Benedetta Recensione: il film di Paul Verhoeven è uno scandalo o un cult?

Virginie Efira è la protagonista della pellicola di Paul Verhoeven; una suora ispirata a una figura esistita, tra peccati sessuali e blasfemie prodigiose.

Benedetta Recensione: il film di Paul Verhoeven è uno scandalo o un cult?
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Scandaloso, eccessivo, sconvolgente. Sono più o meno questi i termini con cui è stato presentato Benedetta, film di Paul Verhoeven che arriva in Italia a due anni di distanza dalla sua release e la precedente anteprima al Festival di Cannes, entrando a far parte delle uscite di marzo 2023 al cinema. Eppure nessuno che ne ha urlati altri: camp, kitsch, artefatto. In verità, c'è da riconoscerlo a critica e spettatori; non tutti sono stati propriamente entusiasti della pellicola di un autore che arrivava comunque dopo un successo acclamato e unanime come Elle (recuperate la nostra recensione di Elle). Un titolo che comunque ha potuto gareggiare per la Palma d'oro ad uno dei festival cinematografici più importanti al mondo e che si è avvalso della partecipazione di un'autentica icona del panorama attoriale francese, quella Virginie Efira che interpreta proprio la Benedetta del titolo, incarnazione del mistero della fede nell'opera di Verhoeven.

Dalla storia vera alle visioni di Gesù

È partendo dalla figura di Benedetta Carlini che lo sceneggiatore David Birke e il regista sono partiti per stendere un resoconto ispirato a questa presunta santa a cui non venne però mai dato il martirio.

Fatti tratti dal vero, ma rivisitati stando sul confine continuo della leggenda e della spiritualità, quello a cui la suora ambiva, più per l'aspetto mistico e strettamente religioso della sua storia, che per quelle divagazioni più incentrate sui suoi appetiti sessuali. C'è proprio un libro da cui il film prende spunto: Atti impuri - Vita di una monaca lesbica nell'Italia del Rinascimento di Judith C. Brown. E c'è un ricostruire quel XVII secolo in cui la protagonista è inserita; anni nei quali vive delle scoperte sessuali che unisce a doppio giro a delle visioni ascetiche, in un limbo sempre precario tra estasi e orgasmo. È su questo dinamismo che Benedetta procede, inquadrando la lussuria a cui la suora si è concessa (con un'altra suora), ma non trascurando mai come questo suo abbandono sia un intimo peccato compiuto, ma anche pubblico. Come non è tanto l'esplorazione del corpo e del sesso degli altri a essere l'unico fulcro della sua missione, bensì acquisire tramite questo il desiderio di sentirsi sempre più vicina al suo Signore e marito Gesù Cristo.

L'anima mistica e camp di Benedetta

Se l'aspetto degli scambi erotici tra la protagonista di Virginie Efira e il personaggio della comprimaria Daphne Patakia possono sembrare l'amo con cui far abboccare lo spettatore, è in verità la disamina sul raggiungimento dello status di Madre Superiora che più affascina di Benedetta, da cui malauguratamente non si possono sottrarre quelle soluzioni spesso inutilmente esorbitanti e peggio ancora immotivate che depotenziano la parabola della suora.

Come quando ad esempio alla vista di un Gesù privo di attributi maschili, iconograficamente potente e denso di significato, si aggiunge purtroppo un'enfatizzazione incontenibile che finisce per traboccare e andare a ridicolizzare l'intero intento dell'opera. O come un Gesù che sfodera la spada e la brandisce uccidendo serpenti fatti in digitale. Un confine tra kitsch e allegoria che può anche trovare il suo equilibrio in questa doppia natura, ma che non appaga la funzionalità osservante e pia della pellicola. Dove a un racconto di falsi o veri miracoli, allettante per lo spettatore, si aggiunge un comparto sessuale e sensuale operettistico, indubbiamente risibile, seppur comprensibile negli intenti. Proprio come la Benedetta protagonista ondeggia in questa dimensione divisa da autentici profeti e mistificanti prodigi, così la pellicola trova la sua quadra, e ne fa un oggetto filmico a suo modo di culto, di cui si afferra la potenza della storia alle spalle, ma non si può che scomunicarne per l'eretica messa in opera.

Benedetta Benedetta ha una natura doppia: quella mistica e quella kitsch, quella religiosa e quella camp, quella che presta attenzione alla potenza della storia da cui trae ispirazione e quella che crea scene con serpenti riprodotti in digitale. Una pellicola la cui narrazione conduce fino all'enigma autentico della fede e dei falsi prodigi, condita purtroppo da momenti eccessivi e straripanti. Gli stessi che, però, probabilmente, renderanno il film un oggetto cult.

5.5

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