Recensione Banana

Storia tragicomica di un piccolo Don Chisciotte di periferia

Recensione Banana
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Il titolo fa riferimento al soprannome del buffo e fragile quattordicenne protagonista, convinto di essere un campione ma che, in realtà, ha il piede a "banana".
Quattordicenne cui concede anima e corpo il Marco Todisco visto in Questione di cuore (2009) e Febbre da fieno (2010) e che, convinto che nella vita sia necessario prima di tutto cercare di essere felici, come nel calcio brasiliano sostiene che bisogna attaccare con slancio e col cuore in mano.
E la sua felicità è convinto che stia tutta nell'essere compagno di banco di Jessica alias Beatrice Modica - di cui è segretamente innamorato - anche per il prossimo anno; tanto da decidere di farla promuovere aiutandola a studiare, sebbene, al contrario di lui, sia la ragazzina più crudele e sessualmente disinvolta dell'universo, oltre che protetta da tre perfide coetanee che lo detestano.
Perché, come spiega il regista Andrea Jublin, qui al suo primo lungometraggio e nel quale ricopre anche il ruolo di Gianni: "In mezza riga, Banana è la storia di un ragazzino che fa di tutto per avere una ragazzina. Ma, su un piano più profondo, tematico, il film parla della necessità del ragazzino di non vedere sprecata la propria vita. E se la quasi totalità dei personaggi di questa storia si comporta come chi sa che nella vita non vale la pena soffrire, per lui è diverso".

Un (piccolo) eroe dei nostri tempi

Un ragazzino appassionato alla bellezza, alla grandezza e alla profondità di quell'avventura che è il quotidiano vivere e che capisce che, per averle, deve essere disposto a fare fatica e a soffrire, trascinando nel suo mondo anche gli adulti che lo circondano, tutti smarriti, lontani da loro stessi e che non sembrano riuscire più a ricordare quale era l'esistenza allo stato puro, irrigiditasi e sbiaditasi, col tempo, in "recite" e delusioni.
Adulti che vanno dai suoi annoiati genitori, ovvero Giselda Volodi e Gianfelice Imparato, alla burbera e terribile professoressa Colonna, incarnata da Anna Bonaiuto e con la quale il preside interpretato da Giorgio Colangeli tenta di mantenere un rapporto cordiale.
Senza contare sua sorella Emma, intellettuale di casa aspirante alla carriera di ricercatrice interpretata da Camilla Filippi; la quale va a completare il cast in ottima forma di oltre un'ora e venti di visione atta a fare della periferia romana - ma evitando intelligentemente di lasciar avvertire la collocazione geografica del tutto - il giusto sfondo per una commedia che volge lo sguardo (critico?) verso la stanca Italia d'inizio XXI secolo, meschina, ottusa, volgare e cinica.
Una commedia che, nonostante insegnanti di ginnastica sciancati, scherzi da parte di alunni e grottesche interrogazioni, rimane, comunque, sempre amara nell'inscenare i confronti tra Banana e la violenta e sboccata "fauna giovanile" (e non solo) che lo circonda.
Mentre la sceneggiatura - firma dello stesso regista - riesce nella sempre più difficile impresa di non incappare mai in risvolti banali e, a tratti, si prova l'impressione di avvertire l'influenza da parte di un certo vecchio cinema francese per ragazzi... da Zero in condotta (1933) di Jean Vigo a La guerra dei bottoni (1962) di Yves Robert.

Banana “Non è forse un atto eroico volere credere che si possa vivere di cose belle, pulite, grandi e semplici?” chiede il regista Andrea Jublin parlando del suo primo lungometraggio. Considerando che lo sfondo è il tutt’altro che “lindo” e confortante mondo d’inizio terzo millennio, si direbbe proprio di sì. Ma, ultra-romantico piccolo eroe, Don Chisciotte di periferia giustamente convinto che le persone speciali, nella nostra esistenza, siano importanti per essere felici, Banana intende a tutti i costi dimostrare che ciò è possibile. Pur dovendosi continuamente confrontare con la dura realtà dei fatti, nel corso di una gradevolissima commedia mai banale e tempestata d’amarezza cui giova, oltretutto, l’ottimo cast.

6.5

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