Recensione Capitan Harlock 3D

L'Arcadia del leggendario pirata dello spazio fa tappa a Venezia

Recensione Capitan Harlock 3D
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Non c’è star hollywoodiana o italiana che tenga. Non c’è regista che possa competere. Non c’è capolavoro che possa tenere il passo. Per i ‘ragazzi degli anni ‘80’ è Harlock: Space Pirate il film più atteso di questa 70ma Mostra di Venezia. Fuori concorso e introdotto dal simpatico cortometraggio Mickey Mouse: O’ Sole Minnie, il ‘pirata tutto nero che per casa ha solo il ciel’ sbarca al Lido in anteprima, in attesa che il 1 gennaio 2014 Lucky Red distribuisca l’attesissima opera tratta dal manga di Leiji Matsumoto anche in Italia. Ma a Venezia l’attesa è doppia, dato che è il Maestro in persona ad accompagnare il film assieme al regista Shinji Aramaki e all’attore Haruma Miura, che interpreta il ruolo del giovane Logan, spia del Governo che trama contro il Capitano e ne diventa infine il migliore amico. A Cannes avevamo avuto modo di esaminare un trailer esteso del film (qui la nostra anteprima), da cui avevamo tratto alcune impressioni di massima. Oggi, avendo visto l’opera nella sua interezza, le possiamo finalmente approfondire e correggere con cognizione di causa.

Harlockcentrismo

Diamo per scontato che chi legge conosca bene il personaggio e addentriamoci subito nel cuore dell’analisi, specificando da principio il succo della questione: il film ci è piaciuto. Nutrivamo dubbi sulla resa grafica, sospesa tra la necessità di infondere ai personaggi un realismo tridimensionale - inteso sia in prospettiva stereoscopica, in definitiva ottimamente realizzata, che in termini di modelli in cgi - e l’esigenza di restare fedeli al tratto inconfondibile di Matsumoto, alle sue figure oblunghe, alla sua visione al contempo grottesca e romantica di spazi, ambienti e personaggi. A conti fatti, possiamo affermare con certezza che l’equilibrio è stato trovato. Harlock e il suo mondo sono riconoscibili e credibili. Eppure, bisogna fare attenzione, perché questo è al contempo l’Harlock che conoscevamo e non lo è. “Ci siamo resi conto che bisognava fare un reboot - ha affermato in conferenza stampa Aramaki - per adattare il mito del pirata al Giappone di oggi”.
Ma ha senso, per Harlock, parlare di reboot? L'universo di Matsumoto - o come lo chiamano i fan, Leijiverso - è sempre stato indipendente da logica e coerenza narrativa: l'autore ha costantemente reinventato i suoi personaggi per ogni espressione del franchise di Harlock, come se stesse dirigendo attori veri alle prese con copioni differenti. E le cose cambiano anche questa volta, leggermente eppure sensibilmente. Resta la struttura, restano gli archetipi. Ma cambiano i nomi e le situazioni. Abbiamo il giovane infiltrato irruento che nutre odio nei confronti di Harlock, e si troverà infine da lui conquistato (allora si chiamava Tadashi, oggi Logan), abbiamo il mozzo corpulento dal cuore d’oro (allora Yattaran, oggi Yulian), la bella mercenaria segretamente innamorata dell’eroe (ieri Yuki, stavolta Kai). Gli unici a non cambiare nome sono, oltre al Capitano, l’aliena Meeme e l’amico Tochiro, a cui è riservata una breve ma significativa apparizione, in cui appare però più magro e slanciato di come ce lo ricordavamo. Insomma, le cose cambiano ma restano le stesse. Lo stesso Harlock, se nel look è pressoché identico alla malinconica silhouette che ha accompagnato la nostra infanzia, appare qui molto più duro, dark e spietato di quanto ci potessimo aspettare: porta sulle spalle il peso di decisioni e colpe che hanno fatto soffrire milioni di persone, ed è ben lungi dal potersi considerare ‘senza macchia’. Dall’altro lato della barricata, si trova come da tradizione un ordine organizzato: non le mazoniane o i mutanti, come nelle serie precedenti, ma il controverso Ordine di Gaia, che ha reso la Terra un santuario inaccessibile. Ora gli umani vogliono riconquistarla e confidano nell’eroismo di Harlock e della sua ciurma per raggiungere lo scopo.

