Avatar: La via dell'acqua Recensione: un kolossal che sfiora il capolavoro

James Cameron dirige un sequel superiore al suo predecessore: pur senza l'effetto novità, Avatar: La via dell'Acqua è un kolossal senza precedenti.

Avatar: La via dell'acqua Recensione: un kolossal che sfiora il capolavoro
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Avatar: La via dell'Acqua è un'opera colossale, che supera sotto ogni aspetto le meraviglie del suo ingombrante predecessore. Un film lungo, complesso, ma totale, che racconta moltissime cose e lo fa trasmettendo un senso di meraviglia costante. Non si poteva aprire in altro modo la recensione del nuovo colossal firmato da James Cameron, che costruisce un altro worldbuilding stratosferico, fatto di immagini che rimarranno marchiate a fuoco nella memoria collettiva del pubblico e con un cast di personaggi memorabili. Non tutto è perfetto negli ingranaggi di una sceneggiatura molto stratificata, e forse - come avrò modo di sviscerare meglio nelle prossime righe - serviva un po' di attenzione in più in fase di scrittura, specie nel tratteggiare alcuni "turning point" essenziali allo sviluppo di tutto l'ordito. Eppure, parliamo di granelli - anzi, di gocce, visto il tema del film - che si perdono in un oceano di suggestioni che tolgono il fiato.

Ritorno a Pandora

Se non rammentate perfettamente il primo capitolo magari vi tornerà utile il riassunto della storia di Avatar, che trovate su queste pagine, ma in ogni caso è consigliabile una visione fresca del colossal datato 2009 prima di approcciare La via dell'Acqua.

Perché, pur essendo trascorso poco più di un decennio dagli eventi di Avatar anche all'interno della storia, ricordare come si sviluppava e concludeva l'epopea di Jake Sully su Pandora è fondamentale prima di tornare ad immergersi nella cultura dei Na'Vi. I venti di guerra che hanno devastato Pandora sono ormai un lontano ricordo: gli Omaticaya hanno prosperato sotto la guida di Jake Sully, che nel frattempo ha avuto da Neytiri tre figli: Neteyam, Lo'ak e Tuk, ai quali si sono poi aggiunti due figli adottivi, la Na'vi Kiri e l'umano Spider, il quale ama trascorrere gran parte del tempo con gli indigeni piuttosto che con la fazione umana rimasta in amicizia su Pandora dopo la purga degli invasori. Purtroppo la pace è destinata a durare poco: dalla Terra giunge un'altra minaccia che promette vendetta contro le azioni che Jake ha compiuto anni prima, ed ecco che la famiglia Sully si ritrova ad affrontare un nemico ben più potente e determinato che in passato. Non parlerò del ritorno di Stephen Lang nei panni del colonnello Miles Quaritch, annunciato da tempo come villain di tutto il rinnovato franchise di Avatar: basti sapere che il modo in cui Quaritch torna ad essere una minaccia concreta per Jake e il suo nucleo familiare si rivela coerente e originale, e innesca ulteriori riflessioni che, a margine, La via dell'Acqua pone in relazione al rapporto tra vita e morte.

In ogni caso, Jake e i suoi prendono una decisione dolorosa: lasciare la propria casa e trovare aiuto altrove. Dopo un lungo incipit, le ali del vento li portano ad esplorare terre finora ignote persino per i Na'vi delle foreste: oltre il mare, tra le tribù delle coste, i protagonisti trovano rifugio presso il clan dei Metkayina, guerrieri dell'acqua molto diversi dagli Omaticaya per cultura, tradizione e aspetto fisico. Qui, Jake, Naytiri e i rispettivi pargoli devono nuovamente imparare cosa significa essere un Na'vi, lontano dalla sicurezza degli alberi e immersi a stretto contatto con le meraviglie del mare: dovranno, tanto per citare le dure parole di Naytiri nel primo film, tornare ad essere bambini che muovono i primi passi del mondo, riscoprendo il rapporto con se stessi e con la natura.

Io ti vedo

Eppure, tutto ciò è solo la punta dell'iceberg di un film stratificato su più livelli. Anzitutto Avatar: La via dell'Acqua è una pellicola che vive di due anime, al punto che al suo interno sembrano coesistere più film in uno. Questo perché il prologo - che a conti fatti riempie i primi sessanta minuti - si prende tutto il tempo necessario per innescare l'intero racconto. Eppure lo fa con un ritmo da capogiro, che non fa pesare il minutaggio a dir poco imponente di tutta l'opera: un valore che si estende anche al resto del lungometraggio, per un totale di 192 minuti (3 ore e 12 circa) che scorrono ad una velocità sorprendente, perché numerosi e pregnanti sono i suoi contenuti.
Un'epopea di una famiglia sulla famiglia, e di conseguenza un racconto molto più corale del precedente, in cui il dualismo tenero e sensuale tra Jake e Naytiri lascia spazio al conflitto generazionale, raccontato con convinzione e delicatezza da Cameron attraverso il rapporto tra genitori e figli della famiglia Sully. Tutti personaggi, compresi i giovani, ben scritti, profondi e sfaccettati, ciascuno con un preciso rimando alle molteplici sfere tematiche di Avatar 2.

