugale della protagonista, ma anche quelle con (e della) povera realtà che la circonda. Nel corso di una breve operazione che svolge a dovere sia il proprio compito di raccontare una storia di finzione che quello di documentare le scarse condizioni economiche in cui versa il dipartimento colombiano del titolo.

6

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