Bright: la recensione dell'urban fantasy Netflix di David Ayer

Sbarca finalmente sulla piattaforma Netflix uno dei blocbkuster più attesi del piccolo schermo che vede protagonisti Will Smith e Joel Edgerton.

Bright: la recensione dell'urban fantasy Netflix di David Ayer
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La vita è la più grande ispirazione. Non a caso l'amato-odiato David Ayer ha spesso attinto alla propria per raccontare storie di amicizia, di conflitto e di strada nei propri film, specie quelli da regista, partendo dell'esordio con Harsh Time fino al ben più strutturato e di genere End of Watch. Il controverso autore è infatti stato cacciato di casa in piena adolescenza, trovando sostegno in un cugino di Los Angeles. Qui è entrato in contatto con la vita periferica di una delle città con il più alto tasso di criminalità degli Stati Uniti, esperienze che lo hanno aiutato anche nella scrittura dei suoi film che, come l'ultimo, particolare Bright, sono spesso ambientati per le strade della sua Los Angeles.
In realtà questo nuovo urban fantasy dalle tinte thriller è stato ideato da Max Landis (Chronicle, Dirk Gently in TV), ma Ayer si è subito appassionato al progetto tanto da arrivare a co-produrlo e dirigerlo, forse per l'ambientazione o forse perché l'idea di Landis si legava fortemente al suo stile ricercato da buddy cop movie. E il risultato finale è a dir poco lontano dal disastro descritto da Indiewire, che lo ha addirittura eletto "il peggior blockbuster del 2017", anche se il film può dirsi al limite del discreto a causa di uno sviluppo altalenante e di qualche idea abbozzata che forse sarebbe stato meglio approfondire.

Il potere della bacchetta

Plauso d'apertura va innanzitutto al mondo creato da Landis, che è stato capace di tradurre in termini fantasy neanche così articolati temi di grande impatto come razzismo e soprusi sociali, inserendoli in un contesto alternativo dove umani, orchi ed elfi convivono insieme da millenni. Modificando l'intera storia del mondo, lo sceneggiatore ha fatto in modo di annullare ogni elemento religioso conosciuto e raccontare invece conflitti ed evoluzioni millenarie tra varie specie, fiabesche e non, introducendo ad esempio una colossale guerra che coinvolse ognuna di queste circa 2000 anni prima, contro un non meglio identificato Signore Oscuro al centro poi della trama orizzontale del film. In una società dominata quindi dagli Elfi, da sempre nel mondo del fantastico simbolo di eleganza, saggezza e ricchezza, gli umani rappresentano tendenzialmente la classe media, mentre gli Orchi sono trattati alla stregua di gang di quartiere, spesso ghettizzati e generalmente mal visti dal resto degli abitanti. È comunque importante notare come Landis e Ayer non abbiano voluto uscire dai confini losangeliani della storia, precludendoci nozioni base di convivenza tra varie razze al di fuori della Città degli Angeli, anche se un orco ci informa che a Miami, "dove il sistema non era corrotto", tutto era diverso. Sembra allora che regista e sceneggiatore volessero mostrarci ancora una volta la corruzione dilagante in quel di L.A, archetipo americano di lordura morale e malcostume periferico, in una veste però differente. In un quadro simile, così, l'LAPD decide di combattere crimine e sentimento xenofobo arruolando tra le proprie fila il primo agente orco, Nick Jakoby, nei cui panni troviamo un più che credibile Joel Edgerton, anche se truccatissimo e irriconoscibile.
Non essendo un purosangue, Nick vive però in una sorta di purgatorio sociale, disprezzato dalla sua razza e odiato anche dai colleghi umani, compreso il partner Scott Ward (Will Smith). Quest'ultimo in realtà vive un rapporto conflittuale con i suoi sentimenti per Jakoby, che sono di odio e amore: non riesce a perdonargli di non averlo coperto in uno scontro a fuoco avvenuto pochi mesi prima dall'inizio della storia e al contempo è consapevole della bontà e della dedizione del collega, con il quale sottolinea più volte di non essere comunque amico.

