Che Dio ci perdoni, la recensione del thriller di Rodrigo Sorogoyen

Una coppia di detective indaga su un serial killer di anziane donne in una Madrid prossima alla visita di Papa Benedetto XVI.

Che Dio ci perdoni, la recensione del thriller di Rodrigo Sorogoyen
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Madrid, 2011. Mentre la città è in fermento per l'imminente visita di Papa Benedetto XVI e della relativa Giornata della Gioventù, un serial killer sta commettendo omicidi di donne anziane, tutte rigorosamente vittima di violenza prima della morte. In Che Dio ci perdoni la polizia cerca di nascondere il fatto all'opinione pubblica per non far sfigurare le autorità durante i giorni caldi dei delitti, mentre gli investigatori Luis Velarde e Javier Alfaro, a cui è affidato il caso, si trovano alle prese con indagini più che complicate spesso ostacolate anche da colleghi e superiori. Due uomini assai diversi tra loro, il primo preso in giro per le sue stramberie e una balbuzie cronica, il secondo conosciuto per la sua indole scorbutica, che si troveranno a unire le forze nella ricerca dell'assassino che nel frattempo sta perpetuando la propria scia di sangue con altri efferati delitti.

A caccia dell'assassino

Candidato a sei premi Goya (gli "Oscar spagnoli") e vincitore di quello per miglior attore a Roberto Álamo, Che Dio ci perdoni recupera archetipi del noir classico aggiornandoli al thriller moderno, riportando in alcune fasi alle memoria cult quali Seven (1995) in un'ottica prettamente indigena che cattura appieno il fascino urbano della capitale iberica. Alla sua terza prova dietro la macchina da presa, la prima in solitaria, il regista Rodrigo Sorogoyen mischia bene le carte sin dalla gestione della sceneggiatura, di cui è co-autore, dando vita a personaggi reali e credibili che creano una sana contrapposizione nella lotta tra buoni e cattivi, mischiando luci e ombre in un amaro gioco metropolitano di tradimenti e solitudini. E già nello svolgimento delle indagini la pellicola trova una sua forza pregnante nella caratterizzazione complementare dei due detective, ognuno alle prese con complicate situazioni personali tali da renderli figure complesse e sfaccettate, lasciando poi a soluzioni via via più tensive il compito di trainare verso l'inaspettato colpo di scena finale e relativo epilogo.
Una struttura che riporta alla mente anche alcune intuizioni del mai troppo citato Memories of murder (2003) e che inserisce gustose pedine di contorno e situazioni attigue non solo a collocare cronologicamente gli eventi ma anche a rendere più stratificato il sottotesto sociale in cui questa caccia all'uomo ha luogo, in una corsa contro il tempo dove la paura dell'opinione pubblica assume un ruolo più che fondamentale. Tra dialoghi incisivi e taglienti, una sana violenza di genere e sortite action di sobria efficacia, le due ore di visione scorrono in un lampo e senza tempi morti grazie anche alle ottime performance dei due protagonisti, con il già citato Álamo e Antonio de la Torre a infondere vibrante personalità ai rispettivi alter-ego filmici.

Che Dio ci perdoni Un thriller d'impatto che coniuga un'efficace messa in scena con una sceneggiatura curata nei minimi dettagli, capace di sfumare al meglio il lato personale e introspettivo dei protagonisti - con un background secco e stratificato che si evolve con lo scorrere dei drammatici eventi. Che Dio ci perdoni guarda a modelli alti senza timori di sorta, avvincendo nel compimento della complessa indagine grazie a comprimari ottimamente caratterizzati e a situazioni più originali della media, lasciando al rapporto tra i due detective il modo di variare ulteriormente con freschezza le relative dinamiche narrative. Il film andrà in onda stasera, martedì 22 maggio, alle 21:00 su RAI4 in prima visione TV.

7.5

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