Recensione Bella Addormentata

Marco Bellocchio torna sull'attualità con film sull'eutanasia

Recensione Bella Addormentata
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Cosa è la tanto discussa eutanasia?
Come riportano dizionari ed enciclopedie, è il sostantivo tramite cui si vuole definire l’atto del procurare intenzionalmente - e nel suo interesse - la morte di un individuo la cui qualità della vita è permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica.
Un sostantivo che, nell’Italia d’inizio XXI secolo, abbiamo più volte sentito nominare prima per il decesso voluto di Piergiorgio Welby, giornalista, attivista politico e poeta spirato a fine 2006 dopo un lunghissimo periodo vissuto sotto l’incubo della distrofia muscolare, poi per quello di Eluana Englaro, costretta a diciassette anni di stato vegetativo -prima dell’interruzione della nutrizione artificiale- a causa di un incidente stradale.
E, con un titolo che richiama inevitabilmente alla memoria quello della popolare fiaba portata sullo schermo anche dalla Disney, è proprio attorno a quest’ultima vicenda che ruota il lungometraggio diretto dal maestro nostrano della Settima arte Marco Bellocchio, autore de I pugni in tasca (1965) e Il regista di matrimoni (2006), il quale racconta: “Il film nasce da una fortissima emozione (e stupore) per la morte di Eluana Englaro (e, soprattutto, da come è stata vissuta dagli italiani, penso al popolo della Rete, ai politici, alla chiesa...), dalla mia solidarietà e ammirazione per il padre. Sentivo anche, però, che questa partecipazione così partigiana rischiava di limitare la mia immaginazione, sentivo che era necessario dilatare l’orizzonte, allungare lo sguardo nel tempo...”.

Il non risveglio

Quindi, nel corso degli ultimi sei giorni di vita della ragazza, ecco susseguirsi, in vari luoghi d’Italia, le storie di personaggi di fantasia caratterizzati da diverse fedi e ideologie, tutte collegate a quel dramma, in una riflessione esistenziale sul perché della vita e della speranza malgrado tutto.
Abbiamo l’infallibile ToniIl divoServillo nei panni del senatore Uliano Beffardi, il quale si trova a dover scegliere se votare per una legge che va contro la sua coscienza o non votarla, disubbidendo alla disciplina del partito.

Poi c’è sua figlia Maria alias Alba Rohrwacher, attivista del movimento per la vita che manifesta davanti alla clinica dove è ricoverata Eluana, finendo inaspettatamente per innamorarsi di Roberto; il quale, con le fattezze del giovane Montalbano televisivo Michele Riondino, è schierato insieme al fratello nell’opposto fronte laico.
Infine, da un lato abbiamo la Isabelle Huppert de La pianista (2001) nel ruolo di una grande attrice che cerca nella fede e nel miracolo la guarigione della figlia, da anni in coma irreversibile, dall’altro il giovane medico Pallido, interpretato da Pier Giorgio Bellocchio, si oppone con tutte le forze ai tentativi di suicidio della disperata Rossa, con le fattezze di Maya Sansa.

La vita è una condanna a morte

E chissà che non voglia assumere i connotati di una allegoria politica la figura di quest’ultima, al servizio di un’operazione destinata a coinvolgere anche Gian Marco Tognazzi nella parte del marito della Huppert e Brenno Placido in quella del figlio, in continuo contrasto con entrambi.
Perché, sebbene i circa centodieci minuti di visione non trascurino affatto il contesto socio-politico in cui tutto si svolge, tirando in ballo anche le dichiarazioni televisive di Silvio Berlusconi, Giorgio Napolitano e compagni di lavoro riguardo alla tragica situazione, è fondamentalmente sui rapporti tra le persone che il film si concentra.

Rapporti inevitabilmente influenzati, appunto, dalle più o meno discutibili decisioni prese da coloro che si trovano al potere in una Italia ormai cinica e depressa; destinata, in parte, anche a scoprire che l’amore non acceca, cambia soltanto il modo di vedere le cose.
Mentre il grandissimo Roberto Herlitzka - che per il cineasta piacentino aveva incarnato Aldo Moro in Buongiorno, notte (2003) - si ritaglia uno dei momenti migliori, come psichiatra, nella sequenza in cui, nel corso di una conversazione con Servillo, afferma che i parlamentari, spesso insultati dal popolo, sono in realtà dei disperati, degli infelici.
Ma è evidente che l’attenzione prestata dal regista di Vincere (2009) nei confronti di questa fase della pellicola, ovvero quella maggiormente riguardante il suo lato politico, non sia la stessa concessa al resto, amalgamato senza convincere pienamente, nonostante la consueta, tutt’altro che disprezzabile confezione tecnica.
Sarebbe sufficiente citare la poco efficace e coinvolgente vicenda riguardante la Sansa e Bellocchio Jr, fondamentale ai fini di trasmettere lo spiraglio di speranza posto nell’epilogo, per lasciar intendere che si poteva fare decisamente di meglio per concepire un prodotto atto a ribadire, tra l’altro, che la vita è una condanna a morte e che, quindi, non c’è tempo da perdere.

Bella Addormentata Sullo sfondo della tragedia di Eluana Englaro, il piacentino Marco Bellocchio alterna diverse storie popolate da personaggi di fantasia alle prese con la tematica dell’eutanasia. Con un cast in ottima forma e una confezione tecnica impeccabile (ma ciò non è una novità quando parliamo dell’autore de L’ora di religione), ciò che viene fuori, però, è un insieme amalgamato in maniera piuttosto disomogenea, caratterizzato da segmenti piuttosto riusciti (la storia di Servillo e figlia) e altri decisamente meno (il rapporto tra Maya Sansa e Piergiorgio Bellocchio). Testimoniando ancora una volta il discontinuo talento di un maestro della celluloide nostrana la cui filmografia spazia da titoli poco memorabili come Buongiorno, notte (2003) a quasi capolavori del calibro di Vincere (2009).

6.5

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