Recensione Biagio

Pasquale Scimeca porta al cinema la storia vera di Fra Biagio

Recensione Biagio
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L'ultimo lavoro del regista siciliano Pasquale Scimeca (Rosso Malpelo, Malavoglia) dal titolo Biagio insegue il percorso di ricerca/conquista della fede intrapreso dal protagonista (appunto il Biagio interpretato da Marcello Mazzarella). La storia prende le mosse da quella Sicilia in cui Scimeca ha sempre tratto spunto per le sue opere, per poi seguire un viaggio itinerante che partendo dal Sud Italia si spingerà fino ad Assisi, sulle orme di San Francesco d'Assisi e con il fine di portare a compimento l'evoluzione di Biagio in Fra Biagio. Il film di Scimeca porta infatti sullo schermo la vera storia di Biagio Conte, un giovane palermitano spinto dalla volontà di ritrovare il contatto con la sua anima e con Dio che lascerà casa per intraprendere un pellegrinaggio scandito prima dall'immersione in una Natura avvolgente e poi dalla rinuncia totale ai suoi averi (la rinuncia al potere del Dio denaro) per senso di solidarietà e trasporto verso il prossimo, verso i meno fortunati ("avevo tutto e non ero contento ora non ho niente e sono sereno"). Questo viaggio esistenziale e profondamente spirituale è narrato da Scimeca all'interno di una cornice narrativa che apre e chiude sott'acqua, attraverso un simbolismo che ricerca il senso della vita nell'essenza primigenia della natura.

Un'opera eccessivamente didascalica

Nei suoi due ultimi film Rosso Malpelo e Malavoglia Pasquale Scimeca traeva lo spunto per la narrazione dal verismo verghiano e dagli omonimi romanzi del celebre scrittore catanese. In quest'ultimo lavoro invece la fonte d'ispirazione è la storia di Biagio, ragazzo appartenente a una famiglia benestante del palermitano che in seguito a una crisi esistenziale deciderà di lasciare tutto e seguire le orme di San Francesco. Dopo un inizio piuttosto ispirato attraverso il quale Scimeca mostra i primi passi di Biagio verso il ricongiungimento a una vita rurale, essenzialmente dispiegata attraverso quel contatto diretto con i bellissimi paesaggi di una natura incontaminata, nella seconda parte del film il regista s'immerge nella vera e propria fase missionaria di Biagio. È da questo punto in poi che l'opera perde definitivo contatto con la sua dimensione narrativa per farsi invece vera e propria didascalia e agiografia di questo comune mortale sempre più in odor di santità. Il percorso di questo missionario laico verso il suo ricongiungimento a Dio e che passa attraverso la prominenza tra corpo e Natura (dormire tra la neve, il rapporto simbiotico con il cane randagio ribattezzato Libero e la conseguente disperazione nata dall'idea di perderlo, l'abbeverarsi all'acqua di sorgente) trova la sua espressione in quei primi piani che fondono l'io narrante con l'occhio dello spettatore. Una bellezza estetico/spirituale che a lungo andare però si disperde in un arco narrativo che esterna il percorso del protagonista attraverso l'uso parallelo di un didascalismo eccessivo, ridondante, che interrompe la fluidità espressiva dell'opera. Una sorta di Into the Wild assai più minimalista e che sposta l'esegesi del naturalismo a quella di uno spiritualismo assai più concentrico e infine meno coinvolgente. Un'opera dalle buone intenzioni che non riesce però, infine, ad abbandonare lo schematismo del racconto biografico per trovare invece una sua dimensione prettamente filmica.

Biagio Il regista siciliano Pasquale Scimeca abbandona il verismo verghiano delle sue ultime due opere per passare invece alla trasposizione della biografia di Biagio, missionario laico che lascerà una vita di agi per dedicarsi invece al francescanesimo. A fronte di una prima parte dove la ricerca del contatto con la Natura trova espressione nelle belle sequenze iniziali, Biagio perde forza nella parte del percorso più prettamente spirituale che nella sua eccessiva connotazione didascalica e agiografica ne inficia in buona parte la fruibilità.

5.5

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