Recensione Bangkok Dangerous - Il codice dell'assassino

Nicholas Cage in un remake all'acqua di rose

Recensione Bangkok Dangerous - Il codice dell'assassino
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Nel 1998, l'anno "magico" in cui La vita è bella vinse l'Oscar come miglior film straniero, il film scelto per rappresentare la thailandia al runner-up dei cinque posti disponibili per le nomination fu il thriller sovrannaturale Ta fa likit (Who is running?) diretto dall'esordiente Oxide Pang. Sono passati più di dieci anni, e da allora i fratelli Oxide e Danny Pang si sono dati decisamente da fare, realizzando ben nove film in coppia e altri undici separatamente. Una vasta produzione, dunque, della quale però in occidente -soprattutto in Italia- abbiamo visto poco. Il loro film più famoso è sicuramente The Eye (2002), di cui molti conosceranno il recente remake yankee con Jessica Alba.
Ai fratelli Pang piace indagare i recessi dell'anima e le sue paure, spesso tramite personaggi in difficoltà sotto vari punti di vista (psicologico, sociale, fisico), lungo un percorso destabilizzante che sfrutta i meccanismi dell'adrenalina e dell'angoscia: sotto questo punto di vista, il ricorso al genere noir piuttosto che all'horror -e a tutte le loro sfaccettature- è solo una scelta funzionale alla narrazione. I due nel 1999 girano Bangkok Dangerous, film che farà da apripista per le loro altre incursioni nel filone del gangster movie (1+1=0, One Take Only). Quello che differenziava il film dal resto dell'inflazionatissimo -almeno in oriente- genere fu l'ambientazione, non Shinjuku o Hong Kong, ma una Bangkok assordante, sudicia, pullulante di vita e malavita, e il protagonista, un killer sordomuto interpretato con intensità da Pawalit Mongkolpisit.
Nel 2006, la Saturn Films di Nicolas Cage acquisisce i diritti per un remake americano della pellicola, e vuole che siano gli stessi fratelli Pang a realizzarla: comincia così la loro prima, vera avventura americana.

Le regole dell'assassino

Joe (Nicolas Cage) è un professionista dell'assassinio. Non fa domande, non si interessa a persone estranee al suo "lavoro", non lascia tracce, e scompare sempre al momento opportuno. Ingaggiato per una serie di omicidi da portare a termine nella caotica Bangkok, decide di scegliersi sul posto un portavoce tuttofare, Kong (Shahkrit Yamnarm), e di sbrigare l'incombenza il prima possibile.
Le cose si complicano dal momento in cui Joe comincia, contravvenendo ai suoi principi, ad affezionarsi al giovane Kong -facendone un discepolo- e ad una adorabile farmacista sordomuta, Fon (Charlie Yeung) con la quale comincia una timida storia d'amore tra un incarico e l'altro. Joe, sopraffatto dalla purezza della nuova giovane amica, comincia ad avere delle esitazioni, nel momento in cui gli verrà rivelato il suo obiettivo finale: un ministro estremamente popolare e impegnato in battaglie per i diritti civili.

Pericoloso? Non proprio

Uscito negli States (e nel resto del mondo) nel 2008, dopo molti ritardi Bangkok Dangerous è stato infine recuperato in extremis anche per il mercato italiano, che certo non disdegna gli action movie pieni di inseguimenti e sparatorie. Questo remake, tuttavia, nonostante la direzione curata in prima persona dagli stessi autori e registi dell'originale del '99, se ne discosta parecchio sotto quasi ogni punto di vista. Per esigenze di copione (o di protagonismo?) Cage, insieme allo sceneggiatore Jason Richman, ribalta ruoli, caratteristiche e simbologie dell'opera originale, appiattendola in maniera inverosimile e intingendola in un buonismo "all'americana" che francamente ha stufato un po' tutti. Non basta infatti un finale amaro (quanto inconcludente, pur con il suo parallelismo -invero un po' insensato- al film del '99) a placare il senso di politically correct che pervade la pellicola, e al quale ci stupiamo i Pang si siano inchinati, finendo per snaturare la loro stessa creatura.
Non entriamo nei dettagli per non rovinare la sorpresa a chi andrà a vederlo, ma vi invitiamo anche a fare un confronto con il Bangkok Dangerous made in Thai per rendervi conto di come sembra sia diventato "difficile", quasi imbarazzante, per gli autori americani di oggi trattare argomenti scomodi come la violenza senza dover scendere a compromessi.

Come banalizzare i propri stessi personaggi ed esserne lieti

Parlavamo di stravolgimento e banalizzazione della trama e dei personaggi: laddove il protagonista Kong era un assassino sordomuto che traeva dal suo handicap tutta una serie di vantaggi -ma anche di svantaggi- nell'esecuzione del suo lavoro, qui abbiamo un Cage piuttosto anonimo, fin troppo loquace per il suo ruolo e decisamente lontano dai fasti di un Face/Off. Il rapporto tra Joe e Kong (che nel frattempo si sono anche scambiati la ragazza fra i due film) passa da una fratellanza a un molto meno incisivo piano allievo/maestro.
La storia d'amore tratteggiata fra Joe e Fon, invece, pur essendo resa bene (tranne che nel monco finale, a differenza, ancora una volta, dell'originale) è fin troppo dolce, e sembra più una versione gangster di Figli di un dio minore che il delicato sfiorarsi di due coscienze -a loro modo innocenti ma allo stesso tempo così diverse- che i Pang avevano portato su schermo dieci anni prima.
E ancora, è la figura stessa di Joe a essere resa in maniera piuttosto superficiale, da un punto di vista strettamente "professionale". Il personaggio interpretato da Cage non ci mette che qualche giorno a dimenticare le sue preziose quattro regole d'oro, provando sentimenti e compiendo gli omicidi in modo tutt'altro pulito: questi sono veri e propri imperdonabili errori dal punto di vista della credibilità dei personaggi stessi, non giustificabili come semplici "sviluppi della personalità".
Anche da un punto di vista tecnico, i fratelli Pang sembrano aver subito un'involuzione: laddove il modello poneva le basi su uno stile sincopato, pieno di stop&go, di soluzioni originalissime nella visualizzazione dei contrapposti (colonna sonora invasiva, cromatismi esasperati, effetti al rallenty e diversi tipi di fotografia a seconda del tipo di scena) qui i gemelli, nonostante la possibilità di attingere alle più disparate e variopinte soluzioni offerte dagli effetti speciali occidentali d'oggi, si lasciano andare all'estro solo in un paio di occasioni, peraltro sprecate e slegate da un ritmo narrativo unico.

Bangkok Dangerous Bangkok Dangerous rappresenta sicuramente un'occasione sprecata, sia per Cage (che ultimamente non sceglie molto bene ruoli e produzioni, ma attendiamo fiduciosi per Kick-Ass e L'apprendista Stregone) che per i gemelli Pang, che potevano consacrarsi al pubblico occidentale con un remake all'ennesima potenza del loro primo grande successo e invece si sono accontentati di fare un film mediocre e anonimo. Non disprezzabile, intendiamoci: ma banale, questo sì.

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