MITO DI FONDAZIONE

La funzione principale di un mito, presso le culture che miticamente si orientano, è quella di fondare, ordinare e conferire valore agli aspetti della realtà che quella determinata cultura ritiene importanti per la sua costituzione. Naturalmente, le culture variano nel corso della storia e dunque il mito deve poter variare esso stesso, perché la realtà storica cambia in continuazione, dunque ciò che per una cultura è importante oggi potrebbe non esserlo tra cinque, dieci o vent’anni. Pensiamo al racconto di un mito presso una cultura a tradizione orale: ogni volta che lo si racconta, varia anche di poco. Un nome, un dettaglio, una situazione. E’ un processo spontaneo, così il mito, che è malleabile, si plasma, si riforma, si accosta alle esigenze di chi lo sta narrando. Il procedimento narrativo di Matsumoto è analogo, ma traspone il concetto nella modernità del racconto per immagini, procedendo per associazioni di idee, più che seguendo le regole della logica e del principio di causa/effetto. Harlock è una figura che, dentro e fuor di finzione, affonda le sue radici nella leggenda, ed è costruito con la materia di cui sono fatti i miti. Si narra che sia immortale e che solchi i cieli da oltre cento anni. Nel film, il suo scopo è infrangere le barriere del tempo lineare - e, dunque, guarda caso, proprio il principio di causa/effetto - per far tornare tutto all’origine, a prima che accadesse l’irreparabile. Far rinascere l’universo, uguale a sé stesso eppure diverso: è l’eterno ritorno nietzschiano, il serpente che si morde la coda. Così questo Harlock è al contempo all’origine della sua storia e all’estrema conclusione della sua parabola. E’ un film più occidentale dei suoi predecessori: palesa e spiega quel che prima era solo suggerito, legando assieme, almeno da un punto di vista simbolico, tutti i precedenti capitoli della saga. Harlock è un’idea: può essere supportata, può essere corrotta. Non è infallibile, perché Harlock, in quanto speranza dell’umanità, rappresenta l’umanità stessa. E di fronte alle sue contraddizioni, sia in termini di logica che di etica, c’è solo un modo di reagire. Lo dice il film stesso, in una linea di dialogo, offrendo una chiave importante: “non porti troppe domande. Agisci”.

Il coraggio di piangere

Più prosaicamente, potremmo definire questo Harlock: Space Pirate a metà tra sequel e prequel, ma giocando con i paradossi temporali, si costituisce in effetti anche come una ripartenza, un nuovo inizio. Di più non si può dire, per non rischiare di rovinare le molte sorprese che la pellicola offre: “Cinque anni fa si parlava contemporaneamente in Giappone e in America di rilanciare il personaggio - ha detto Aramaki - Ci si volevano spendere cifre ingenti, fino a un miliardo di dollari. Abbiamo capito quanto ancora il personaggio fosse popolare. Così tutto è cominciato”.
La platea si commuove quando prende la parola Matsumoto, impeccabile nella sua tenuta militaresca con baschetto. Tenero nel suo filosofeggiare, forse anche un po’ senile: “Harlock è il personaggio più antico che abbia mai creato - dice il Maestro - mi è venuto in testa poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, ascoltando i racconti di mio padre. La parola Harlock, così onomatopeica, mi rimbombava nella mente, non so nemmeno io perché. Ero bambino e immaginavo questo personaggio che ha varcato i sette mari ed è in grado di pilotare nello spazio e aiutare l’umanità contro problemi come il riscaldamento globale e l’invecchiamento del mondo. Sono felice di poterlo vedere in cgi, con le tecniche di oggi. E’ fantastico, immagino quanto tempo e quante persone ci sarebbero voluti per raggiungere questo risultato senza il computer. Sia chiaro che non mi sento finito: la mia mente è ancora ricca di storie da raccontare e voglio continuare tenacemente a farlo. Ho visto tanto nel mondo, mio fratello è un ingegnere che si occupa di satelliti artificiali, mio padre era un pilota, nel mondo ci sono le lucciole, le barche, la luna, c’è molto da raccontare. Non credo sia necessario far ripartire il mondo, ma bisogna anche avere il coraggio di fermarsi a piangere, soprattutto i giovani: non è una vergogna. Bisogna piangere e andare avanti dandoci dentro”.

Capitan Harlock 3D Graficamente equilibrato, narrativamente complesso ed evocativo, simbolicamente ricco e - nota che non guasta - piacevole nella visione in 3D, Harlock: Space Pirate è il film definitivo sul bucaniere dello spazio, di cui costituisce, al contempo e senza contraddizioni, il mito di fondazione e la parabola finale, giocato sull’asse morte - rinascita - immortalità. In senso simbolico, ma non solo. Tutti gli Harlock precedenti convergono in questo, come tutti gli uomini convergono in Harlock. Perché il Capitano è soprattutto un’idea e, come tutte le idee, può essere sostenuta, e anche irreversibilmente corrotta, ma non muore mai definitivamente, rinascendo ogni volta uguale a sé stessa, e ogni volta un po’ diversa.

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