David Bermann è un ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio, dove ha visto morire molti dei suoi più cari amici. L'uomo è riuscito infatti a ingraziarsi il comandante tramite la sua naturale propensione per le barzellette: le battute facevano ridere a crepapelle gli ufficiali nazisti, tanto da garantirgli un possibile show davanti a Hitler in persona.
Alla fine della guerra, tra le rovine della Germania che fu, David ha un solo obiettivo, quello di trasferirsi negli Stati Uniti e abbandonare per sempre quei luoghi per lui così dolorosi. Con un gruppo di compagni cerca così di racimolare il denaro necessario per la partenza, ma in un Paese così provato dal conflitto non è certo semplice fare fortuna.
L'idea è quella di mettere in piedi un commercio porta a porta di biancheria, settore nel quale la famiglia di Bermann era attiva prima dell'avvento del Reich.
Echi di un recente passato
"Hitler è morto, noi siamo ancora vivi": è in questo dialogo chiave, ripetuto in più occasioni nel corso di film, che risiede il concetto di resilienza che caratterizza il tentativo dei protagonisti di rifarsi una vita, di ricominciare dove tutto si era fermato con la salita al potere della dittatura nazista.
Bye Bye Germany insiste pesantemente su questo assioma, che si fa non solo narrativo ma anche stilistico. La stessa messa in scena infatti procede su un percorso reiterato, indirizzato su passaggi che si ripetono e alternano nel corso dell'ora e mezza di visione, in una sorta di approccio tragicomico, dove humor e amarezza convivono in una prosa antitetica e volutamente discordante.
In tempi recenti abbiamo assistito a pagine fondamentali della storia rilette in verve farsesca, basti pensare all'irresistibile Morto Stalin, se ne fa un altro (2017) di Armando Iannucci, ma in questo caso, pur con un tentativo parzialmente simile nelle intenzioni, viene affrontata una vicenda più piccola e personale, ispirata peraltro a fatti realmente accaduti.
Sogni e incubi
La componente drammatica è affidata soprattutto ai diversi flashback che Bermann ripercorre durante le fasi dell'interrogatorio, atto o meno a scoprire se questi avesse stretto un rapporto intimo con i nazisti per salvarsi la vita. Qui viene esaltato il suo particolare talento da arcaico stand-up comedian, in un ruolo dalle complesse sfumature morali.
E il regista belga Sam Garbarski, che a inizio carriera ci aveva deliziato con il folgorante apologo sociale di Irina Palm - Il talento di una donna inglese (2007), gioca proprio sulle sfumature per realizzare un'opera a più strati, non sempre accomodante e a tratti complessa nelle sue nascoste sfaccettature, ma in grado di regalare enorme soddisfazione se affrontata con il giusto spirito.
Perché Bye Bye Germany non è un film semplice, rifugge una classica canonizzazione e può presentarsi scomodo nella sua essenza eloquente e disincantata, issandosi a visione più impegnata di quanto inizialmente preventivabile.