Charlie Says, la recensione: Matt Smith è Charles Manson

Dalla mura del carcere dove stanno scontando la loro pena, tre ragazze ripercorrono il periodo vissuto nella comune di Charles Manson.

Charlie Says, la recensione: Matt Smith è Charles Manson
Articolo a cura di

Leslie Van Houten, Patricia Krenwinkel e Susan Atkins sono tre ragazze della Manson Family, la comune in cui il carismatico e folle Charles Manson viveva con i suoi adepti. Tre anni dopo essere entrate a farne parte le giovani si trovano tra le mura del carcere per scontare la condanna seguita ai loro efferati crimini, con la pena di morte che pende sulle loro teste.
In Charlie Says un'assistente sociale che opera nell'istituto penitenziario si propone di riportarle alla realtà e di liberarle da quel lavaggio del cervello fatto loro dal controverso leader: ha così inizio una serie di lunghi flashback nei quali le ragazze ripercorrono quanto vissuto in quei drammatici giorni, dal primo periodo in cui tutto sembrava andare per il meglio con la filosofia di "peace & love" che aleggiava nella comunità alle ultime fasi, dove la violenza ha preso inevitabilmente il sopravvento fino ai drammatici omicidi dei quali la setta si è macchiata.

Un'altra versione

Che la strage nella quale perse la vita anche Sharon Tate, compiuta dagli adepti di Charles Manson, sia ultimamente "tornata di moda" anche per via della citazione all'interno dell'ultimo film di Quentin Tarantino, C'era una volta a... Hollwood, è un dato di fatto, come testimoniano anche le diverse produzioni a tema realizzate negli ultimi tempi, tra cui l'ottimo Mindhunter. Tra queste vi è anche Charlie Says, in cui Matt Smith, attore britannico noto per essere stata l'undicesima incarnazione del Doctor Who nell'omonima serie televisiva di culto, interpreta appunto Manson.

La pellicola, presentata al 75esimo festival del cinema di Venezia, è diretta da una donna, Mary Harron, già regista di storie scioccanti per American Psycho (2000) e la miniserie Netflix L'altra Grace, e l'attenzione non a caso si concentra su tre figure femminili che hanno idolatrato il crudele leader come una vera e propria divinità.

All you need is love

L'operazione ha un taglio parzialmente biografico in quanto è tratta dal libro The Family, scritto nel 1971 da Ed Sanders e Guinevere Turner, e si concentra sulla psiche delle tre giovani protagoniste, con un'alternanza tra il presente filmico (nel quale le ragazze si trovano tra le sbarre del penitenziario) e i numerosi flashback che ripercorrono le fasi salienti della loro permanenza nella comune gestita da Manson.
La sceneggiatura proprio per questa scelta soffre di una frammentazione eccessiva, anche se il percorso di relativa discesa agli inferi avviene abbastanza gradualmente e si focalizza su eventi salienti, uno dei quali ripercorso nell'amaro epilogo che mostra come le cose sarebbero potute andare con una decisione al posto dell'altra.

Il contesto introspettivo/drammatico risulta a tratti smorzato, e il fatto di concentrarsi principalmente sulla figura di Lulu (un'ottima Hannah Murray) offre un quadro meno esaustivo del previsto, con il coinvolgimento emotivo volutamente affievolito e un altrettanto esibito, ma paradossalmente realistico, approccio erotico nelle numerose orgie tenute dalla setta, nelle quali Manson comandava le proprie ancelle come vere e proprie schiave sessuali.
Charlie Says ha una precisa impronta stilistica, con alcune sequenze di notevole impatto visivo (su tutte quella in cui il leader parla ai proprio seguaci seduto su una sedia antistante il saloon della comunità), ma sembra non riuscire ad affondare totalmente nella sporcizia morale che vigeva in quel circolo chiuso e foriero di segnali sempre più inquietanti.

Charlie Says Aveva sicuramente diverse frecce al proprio arco, ma non tutte hanno centrato il bersaglio: Charlie Says sembra infatti una versione appena abbozzata, sorta di affresco ridotto, di quanto avveniva all'interno della Manson Family, la comunità dove lo spietato leader imponeva il proprio credo e assurgeva al ruolo di divinità per i suoi molti adepti, per gran parte di sesso femminile. Qui la controversa figura interpretata da un ottimo Matt Smith è una sorta di villain-calamita per le tre ragazze sulle quali si concentra il racconto, vittime di un vero e proprio lavaggio del cervello e rinchiuse nel presente filmico tra le mura di un carcere per scontare i loro crimini. I continui flashback ci mostrano quanto avveniva all'interno della setta, e il rischio frammentazione si fa palese in più occasioni, solo parzialmente smussato da una discreta attenzione ai passaggi chiave e dalle efficaci interpretazioni del cast: il risultato finale è tanto scorrevole quanto imperfetto e migliorabile, e difficilmente allo scorrere dei titoli di coda verrà voglia di un'ulteriore visione.

5.5

Che voto dai a: Charlie Says

Media Voto Utenti
Voti: 5
4.2
nd