È dura avere l'onere della corona. Sedere su di un trono sfarzoso, circondato da un folto entourage reale con in mano un potere enorme è infatti il più delle volte un'opulenta e ostentata facciata di ricchezza e autorità che si addice di più alle monarchie costituzionali, meno ai regni veri e propri. Nei primi, parlamento e governo tentano la strada della democrazia attenendosi a una carta dei diritti concessa dai monarchi, nei secondi, invece, il potere decisionale del Re è totale. Da qui si potrebbe sfociare in un totalitarismo violento o in una reggenza illuminata, saggia, come quella che ha portato il Wakanda dei fumetti di Stan Lee e Jack Kirby a divenire la nazione del Terzo Mondo tecnologicamente più avanzata e dal tenore di vita elevato. Il paese subsahariano tra i più potenti e ricchi al mondo è stato così concepito già nel 1966 dai due stimati autori come una forte critica sociale al fu schiavismo dell'ottocento e all'Aparthaid allora in vigore proprio in Sud-Africa. Black Panther è ispirato all'ideologia per i diritti degli afro-americani di Martin Luther King, il tutto forte di un senso di colpa nazionale che in titoli come questo gioca purtroppo o per fortuna sempre un ruolo significativo nel giudizio finale.
Il Wakanda prende vita
Sembra quasi assurdo ritrovarsi a introdurre in modo così maturo, politico e tematico un cinecomic a marchio Marvel, ma lo stand-alone di Ryan Coogler dimostra che la Formula della Casa delle Meraviglie può essere cambiata, confezionando un prodotto di genere adulto e completamente story-driven, con pochi fronzoli e un focus forte e chiaro. Andando a ritroso nella storia del personaggio, in realtà, si scopre come Black Panther abbia trasposto del tutto fedelmente (pur con qualche piccola libertà) la origin story del supereroe, affondando i denti in un ferita aperta da più di un secolo in un titolo dall'azione meno spettacolare del previsto ma concettualmente molto potente. E allora, dopo averne avuto un breve assaggio in Captain America: Civil War, T'Challa torna a sfoderare gli artigli della Pantera Nera in un film indubbiamente legato agli eventi del MCU, ma che cammina sulle proprie gambe, dalla personalità dirompente. Ci viene raccontata già in apertura l'antica storia del Wakanda, sviluppatosi attorno a un grosso meteorite stracolmo di Vibranio, il materiale più resistente al mondo. Quello che i popoli della Terra ignorano, però, è che il metallo alieno può essere applicato in diverse branche della scienza, nello sviluppo tecnologico e addirittura in ambito medico. È un materiale versatile e molto potente che ha reso il Wakanda la super-nazione segreta che è oggi, nonostante poi si nasconda all'occhio del mondo a causa del timore di essere derubata delle proprie risorse naturali e deturpata di usi e costumi. A reggere il regno, suddiviso in svariate tribù, c'è la Pantera Nera, identità sotto la quale si cela di volta in volta il nuovo Re del Wakanda sin dai tempi dell'elezione di Bashenga come sovrano unificatore delle tribù della Montagna Sacra, cratere dello schianto del meteorite 10.000 anni fa e ora miniera di Vibranio. È importante capire come la Black Panther sia nella sostanza una modernizzazione supereroistica del concetto di Re, da sempre inteso come "protettore del regno". La successione funziona sì per discendenza, ma viene in realtà intaccata nel profondo da una meritocrazia guerriera che non ammette contraddizioni: si può essere principi, ma si diventerà sovrani solo e soltanto dimostrando le proprie capacità combattive, senza l'aiuto dell'Erba a forma di cuore che da millenni dà il potere alle Pantere Nere.
E un grande merito -forse il più grande- che va al film di Coogler è proprio la capacità di trasporre magnificamente usi, rituali e stile di una nazione fumettistica fittizia, creando da zero una cultura a se stante e in sintesi un mondo diverso da quello visto finora nel MCU. A livello scenografico, il Wakanda ha un colpo d'occhio eccezionale, concepito miscelando varie iterazioni del paese viste in più di cinquantanni di comics, contaminando lo stile povero delle abitazioni tipiche dell'Africa del Nord con uno skyline futuristico di ottima fattura. Anche la messinscena dei vari rituali, movenze, danze e parole, è davvero affascinante, in un comparto tecnico-stilistico che tra musiche, VFX, CGI, costumi e trucco regala un cinecomic visivamente ammaliante, dall'estetica ricercata, ricchissima.
