Colorado Springs, 1979: dopo essersi infiltrato a un incontro organizzato dall'estremista nero Stokely Carmichael, il giovane Ron Stallworth (John David Washington), primo poliziotto di colore nella regione, nota un annuncio sul giornale dove la sede locale del Ku Klux Klan dice di essere in cerca di nuovi membri. Incuriosito, lui chiama il numero indicato e finge di essere un razzista bianco, riuscendo a ottenere un incontro con il responsabile locale del Klan. In collaborazione con un collega bianco (Adam Driver), Stallworth dà così vita a una complessa operazione di lavoro sotto copertura, che lo porterà anche in contatto con nientemeno che David Duke, leader supremo del KKK. Ma il suo segreto è a rischio ogni giorno, soprattutto quando uno dei piani del Klan potrebbe compromettere la sicurezza di una studentessa convinta che Ron sia un attivista per i diritti dei neri...
La strana coppia
Quanto avete letto nel paragrafo precedente è accaduto per davvero, come ribadisce anche la didascalia iniziale di BlacKkKlansman, il nuovo lungometraggio di Spike Lee presentato in concorso al Festival di Cannes 2018. Una storia vera che ha però un che di improbabile, come la maggior parte delle migliori vicende reali portate al cinema, motivo per cui il regista afroamericano, da sempre abituato a passare da un genere all'altro, ha optato per un approccio che si rifà per lo più al buddy movie, stile Arma letale, infondendo anche un po' di blaxploitation per omaggiare e al contempo mettere alla berlina le tendenze audiovisive dell'epoca (non a caso Stallworth e la sua amata richiamano esplicitamente, sul piano iconografico, Richard Roundtree e Pam Grier). C'è tutto un secolo di storia del cinema e della sua rappresentazione delle persone di colore, nel film di Lee, dall'apertura ironica con uno spezzone di Via col vento alla proiezione di Nascita di una nazione a un evento del Klan, senza dimenticare una certa autoreferenzialità poiché il protagonista scelto da Lee è il figlio di Denzel Washington, uno dei suoi attori-feticcio.
Risate e brividi
Negli Stati Uniti BlacKkKlansman arriverà nelle sale nel mese di agosto 2018, l'anniversario della strage di Charlottesville, evento scatenante che ha spinto Lee e i suoi produttori, tra cui Jordan Peele (Get Out), a realizzare un film d'epoca che parla anche dell'America di oggi. David Duke (interpretato da Topher Grace) fu tra coloro che sostenevano apertamente Donald Trump durante l'ultima campagna presidenziale (e l'attuale presidente non fece nulla per rinnegare il supporto dei nazionalisti bianchi) e fanno capolino frasi che richiamano apertamente la retorica neanche tanto velatamente estrema e razzista della Casa Bianca di oggi. Difatti il film si apre e si chiude con Trump: il prologo contiene una lezione "scientifica" sulla superiorità razziale dei bianchi impartita da un uomo interpretato da Alec Baldwin, il quale da due anni imita il magnate newyorkese negli episodi del Saturday Night Live; alla fine, una volta che abbiamo smesso di ridere di gusto, Lee ci ricorda che il razzismo è ancora una piaga dilagante, con spezzoni d'archivio di quanto accaduto nell'agosto del 2017 e delle reazioni ufficiali. Poi, al termine dei titoli di coda, i loghi di due delle case di produzione, la Blumhouse e la Monkeypaw, con iconografie volutamente horror, ed è dunque impossibile non pensare al tweet scritto da Peele per ironizzare sulle categorie dei Golden Globe: "Get Out è un documentario". La rabbia del regista è pienamente giustificata e ha dato vita al suo film di finzione più riuscito dai tempi di Inside Man.
Spike Lee ritrova la sua furia, unita a tanto amore per il cinema e un sano gusto per il divertimento, per raccontare l'improbabile storia vera di un poliziotto nero che riuscì a diventare membro del Ku Klux Klan. Si respira un'atmosfera d'altri tempi che però rimanda anche costantemente a quanto accaduto in America dopo le elezioni presidenziali del 2016, tra battute profetiche e immagini d'archivio. Strepitoso il duo principale composto da John David Washington e Adam Driver.