Black Widow, la recensione del cinecomic Marvel con Scarlett Johansson

Arriva finalmente in sala e su Disney Plus il film apripista della Fase 4 del MCU, un intenso spy-thriller ragionato sul senso di famiglia.

Black Widow, la recensione del cinecomic Marvel con Scarlett Johansson
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Dopo un intero anno di posticipi dovuti alla Pandemia di Coronavirus, finalmente Black Widow di Cate Shortland è riuscito ad arrivare nelle sale cinematografiche internazionali, pronto anche a un debutto a stretto giro su Disney+ in Accesso Vip. Il primo ed effettivo prequel del Marvel Cinematic Universe non ha bisogno di presentazioni, per lo meno non più dopo averne parlato così a lungo e averlo atteso così intensamente. Un progetto, questo stand-alone su Natasha Romanoff, che Kevin Feige e soci hanno maturato a lungo e pensato per chiudere in modo definitivo (ma nel passato) la storia cinematografica della Vedova Nera di Scarlett Johansson, sacrificatasi in Avengers: Endgame per recuperare la Gemma dell'Anima, morendo senza purtroppo possibilità di ritorno a causa delle regole esistenti su Vormir per ottenere la Gemma. Il racconto di Black Widow prende dunque piede settimane o mesi dopo la fine degli eventi di Captain America: Civil War, in un vuoto temporale dedicato al personaggio che proprio il titolo tenta di colmare.

Natasha è una fuggitiva ricercata dal Generale Ross, motivo che la spinge a nascondersi in posti sicuri disseminati in tutto il globo grazie all'aiuto dell'amico Rick Mason (O.T. Fagbenle). In Norvegia, però, l'Avenger viene rintracciata da un pericoloso nemico, Taskmaster, inviato lì per recuperare qualcosa di estremamente importante che Natasha non sapeva nemmeno di avere. La scoperta la condurrà in un viaggio verso il passato con la sua "famiglia" composta dalla sorella minore Yelena Belova (Florence Pugh), dalla madre Melina Vostokoff (Rachel Weisz) e dal padre Alexei Shostakov (David Harbour), tutto per distruggere definitivamente la pericolosa Stanza Rossa guidata da Dreykov (Ray Winstone), la culla di tutte le Vedove Nere sparse per il mondo.

Bye Bye, Miss American Pie

Dopo l'escalation finale dello showdown di Endgame e l'inizio di una nuova avventura mediale dei Marvel Studios con le serie televisive Disney+, Black Widow è un film interessante da inquadrare. Lo è perché appartiene a uno step precedente del modello produttivo marveliano, quando tutto era destinato al grande schermo e l'idea di integrare il MCU con progetti seriali era appena un'idea accennata. Il film è stato inizialmente pensato come approfondimento della vita da assassina di Natasha Romanoff prima della sua defezione per divenire un'Avenger, questo almeno nelle battute primarie a metà 2017, cambiando poi in corsa per adeguare lo script alla componente emotiva al tempo ancora disattesa di Endgame.
Black Widow è divenuto così uno stand-alone incentrato sullo sviluppo psicologico e sulla sfera sentimentale di Nat, alla scoperta dei motivi che l'hanno poi condotta a prendere con tanta sicurezza, abnegazione e serenità la decisione finale su Vormir, al tempo letta da molti come affrettata. Il film analizza invece con ottima chiave introspettiva (si sente la penna di Jac Schaeffer nonostante la riscrittura di Ned Benson) l'evoluzione umana della protagonista, raccontandoci i suoi primissimi anni da spia russa sotto copertura (il prologo sembra The Americans) per lasciarci poi entrare nel mondo "dell'alta formazione" delle assassine più letali al mondo e successivamente nella missione di Nat, strettamente correlata a diversi elementi accennati ma mai spiegati in più di un decennio di MCU (cos'è successo a Budapest? Dov'è la Stanza Rossa? Dreykov è davvero morto? Tutte domande che avranno una risposta).

In un vecchia intervista durante la produzione di Black Widow Kevin Feige dichiarò: "Black Widow è per il personaggio di Nat quello che Better Call Saul è per Breaking Bad: un esempio straordinario di un prequel che si regge in piedi da solo ma ti informa su moltissime cose che non sapevi". Visionato il film, possiamo effettivamente sottoscrivere le parole del produttore e confermare l'accostamento. Black Widow gioca poi le migliori delle sue carte non sulla spettacolarità degli avvenimenti o sull'imprevedibilità degli stessi, quanto invece sulle relazioni tra i personaggi e sulle varie dinamiche d'innesco in chiave d'interazione, dunque sia a livello drammatico che ironico.