Liberatori e oppressi
Per parlare bene di storia e personaggi capite come fosse essenziale innanzitutto introdurre il background di un mondo finora sconosciuto, almeno al cinema e per neofiti e curiosi. Un mondo variopinto, fatto di molti colori, tante tribù e caratteristiche differenti, certo, ma tutto sotto l'insegna di un tema anti-razziale scottante e in virtù di diritti costituzionalmente concessi agli afro-americani poi puntualmente disattesi sul piano etico con soprusi e angherie quotidiane.
In questo quadro, eletto nuovo Re, T'Challa ha la necessità di pensare prima di tutto al bene del suo popolo, quello wakandiano, non comprendendo però come l'oppressione mondiale degli altri discendenti della "culla della vita" abbia creato a distanza dal continente africano dei veri e propri mostri. Dando un'interpretazione emotivamente molto forte ma forse espressivamente un po' legata, Chadwick Boseman si dimostra un ottimo Sovrano ma soltanto un discreto supereroe, essendo il film nella tua totalità più focalizzato allo sviluppo di una storia rilevante che a un'azione muscolare, di intrattenimento spettacolare. Valore, questo, che si nota anche nell'intreccio della trama, nei tempi di rivelazione e nella scrittura del villain e della Dora Milaje. Per quanto riguarda il primo, Michael B. Jordan si rivela essere ancora una volta attore di fascino e talento, perfetto nel ruolo di Erik Kilmonger, la faccia del tradimento e dell'oppressione, in combutta con il contrabbandiere Ulysses Klaw (un bravissimo Andy Serkis). Per le seconde, invece, che sono le guardie reali della Pantere Nera, si parla di alcuni dei personaggi femminili meglio scritti nell'intero panorama cinecomic. Sono donne mai acerbe, che amano e combattono, si mettono in gioco, consigliano e incoraggiano. Sono bellissime guerriere dalla pelle di ebano e dalla volontà di ferro, interpretate da alcune delle migliori attrici afro-americane sulla piazza, dove a spiccare su tutte c'è un'eccezionale Danai Gurira nel ruolo di Okoye, che ruba puntualmente la scena a tutti. Fatte le dovute precisazioni, il Black Panther di Ryan Coogler, per esattezza, non fa altro che trasporre la potenza viscerale dei suoi protagonisti e la bellezza estatica del Wakanda sul grande schermo, senza inventarsi poi nulla nel passaggio ma raccontando una storia di liberatori e oppressi che anche nel mondo reale ha ormai radici secolari. Il regista decide di optare per un'inversione di Formula necessaria al bene tematico del cinecomic, tanto da farlo risultare forse il miglior titolo MCU per per quanto riguarda sviluppo e profondità narrativa.
Per fare questo, però, Coogler ha dovuto raggiungere un compromesso con la parte d'azione del film, priva di grip, poco presente e dal ritmo un po' blando. Non ci sono sequenze action che si possano dire eccezionali, anche se poi sono dirette estremamente bene dal regista e si nota una certa bontà di fondo. Diciamo che non c'è quell'elevata spettacolarità alla Thor: Ragnarok o alla Doctor Strange, ma una ricerca più minimalista nelle coreografie e nella struttura delle stesse, a volte anche poco chiare. E in un film di genere, purtroppo, questo è un elemento da tenere in assoluta considerazione, dato anche l'ottimo Creed dello stesso Coogler, che lasciava ben sperare nella riuscita prettamente action di Black Panther, che si rivela in definitiva cinecomic dalla potenza tematica eccellente, di indubbio fascino e con buonissime interpretazioni ma no, non il migliore dell'intero Universo Cinematografico Marvel.
Il Black Panther di Ryan Coogler si rivela diverso, ammorbidendo la ferrea e tenace Formula Marvel fatta di tanta azione e molte battute in un film story-driven e dalla tematica dirompente. Lo stand-alone su T'Challa è quanto di più maturo e narrativamente corposo l'intero MCU abbia avuto finora modo di offrire, in una storia che racconta liberatori e oppressi attraverso la messinscena di una nazione affascinante come quella del Wakanda, forte del proprio sviluppo tecnologico e legata indissolubilmente ai rituali antichi, tra avanguardia scientifica e usi e costumi che danno poi anima al tutto. È un titolo bellissimo da vedere e dal concept tremendamente efficace, ricco anche di ottime interpretazioni, su tutte quelle di Michael B. Jordan e Danai Gurira. La pecca è che tutto questo mina ritmo e azione del cinecomic, mai eccezionale sotto questo aspetto e dai tempi dilatati, blandi. Nel genere, comunque, si dimostra un esponente di spicco, sicuramente diverso dagli altri titoli dell'Universo Marvel e con una decisa personalità. Assolutamente da vedere.