Recensione Centochiodi

"Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico"

Recensione Centochiodi
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Il regista

E' rimasto uno dei pochi, grandi, registi italiani viventi. Uno dei suoi film più famosi, e recenti, è l'epico Il Mestiere delle Armi, ma Ermanno Olmi può vantare una carriera ricchissima, partita già nel 1959 con il primo lungometraggio Il Tempo si è Fermato. Una grande passione per il documentario, e questo si può evincere dalla cura con cui inquadra l'essere uomo all'interno di un suo contesto, dove osserva la persona alle prese con il suo lavoro. Narratore di piccole grandi storie, di forti legami con la natura e solitudini dell'animo, come in uno dei suoi massimi capolavori, L'Albero degli Zoccoli, vincitore anche della Palma d'Oro a Cannes, dove racconta le vicende di alcune famiglie di contadini, con attori rigorosamente non professionisti e dialoghi dialettali. Ancora premi, con il Leone d'Oro per La leggenda del Santo Bevitore, con un intenso Rutger Hauer. Arriverà poi un grande successo per la pellicola cavalleresca già precedentemente citata, poi l'orientale Cantando dietro i Paraventi con Bud Spencer come "narratore", e infine avrà un menage à trois con altri due maestri, Abbas Kiarostami e Ken Loach, coi quali realizzerà il film Tickets. Un percorso di grande importanza, e ora con questo Centochiodi il regista ha deciso di chiudere la sua carriera per quanto riguarda i film di finzione, per dedicarsi esclusivamente al mondo dei documentari, alcuni già in fase di realizzazione. Un commiato di tutto rispetto.

La trama

"Ma i libri, pur necessari, non parlano da soli", è con questa frase di Raymond Klibansky, esimio professore canadese morto nel 2005, che si apre il film. Il personaggio interpretato da Raz Degan, senza nome, viene chiamato all'inizio del film "professorino", in quanto professore di filosofia delle religioni all'Università di Bologna, ma ben più giovane rispetto alla media dei suoi colleghi. Un uomo normale, in ottimi rapporti col vescovo con il quale teneva in ordine la biblioteca di libri sacri, che erano tutta la vita per l'uomo di Chiesa. Ma un giorno cento di questi libri vengono trovati inchiodati, al pavimento o ai tavoli della sala di lettura. Il professore comincia così la sua fuga, nella quale decide di disfarsi di tutti i beni materiali (eccetto il denaro), fingendo un suicidio, e trova come nuova dimora una vecchia costruzione abbandonata, vicino ad un paesino sulle rive del Po. Verrà accolto nel migliore dei modi dai suoi abitanti, dai quali verrà rinominato simpaticamente Gesù Cristo (per via del suo look, barba e capelli lunghi) e attirerà le simpatie di una ragazza. Ma intanto, le forze dell'ordine si mettono sulle sue tracce...

Tra cielo e terra

Un coraggioso, estremo, percorso alla riscoperta dei veri valori della vita. E' questo il viaggio emotivo compiuto dal personaggio di Degan, una scelta ricca di incognite dove l'unica certezza è quello che si lascia indietro. Il successo, gli attestati di stima, un ottimo guadagno. Ma la felicità è sempre racchiusa nel benessere superficiale? Chiaramente no, e Olmi ci mostra uno dei modi per ritrovare le proprie radici, per ridare sfogo alla parte più intima dell'animo umano che richiede solo pace e tranquillità, a contatto pieno con la natura. Quel lato che dentro l'uomo moderno sta morendo ogni giorno di più, macchiato dall'assurdità di una vita standardizzata a certi canoni, e intrisa di tecnologia e apparenza. Ma non c'è solo questo: per compiere questa catarsi, il protagonista deve uccidere prima tutti i suoi demoni interiori, rinnegando tutto il lavoro di un'esistenza. E' come se egli diventasse una sorta di nuovo Cristo, moderno e distaccato dai beni materiali, basti vedere la scena della cena, dove Degan appare come Gesù all'Ultima Cena, o come quando i compaesani gli chiedono di trasformare l'acqua in vino. Signficative le frasi pronunciate dal professore, di vitale importanza per assegnare il giusto senso alla pellicola. Ad esempio "Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico" esprime con poche parole uno dei più grandi concetti dell'umanità, laddove troppe volte si perde tempo in futili letture, dimenticando il valore della vita reale. Un significato più complesso, che va al di là di una banale critica alla letteratura, ma finisce per comprendere tutti i lati dello scibile umano, incapace com'è di scindere tra la verità e la menzogna. Menzogna che viene additata peraltro alla Chiesa Cattolica, contro la quale Olmi si scaglia coraggiosamente, quasi fautore di un'impossibile crociata. E ancora qui frasi di grande impatto, che hanno provocato non poche critiche e polemiche da parte del clero, basti assistere al furioso litigio tra il protagonista e il vescovo, nel quale c'è un botta e risposta da mettere i brividi: "nel giorno del giudizio Dio ti punirà per quello che hai fatto" e la risposta è: "nel giorno del giudizio Dio dovrà rendere conto all'umanità di tutta la sofferenza del mondo", pronunciata con una tale enfasi da Degan (o meglio dal suo doppiatore, e spiegheremo dopo il perchè di questa scelta) capace di far vibrare le sale del Vaticano. Un film contro, condivisibile o meno, ma che dimostra come Olmi sia un regista senza la paura di esprimere i suoi pensieri, un uomo in grado di urlare potentemente le proprie convinzioni. E nel cinema italiano attuale, dove si cerca di piacere a tutti scendendo a compromessi, è come una luce in mezzo alle tenebre.