Curioso comunque come non appaia d'impatto il classico titolo a Formula Marvel ma qualcosa di leggermente diverso, sicuramente più vicino a progetti come il recente The Falcon and the Winter Soldier su Disney+, formalmente uno spy-thriller giramondo profondamente dedito alla storia che non tenta quel passo stilistico in più per sorprendere nella narrazione dell'azione. In questo senso, Black Widow appare un po' sprecato per mere questioni di durata e di principale sfera d'interesse cinematografica, e la sensazione è che i Marvel Studios, col senno di poi, avrebbero preferito forse trasporre il racconto in una serie televisiva anziché in un film, e questo nonostante il titolo resti un riuscito canto del cigno postumo di Natasha Romanoff, interpretata nuovamente con la giusta intensità e lo stesso, innato, carisma da una bravissima Scarlett Johansson.

È il vero addio alla Vedova Nera: un film ammantato di una nostalgia di fondo come la splendida Miss American Pie di Don McLean, che non a caso è LA canzone del cinecomic, anche protagonista di una meravigliosa scena tra i personaggi di Yelena e Alexei.

Due famiglie, un solo destino

Essendo Black Widow un titolo forte di una scrittura accesa, diretta e intelligente, parte essenziale del prodotto sono ovviamente i suoi personaggi. Ben contenti di ritrovare una Johansson così in forma e appassionata, a rubare in verità la scena per quasi l'intera durate del film sono soprattutto i già citati Yelena Belova e Alexei Shostakov, interpretati da due superlativi Florence Pugh e David Harbour, che insieme danno il meglio delle loro performance, con una bella alchimia su schermo e un'intensa storyline condivisa e giocata nella sua lunghezza proprio sul tema della Famiglia.
La trave portante di Black Widow è infatti il senso d'appartenenza a qualcosa, non per forza sanguigno, ed è un elemento che accomuna tutti i personaggi, dato che Nat è confusa dopo la Civil War e lo scisma creatosi tra gli Avengers, Yelena ha appena riconquistato la sua piena libertà ed è in cerca di legami, Alexei vive completamente in una vana e falsa gloria del suo passato e Melina è tartassata da profondi sensi di colpa. Il filo conduttore è la solitudine e la soluzione è la collaborazione, il poter contare sull'altro, l'esserci per qualcuno, anche la capacità di perdonare il prossimo o se stessi.

Dice Melina: "Il dolore ci rende più forti", un mantra che Nat ha fatto proprio e con cui è cresciuta, che l'ha portata a prendere scelte difficili ma sempre ponderate perché scaturite da un'analisi personale in costante arricchimento. Molto interessante e ben inserita nella trama del racconto è anche la battaglia femminista, modellata con intelligenza sulla liberazione di donne sostanzialmente schiave e oggetto dell'Uomo, il "padrone del mondo" capace di sfruttare a suo piacimento tramite condizionamento e paura "la risorsa più vasta del globo".

È un modo brillante e ben coadiuvato nel tessuto narrativo della storia di parlare di qualcosa di così impellente ed essenziale senza snaturare la chiave di genere del cinecomic, che infatti integra con grande classe l'argomento nelle dinamiche evolutive del film senza mai realmente esplicitarlo o elevarlo direttamente a punto d'interesse principale del prodotto, anche se poi insieme al discorso sull'appartenenza è il lemma essenziale di Black Widow.
In conclusione, il titolo di Cate Shortland si rivela un buonissimo stand-alone che fa delle relazioni umane e del femminismo i suoi più grandi pregi, peccando un po' di superficialità nella direzione (ma anche nella quantità) degli scontri e in alcune soluzioni cinematografiche poco convincenti.

Al netto delle problematiche e delle virtù, Black Widow non è certo l'apice qualitativo del MCU né un passo falso; gioca piuttosto nel mezzo esplodendo in alcuni intensi o sofisticati momenti e ritraendosi invece in altri poco elaborati. C'è da dire che è però uno dei massimi esempi dell'evoluzione ideale dei Marvel Studios, lontano da una spettacolarizzazione fine a se stessa o da un tessuto cinematografico "più forma che sostanza", integralmente impegnato su di una buona storia che fa il suo lavoro e alla fine della giornata porta a casa il risultato.

Black Widow Pronto a sbarcare finalmente in sala, Black Widow di Cate Shortland si rivela un titolo profondamente dedito al racconto e ai personaggi, con una forte anima femminista ben amalgamata nella storia e incentrato principalmente sulla tematica del senso d'appartenenza a qualcosa o qualcuno. È un film giocato splendidamente sulla scrittura e sulle dinamiche relazionali tra i protagonisti, interpretati da un cast di livello fiore all'occhiello della produzione (Florence Pugh e David Harbour i migliori) dove il carisma "d'attacco" di Scarlett Johansson e della sua Natasha riescono ancora una volta a colpire e sorprendere. Le problematiche principali nascono forse da una superficiale direzione di gran parte degli scontri e una basica mancanza di spettacolarizzazione della scena. La Shortland è in sostanza molto più brava a valorizzare gli attori rispetto alla narrazione dell'azione, ma di base Black Widow resta un film riuscito e godibile che miscela bene dramma, spy-thriller e ironia in un canto del cigno postumo della Vedova Nera sacrificatasi per il bene dell'umanità.

7.5

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