C'erano principalmente due strade percorribili, per i Marvel Studios, per Black Panther: Wakanda Forever. La prima era ignorare totalmente quanto avvenuto al suo compianto attore protagonista, ma l'idea di recastare T'Challa è stata sin da subito scartata da Kevin Feige e soci per rispettare - giustamente - il ricordo di Chadwick Boseman, il cui impatto sulla cultura popolare nei panni di Pantera Nera è stato fortissimo (ne parlavamo anche nella nostra intervista al cast di Black Panther Wakanda Forever). L'altra opzione era invece dedicare un'intera monografia cinematografica alla scomparsa dell'eroe, in un cinecomic-funerale che d'altro canto non sarebbe stato facilmente gestibile da un punto di vista nella narrazione.
Un po' per necessità, un po' per non dimenticare l'apporto che Boseman ha dato al personaggio e anche per glorificare la sua dipartita, i Marvel Studios hanno preso la decisione più furba, ma anche più difficile: rimanere a metà strada, in un cinecomic che al tempo stesso omaggia la sua indimenticabile figura protagonista rimanendo però indipendente e imbastendo un racconto che prova a guardare verso il futuro. Il risultato finale, però, non convince pienamente da entrambe le parti, pur svolgendo comunque bene la sua intensa finalità emotiva: perché, quando Black Panther: Wakanda Forever ti ricorda cosa significa perdere un eroe, un re, un'icona, un fratello, un amico, un figlio, lo fa con la giusta delicatezza. Tutto il resto inciampa in un racconto troppo lungo, prolisso e situazionista che brilla in pochi momenti, lasciando in ombra diversi spunti cruciali ai fini della logica narrativa.
Wakanda against the world
Difficile parlare di questo film senza entrare nel dettaglio della storia. Questa volta eviterò di anticiparvi elementi importanti della trama principale, quanto meno ciò che non compare nei trailer ufficiali di Wakanda Forever, perché il bello del primo atto di questo sequel firmato nuovamente da Ryan Coogler è anche capire come il micro-universo legato alla Pantera Nera ha affrontato le conseguenze di una perdita davvero troppo dolorosa.
Non vi svelerò quali sono le cause della morte di T'Challa, anche quelle ve le lascerò scoprire durante la visione, seppur non sia difficile immaginare qual è la direzione che i Marvel Studios abbiano scelto di intraprendere. Posso solo dirvi che il prologo del film è giusto, in termini di intensità e componente emotiva, e che in alcuni momenti - anche sul finale - Wakanda Forever imbastisce un sentito e commovente saluto finale a Chadwick Boseman, senza tuttavia dimenticarsi di traghettare tutti i comprimari del primo lungometraggio verso il futuro, rendendoli di fatto tutti - chi più, chi meno - protagonisti di una storia dal sapore corale, in cui comunque emerge il punto di vista di Shuri (Letitia Wright) e il suo percorso di dolorosa elaborazione di un lutto incontenibile. Dopo uno schiocco di dita che decimò la popolazione universale, Steve Rogers disse che alcuni vanno avanti, ma noi no. Il passato e i suoi ricordi, specie se ti vengono strappati via, ti rimangono attaccati addosso. E se Ramonda, madre di T'Challa e ora regina reggente del Wakanda, ha dovuto scrollarsi di dosso la sofferenza per il bene del suo popolo, Shuri si è rintanata nel proprio dolore, ignorando i doveri e il destino del proprio retaggio.
Il mondo, però, è andato avanti. Le principali forze mondiali temono il potenziale bellico derivato dal vibranio wakandiano, ma la vera minaccia arriva - com'era lecito immaginarsi - dalle profondità degli abissi. Un nuovo popolo, finora sconosciuto, si presenta dinnanzi a una nazione che ha perso il suo più strenuo protettore: facciamo la conoscenza di Namor, la cui ideologia entra profondamente in contrasto con quella dei Wakandiani, uno scontro che ben presto si trasforma in un conflitto basato sulla vendetta e sull'odio reciproco.
Luci e ombre della Pantera
Un film lungo (due ore e quaranta circa), complesso, che sulla scia del primo capitolo sviscera argomenti di politica unendoli a storia e mito, quelli del popolo di Namor, protagonisti di una riscrittura importante rispetto al sostrato fumettistico di riferimento. Quello inscenato in Wakanda Forever è, in ogni caso, anche lo scontro tra due culture e tra due modi differenti di intendere il bisogno di autoprotezione delle minoranze, per un film all'insegna di una forte inclusione che chi vi scrive ha apprezzato.
L'aspetto più riuscito della pellicola è, sorprendentemente, proprio Namor, personaggio ambiguo e per questo affascinante, ammantato di un fascino pari solo all'oscurità di un animo fortemente pragmatico. Merito sicuramente della prova di Tenoch Huerta, che innesca una chimica interessante con Letitia Wright portando su schermo un antagonismo e una rivalità da puro revenge movie, con una risoluzione finale piuttosto giusta ed in linea con il messaggio che Wakanda Forever vuole trasmettere. Se la trama rispetta anche lo spazio concesso agli altri personaggi, dall'ottima Okoye di Danai Gurira alla new entry Riri Williams di Dominique Thorne - destinata a diventare Ironheart nella serie per Disney+ - d'altro canto il sequel di Black Panther mette in evidenza una sceneggiatura poco curata soprattutto nel suo segmento centrale, in cui le premesse che intavolano lo sviluppo di un'aspra guerra risultano fin troppo banali e situazioniste.
Ed è un peccato, soprattutto per le ambizioni che questo sequel si prefiggeva: l'essere un film maturo e politico, un po' come il suo predecessore, un racconto in cui persino l'ironia trova poco spazio se non per rari segmenti di leggerezza. Proprio perché l'opera di Ryan Coogler si prefigge una simile identità, dunque, credo che il secondo atto meritasse un'attenzione maggiore e migliore, perché l'incipit intensissimo e il finale di grande impatto (politico ed emotivo) vengono messi insieme da un intreccio centrale povero e sfilacciato.
Black Panther: Wakanda Forever rimane comunque un cinecomic che tiene fede al primo episodio del 2017 da un punto di vista dell'identità visiva: è un film che, in termini di regia e stile, ha carattere e idee convincenti, merito di una firma come Ryan Coogler, forse ancora lontano dall'aura di cineasta di prima razza ma comunque tutt'altro che un semplice mestierante. La sua impronta artistica è forte e riconoscibile così come l'impalcatura musicale, seppur qualche brano cantato risulti stavolta, forse, un po' fuori contesto.
Se da un lato Black Panther: Wakanda Forever rispetta con grande delicatezza l’eredità e il lascito di Chadwick Boseman, d’altro canto ritengo che tutto il resto non centri pienamente il suo obiettivo. È un film lungo, forse troppo, prolisso, con un atto centrale inspiegabilmente debole che non riesce ad innescare in maniera credibile la parte conclusiva. Parliamo comunque di un film che si regge grazie ad un cast corale e affiatato, forte di un’identità visiva pregevole e matura, e con un paio di momenti che - per chi ha amato la figura di Chadwick Boseman e il suo ruolo come Re T’Challa - indubbiamente commuoveranno. Avrei voluto di più, viste le premesse mature e il messaggio finale profondamente pacifista di questo racconto. Ma, tutto sommato, un bel saluto ad un volto, ad un eroe. Ad un amico.