Caleb, la recensione dell'horror di Roberto D'Antona su Prime Video

L'attore e regista firma la sua particolare versione dell'horror vampiresco, un film che a dispetto dei suoi limiti possiede un'energica ambizione.

Caleb, la recensione dell'horror di Roberto D'Antona su Prime Video
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La giornalista Rebecca è in cerca di risposte sulla scomparsa della sorella, sparita da tre mesi senza lasciare alcuna traccia. La reporter viene contattata da un informatore il quale le consegna un file top secret inerente la cittadina di Timere, un paesino di montagna al confine con la Svizzera. La peculiarità del posto è che non compare su nessuna cartina geografica e chiunque vi faccia visita pare svanire nel nulla.
Contro ogni superstizione, Rebecca decide di partire per Timere, dove trova alloggio in una sgualcita locanda. Nella camera a fianco vi è una coppia di turisti che trascorre con lei i giorni successivi. Poco dopo il suo arrivo, la protagonista fa la conoscenza del misterioso Caleb, una sorta di divinità per tutti gli abitanti dai quali è considerato un vero e proprio benefattore. Ma chi è realmente quest'individuo affascinante e ambiguo e quali segreti nasconde l'amena località?

La forza del coraggio

Roberto D'Antona aveva stupito tutti, pubblico e addetti ai lavori, già con il fan film Dylan Dog: Il Trillo Del Diavolo (2012), operazione fatta da un appassionato del più famoso indagatore dell'incubo.
E la sua idea di un cinema italiano diverso si è radicata anche nei successivi lavori, seppur imperfetti, che svariavano tra i generi con una personalità rara nel campo low-budget nostrano.
Attivissimo anche nelle web-series, l'attore e regista era atteso al grande passo con Caleb, la sua produzione più ambiziosa fin dal corposo minutaggio, che supera le due e ore e mezza di visione. E pur al netto di alcune, perdonabili, ingenuità la scommessa può dirsi ampiamente vinta.

La pellicola, da qualche giorno disponibile in home video e nel catalogo di Amazon Prime Video, è infatti un graditissimo omaggio non solo al filone vampiresco nella sua totalità, ma all'intero mondo dell'horror, con un occhio di riguardo per i cult italiani degli anni '70 e '80. E questo cominciando dall'irresistibile look degli abitanti di Timere, ricalcato su figure ben care ai cultori.

Sangue chiama sangue

D'Antona mette qui in mostra quel qualcosa che manca a molti suoi colleghi e cioè la voglia di osare, senza paura di rasentare il ridicolo ma puntando sempre a un eccesso rischioso e virtuoso.
Se alcuni risvolti appaiono parzialmente esagerati per quanto si aveva a disposizione, la forza che caratterizza la storia e la relativa rappresentazione riesce a nascondere anche i passaggi più deboli. La messa in scena, pur ondeggiando tra un taglio semi-amatoriale e uno più moderno in linea con i titoli mainstream, si rivela adatta ai toni e alle atmosfere di partenza, con la sottotrama mystery della vicenda che ben si amalgama a quell'anima più prettamente dark.

Caleb fa di necessità virtù in maniera invidiabile, trovando il modo di coprire i relativi limiti con una regia dinamica e scattante e sequenze suggestive, ottimamente "rabbuiate" dalle cupe scelte fotografiche, e non si fa mancare nemmeno un lungo flashback ambientato in un remoto passato.
Gli stessi dialoghi, apparentemente derivativi e prevedibili nelle loro battute a effetto, ben si accompagnano all'essenza da b-movie che caratterizza l'intero insieme ed esaltano quell'amore per i prototipi in maniera sarcastica e avida al contempo.

Tra richiami a un immaginario action fatto di acqua santa, paletti e affilatissime spade - con tanto di elemento asiatico nel cast - il film si rivela un divertente omaggio alle pietre miliari, dove il sangue scorre a fiumi ed eros e thanatos sono legati saldamente tra loro.
E l'arcaico borgo di Vogogna, teatro delle oscure vicende sotto il fittizio nome di Timere, è l'ideale palcoscenico per questa resa dei conti tra il Bene e il Male dalle origini secolari.

Caleb Roberto D'Antona conferma con Caleb la sua insaziabile e contagiosa brama di osare oltre il consentito e di dar vita a film che citano immaginari di genere ben consolidati in curiosi ibridi tra il lato più dark e una verve (auto)ironica. Nelle due ore e mezza di visione il regista, qui anche convincente interprete del villain, rimastica a proprio piacimento il filone vampiresco. Si permette quindi di richiamare archetipi dell'horror a 360° in più di un dettaglio, dai dialoghi a effetto - azzeccati nella loro calcolata ridondanza - al look dei numerosi personaggi secondari, originando un microcosmo nel quale l'appassionato ha modo di sentirsi a casa. Il budget non ancora all'altezza delle grandi produzioni e alcune sbavature, dovute perlopiù alla furiosa, coinvolgente, voglia di rischiare non inficiano la gradevolezza di un'operazione che sa come e dove vuole andare, con una sana incoscienza che nasconde anche suddetti limiti.

7

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