Burn Out, la recensione del film originale Netflix

Tony ha il sogno di sfondare nel mondo del motociclismo professionistico ma si trova a lavorare come corriere per una banda di criminali.

Burn Out, la recensione del film originale Netflix
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Tony ha il sogno di sfondare nel motociclismo, la sua vera e grande passione. Il ragazzo gareggia in piccoli tornei di provincia e con mezzi non troppo performanti: dopo essere caduto rovinosamente nell'ultima gara, proprio mentre si trovava nelle prime posizioni, viene avvicinato da un manager della Ducati che, notato il suo talento, lo prende in prova assieme ad altri potenziali piloti per un possibile futuro ruolo da protagonista.
In Burn Out, proprio quando le cose sembrano mettersi per il meglio, Tony si trova ad affrontare un imprevisto. L'ex compagna, nonché madre di suo figlio, Leyla si trova infatti in debito con una gang di spacciatori e la somma, ingente, deve essere restituita ad ogni costo entro una settimana. Tony, per proteggere la donna e il bambino, si trova così costretto a lavorare come corriere su due ruote per la banda di criminali per due mesi, alla fine dei quali il dovuto sarà considerato estinto.
Per il giovane però non sarà semplice gestire il lavoro da magazziniere, le prove ufficiali su pista e l'attività illecita, quest'ultima tra l'altro in orari notturni che lo privano del sonno necessario e sempre più pericolosa incarico dopo incarico, con la sua sanità psicofisica che ne risulta inevitabilmente compromessa.

A tutto gas lui va

Sin dai primi istanti, con la camera che segue posteriormente il protagonista prima dell'arrivo in pista, si ha l'impressione di trovarsi di fronte ad un film totalmente concentrato su di esso, e il resto dei cento minuti di visione conferma quanto visto nel prologo. Burn Out (disponibile in esclusiva nel catalogo Netflix come originale) è infatti imbastito su una narrazione nella quale le figure secondarie sono volutamente lasciate in secondo piano di fronte alla lenta e inesorabile discesa all'inferno di Tony, aspirante campione di motociclismo costretto dagli eventi a lavorare per una banda di narcotrafficanti.
Le inquadrature dal punto di vista del casco, con tanto di sonoro ovattato a restituire la sensazione vissuta dal biker, sono solo l'inizio di un racconto che va dritto al nocciolo della questione senza perdere tempo in inutili giri di parole e coinvolge schiettamente lo spettatore nell'adrenalinico percorso del Nostro, tra spericolate fughe dalla polizia e improvvisati conflitti a fuoco che questi non è ovviamente abituato ad affrontare.
Al netto di qualche faciloneria/ingenuità, la messa in scena possiede una buona rozzezza di genere e le numerose sequenze "ad alta velocità" possiedono il giusto alito action per strizzare l'occhio al pubblico di riferimento.

Highway to hell

Il regista francese Yann Gozlan, autore in carriera del violento horror Captifs (2010) e del thriller drammatico Un homme idéal (2015), riesce a dosare - come nei suoi precedenti lavori - un costante crescendo tensivo e nell'ultima mezz'ora la psiche sempre più alterata del protagonista è ben espressa dai vorticosi movimenti di macchina che guardano a certo cinema psichedelico di fine anni '90, con un senso di perenne claustrofobia a creare una sorta di morboso legame empatico con il ragazzo. Una scelta ulteriormente consolidata dall'epilogo, dove la dipendenza da adrenalina pare essere ormai impressa nel relativo carattere. Se lo scavo introspettivo e l'anima ludica funzionano discretamente, lo stesso non si può dire dei vaghi sussulti thriller (appena abbozzati per generare una reale suspense a tema) e degli spunti drammatici, qui soltanto accennati nella complessa relazione del motociclista con l'ex compagna e madre di suo figlio.
Il cast a suo modo funziona: François Civil restituisce il giusto tormento all'anti-eroe della vicenda e Olivier Rabourdin (attore con oltre cento ruoli in carriera, conosciuto dal grande pubblico per aver partecipato alla saga di Io vi troverò) ha la faccia giusta per interpretare il gangster dal codice d'onore con cui avrà luogo la definitiva resa dei conti.

Burn Out Un onesto action thriller su due ruote di produzione franco-belga che, a dispetto di una trama protagonista-centrica che si dimentica di caratterizzare a dovere il contorno umano e ambientale, riesce a regalare discrete emozioni tensive nel corso dei cento minuti di visione. Burn Out punta gran parte delle proprie carte sulla performance di François Civil, efficace al punto giusto, e sul senso di adrenalina dato dalle numerose missioni come corriere per la banda malavitosa, in una situazione che complica ulteriormente un'esistenza già di per sé difficile. Il regista Yann Gozlan sa dove andare a parare e confeziona un prodotto di genere che va dritto al sodo senza inutili pedanterie o eccessi di retorica e, pur scadendo a tratti in alcune scelte facili e poco coraggiose, realizza un godibile compitino ad uso e consumo del pubblico di riferimento, con le sequenze su due ruote dotate della corretta dose di spettacolo a tema.

6.5

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