L'aspetto che reputo più convincente del lavoro svolto sui protagonisti è che così facendo Avatar si prepara a trasformarsi in un'avvincente saga familiare, che quasi sicuramente si evolverà nei prossimi capitoli del franchise spostando man mano tutto il peso della narrazione da Jake alla sua progenie. Cosa che già La via dell'Acqua, con intelligenza, costruisce frammentando le sue varie storyline, persino approfondendo le sfumature di un villain che diventa molto più tridimensionale, assai meno lineare e stereotipato.

Una sbavatura comunque c'è, e a parere di chi scrive è legata ad un preciso sviluppo tra due personaggi nel segmento centrale del film: una specifica scelta narrativa che, soprattutto nell'economia di certe svolte di trama durante l'epilogo, rendono il secondo atto (e i suoi protagonisti) leggermente superficiale. Andava forse definito meglio il rapporto tra l'antagonista ed uno specifico (ma fondamentale) comprimario, un inciampo che comunque non guasta l'enorme coerenza del film. A fronte, soprattutto, di una messinscena che non ha precedenti.

Sua Maestà Cameron

Le immagini del primo Avatar scorrono tutt'ora davanti agli occhi di un cinefilo pop che non ha più rivisto simili meraviglie, nei tredici anni trascorsi tra il primo colossal di Cameron e il suo sequel, in nessun altro dei mastodonti che hanno popolato il cinema di consumo nell'ultimo decennio.

Avatar: La via dell'Acqua alza ulteriormente l'asticella qualitativa con un comparto tecnico e visivo semplicemente perfetti, in cui la modellazione della CGI e delle scenografie digitali incontrano un fotorealismo che lascia a bocca aperta e stupisce per la bellezza dei nuovi biomi di Pandora. Avatar 2 è probabilmente anche il miglior film di sempre girato in acqua: l'occhio cinematografico di Cameron percorre gli scenari subacquei con la stessa magnificenza con cui, nel 2009, solcò i cieli a volo di Ikran, muovendosi tra fauna e flora marittime con la delicatezza di un documentario e il respiro epico di un immenso Blockbuster. Il confine tra lavoro digitale e realtà viene completamente annullato dall'espressività spiazzante di ogni singolo personaggio, forte di un'intensità recitativa che lascia profondamente il segno. La magnificenza estetica di Avatar 2 si accompagna anche allo splendido worldbuilding, che tratteggia con cura maniacale la cultura, la religione e le usanze del popolo Metkayina, nel quale James Cameron ha riversato tutta la propria attenzione e sensibilità nei confronti di un sottotesto marcatamente ambientalista e animalista. Uno spettacolo assoluto insomma - anche e soprattutto in 3D, tecnologia nella quale La via dell'Acqua diventa a sua volta metro di paragone - che non ha eguali, se non con il suo diretto predecessore.

Nei confronti del quale The Way of Water si attesta comunque come superiore, non fosse per il valore unico e assoluto della novità che nel 2009 rese Avatar il capolavoro che è ancora oggi. Un'unica e fondamentale mancanza che definirei fisiologica, insieme al ruolo che questo sequel ricopre anche in relazione all'intera saga: Avatar rimane un'opera autoconclusiva e cristallizzata nel tempo, mentre La via dell'Acqua è un seguito che funge anche da film di transizione verso i futuri episodi. E che, in quanto tale, cade vittima di tutti quei piccoli escamotage narrativi tipici di un franchise: elementi di trama rimasti irrisolti perché destinati ad essere sviluppati in futuro, personaggi destinati ad evolversi e perciò non del tutto completi nel proprio processo di formazione. Ma è anche un po' il "bello" della crescita che i figli di Jake Sully dovranno affrontare da qui in avanti, in attesa di un eventuale - e molto probabile - passaggio di testimone squisitamente generazionale.

Avatar: La via dell'acqua Avatar: La via dell’Acqua è un sequel in tutto e per tutto migliore del suo predecessore. Un film imponente e monumentale da un punto di vista produttivo, che inciampa in qualche leggera sbavatura narrativa soltanto nell’atto centrale di una storia più complessa, matura e stratificata che in passato. Elementi che comunque non guastano la coerenza di un’opera colossale, che non ha precedenti sul versante visivo e tecnologico. Un world building stratosferico in cui scienza e magia si mescolano nuovamente in un’opera in cui la lavorazione digitale incontra un fotorealismo mai così convincente. Una pellicola che forse non spingerà chi non aveva apprezzato il primo episodio a rivalutare in toto l’universo creato da James Cameron, ma imprescindibile per chi aveva abbracciato e amato le meraviglie di Pandora. Indimenticabile, in ogni caso, per il Cinema stesso.

9

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