Nei giri di pattuglia dei due, nei loro scambi di battute così diretti, senza filtri e divertenti c'è molto dello stile di Ayer, tanto che Landis pare essersi ispirato alla scrittura del regista per costruire un fantasy-thriller dalle dinamiche poliziesche addobbate di noir. E di idee interessanti ce ne sono parecchie, partendo dalla quasi totale assenza di magia (praticamente bandita) fino di cosiddetti Bright, precisi elementi in grado di maneggiare una o più bacchette magiche, considerate le armi più pericolose al mondo. C'è persino un reparto dell'FBI dedicato alla cattura e conservazione degli artefatti magici, che ha un ulteriore compito di garante contro l'uso improprio della magia. Tutto poi è delineato in modo molto chiaro, così da riuscire a dar vita a un universo urban fantasy credibile e affascinante, nonostante diversi problemi di equilibrio nel procedere della trama.

Cambi di passo

La prima ora di Bright è infatti un buddy cop movie sporco e ricco di dialoghi, che ci presenta appunto il mondo descritto sopra, le sue contraddizioni, i suoi pregi e la struttura gerarchica nel quale poi si andrà a muovere la storia. E senza troppi giri di parole, questi 60 minuti iniziali sono ottimi sia nel modo di trattare specifiche tematiche sia nell'equilibrio ironia-dramma della parte dialogata, oltre che nell'introduzione dei vari personaggi e nella regia di Ayer, che ci fa dimenticare l'indecisione stilistica di Suicide Squad con almeno un paio di momenti visivamente riusciti, tra i quali una bella sparatoria, poi spartiacque decisivo tra il primo e il secondo tempo, dove arrivano i problemi più grandi. Qui si cambia passo e si trascende verso il puro action-thriller, con inseguimenti d'auto, sparatorie e corse per le strade di Los Angeles. I temi razziali vengono ampiamente messi da parte in favore di una mediocre spettacolarità, nonostante il rapporto d'amicizia conflittuale tra Jackoby e Ward evolva di minuto in minuto, con picchi emotivi che mai raggiungono vette elevate di empatia e anzi, lasciano spesso a desiderare. La storia viene poi sviluppata in modo certamente chiaro ma banale, lasciando penetrare una certa confusione all'interno dello stesso e interessante mondo delineato nel primo atto.
Per forza di cose, allora, l'asticella del gradimento si abbassa ai livelli di un R.I.P.D qualunque, senza dimenticarsi però di un inizio incredibile e ben strutturato. E un film che poteva essere una crasi perfetta tra Harsh Time ed Hellboy si riduce alla fine a un prodotto di intrattenimento certamente più che buono, ma in parte viziato da un certo grado di indecisione nell'incedere degli eventi. Ed è un peccato, perché Bright poteva regalare davvero molto di più.

Bright Bright non è il disastro raccontato oltreoceano. Non lo è per la costruzione di un mondo urban fantasy chiara e affascinante, per i suoi dialoghi da buddy movie fuori dal coro in pieno stile Ayer e per alcuni momenti visivi degni di nota. Allo stesso tempo, però, la storia di Max Landis arranca nel secondo tempo e perde la voglia di stupire dopo i primi 60 minuti, trascendendo nel territorio del puro action-thriller fatto di sparatorie, inseguimenti e combattimenti corpo a corpo senza troppa anima. Un film che intrattiene egregiamente e che perde le sue pretese alla fine del primo atto, procedendo poi con fare incerto nel suo delicato disequilibrio fino alla fine. Come uno studente capace e intelligente che non si applica, Bright poteva essere davvero grande nel suo genere, ma si è semplicemente accontentato di essere un buon film, il che gli va comunque riconosciuto.

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