Recensione Behemot

Zhao Liang porta in concorso alla Mostra di Venezia un singolare documentario sulle spietate condizioni di vita dei minatori cinesi che fa della potenza delle immagini la sua bandiera.

Recensione Behemot
INFORMAZIONI FILM
Articolo a cura di

"E Dio creò il Behemot il quinto giorno. Era il mostro più grande di tutti. Mille montagne gli servivano da pascolo." Il documentario del noto regista cinese Zhao Liang, Beixi Moshuo (Behemot) si apre in toni mitici e leggendari, accompagnato dalle prime, evocative immagini delle sterminate steppe cinesi. Il mito e la rappresentazione allegorica, quasi leggendaria, di quanto accade su schermo è una chiave stilistica di questo nuovo lavoro di Liang, che tramite (più o meno) azzardati parallelismi alla Divina Commedia ci guida, come un novello Virgilio, attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso, in un viaggio che, tuttavia, non ci riporterà "a riveder le stelle" quanto ci lascerà indelebilmente sporchi della fuliggine che impregna le vite dei 'dannati' protagonisti della pellicola. La pellicola ci porta infatti nelle viscere della Terra, alla scoperta delle durissime condizioni di vita e lavoro dei minatori cinesi, costretti all'Inferno della fornace e al Purgatorio della malattia per costruire effimeri Paradisi per i benestanti contribuendo, loro malgrado, alla distruzione dei Paradisi naturali.

The Belly of the Beast

Lo sguardo curioso di Liang si spinge dentro i carrelli, tra le trivelle e le pozze, le acciaierie e gli zampilli di metallo incandescente; scava tra i volti e le vite rovinate dei minatori, le loro case fatiscenti, le loro prospettive di vita ridicolmente basse, le inevitabili malattie di chi consacra la propria vita a un mestiere duro e ingrato. Arrivando infine alle modernissime "città fantasma", tanto belle quanto vuote, di anime e di anima. È un lavoro documentaristico votato a far parlare le immagini, più che le parole: giusto qualche aforisma ogni tanto, o qualche similitudine ermetica con il Poema dantesco. Le immagini in 4K riprese e presentate al pubblico si fanno avanti in maniera naturale, poco artefatta, con il suono in presa diretta e pochi filtri: sono naturalmente impressionanti, nella loro potenza, lasciano affascinati in un viaggio spettacolare ma, allo stesso tempo, terrificante quando ci rendiamo conto che quello che a noi sembra quasi uno spettacolo da un altro punto di vista è una terribile e pericolosa routine.

Behemot Con Behemot non si rischia mai la noia, ma la visione superficiale, purtroppo, sì: la decisione di utilizzare una narrazione ermetica o, semplicemente, vuota di dati oggettivi che non siano quelli che vediamo nel vissuto quotidiano dei minatori è sia il punto di forza (da un punto di vista artistico-umano) che di debolezza (da un punto di vista prettamente documentaristico) della pellicola. Che tratta un argomento terribile e interessante e dai molteplici spunti, mai veramente indagati: abbiamo solo il materiale umano "anonimo" e una visione alquanto generica della questione. Sperando che gli spettatori si informino ulteriormente, incuriositi e preoccupati da quanto appena visto. Un film controverso, insomma, ma certamente interessante.

7

Quanto attendi: Behemot

Hype
Hype totali: 1
70%
nd