Vita di campagna

Bisogna anche citare qualche piccolo difetto in fase di sceneggiatura, purtroppo non priva di sbavature. Un esempio fulgido è l'uso della carta di credito da parte di Degan, per prelevare circa 30.000 euro per aiutare i suoi nuovi "vicini", il che oltre che essere surreale, più che ovviamente avrebbe fatto scoprire la nuova residenza del ricercato. Inoltre il modo in cui inscena il finto suicidio è un po' troppo ingenuo, e facilmente smascherabile. Ma forse il più strano degli exploit narrativi è quello dell'accoglienza così calda e subito amichevole da parte degli abitanti del paesino. Si sa che la vita in quel genere di location è sicuramente più improntata alla socialità, ma forse appare un po' esagerata questa propensione affettuosa verso il nuovo arrivato. Sono sicuramente soluzioni di trama utili, e necessarie, per lo scopo prefissato all'inizio, ma appaiono talvolta un po' fuori luogo.Per ciò che concerne invece i protagonisti, bisogna fare un grande plauso per la scelta di Raz Degan. Dai tempi di Squillo ne ha fatta di strada, e se la sua comparsata in Alexander di Oliver Stone (interpetava Dario III, re di Persia) era già un piccolo risveglio, qui con Centochiodi ha subito una vera e propria resurrezione, un percorso comune a quello del suo personaggio. Peccato per il doppiaggio, infatti nel film l'attore ha la voce di un suo collega, Adriano Giannini (figlio di Giancarlo), ma d'altronde si richiedeva un italiano perfetto per un professore di un'università italiana, sarebbe stato strano il contrario. Ma comunque, tramite gli sguardi e le espressioni, si può notare la sua grande intrepretazione. Il resto del cast merita una nota a parte invece, infatti la maggior parte è formata da attori non professionisti, ed è facile notarlo soprattutto per ciò che concerne il nucleo contadino, dove gli abitanti parlano tutti in dialetto stretto, tanto che molte volte vi è l'uso dei sottotitoli per facilitare la comprensione a tutti. Una scelta genuina, che rende la pellicola più realistica e porta di più ad immergersi nella storia, quasi potesse avvenire a chiunque di noi. La regia si divide tra scelte di tipico stampo documentaristico, splendidi scorsi naturalistici (la natura è la vera coprotagonista) e scene dal grande impatto visivo-emozionale, simbolo di grande cinema, come quando i contadini si oppongo all'arrivo delle ruspe mettendosi sulle sedie in mezzo alla strada sterrata. Da storia del cinema, poi, la scena della crocifissione dei libri, carica di una potenza drammatica estrema, che l'accompagnamanento di musica sacra rende ancor più emotivamente scioccante. Musiche che per l'altro son sempre presenti in tutto il film, più che altro con canti popolari o melodie di vecchi balli di qualche decade fa. Peccato per una durata relativamente breve, il che porta gli avvenimenti a succedersi fin troppo velocemente, e impedisce di dare una maggior visione dei rapporti umani, escluso quello tra il professore e la giovane ragazza del paese. Centochiodi è uno dei film più importanti del cinema italiano degli ultimi anni, un'opera difficile ma genuina, da riscoprire assolutamente ora in edizione Dvd.

Edizione Dvd

L'edizione San Paolo presenta il video nel formato 16:9, laddove colori e luminosità finiscono per risultare più che nitidi, con un'ottima performance anche nelle scene nottune. L'audio vede l'italiano in Dolby Digital 5.1, registrato in maniera pulita (anche per la comprensione, a volte ardua, dei gerghi dialettali) e potente quando serve, supportata dai sottotitoli in italiano e italiano per non udenti.Il comparto extra è forse il migliore, visto che vede il dibattito tenuto su Raisat tra il regista, il filosofo Galimberti e il cardinale Ersinio Tonini, di grande interesse. Poi abbiamo un'intervista del critico Maurizio Porro allo stesso Olmi, e i classici storyboard e trailer. Un'edizione più che buona, d'altronde per questo genere di film non si è ma chiesta la luna.

Centochiodi Ermanno Olmi ci regala un piccolo gioiello, uno di quei film che il cinema, italiano e non, solitamente ha paura di realizzare. Tratta temi difficili, da quello religioso al rapporto vita-letteratura, senza peli sulla lingua. Avvantaggiato da un Raz Degan veramente straordinario, ci regala una storia genuina, dove mostra che la felicità sta nelle cose piccole, e in mezzo alla natura l'uomo può ritrovare il vero scopo dell'esistenza.

7

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