Attraverso i miei occhi, la recensione del film con Milo Ventimiglia

Adattamento dell'omonimo romanzo, il film di Simon Curtis racconta l'incredibile amicizia tra un cane e il suo padrone, pilota di corse automobilistiche.

Attraverso i miei occhi, la recensione del film con Milo Ventimiglia
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Gli animali domestici al cinema sono spesso sinonimo di apprezzamento da parte del grande pubblico, pronto a immedesimarsi nei personaggi umani e nel loro rapporto con le suddette bestiole. In particolare il cane, considerato universalmente come "il miglior amico dell'uomo", domina da sempre questo particolare filone. Ultimo esponente ad aggiungersi alla vasta categoria, che di recente ha conquistato anche Netflix con l'on the road Diciassette (2019), è Attraverso i miei occhi, il cui responso ai botteghini americani è stato più tiepido del previsto, con un incasso inferiore ai 30 milioni di dollari. Forse l'abusata formula comincia a stancare e le locandine che citano tra i produttori gli stessi di Io e Marley (2008), cult a tema di qualche anno fa, facevano già presagire le atmosfere melodrammatiche che si sarebbero respirate nel corso dei 100 minuti di visione.

La trama in effetti non nasconde il suo innato sentimentalismo e anzi si espone in slanci emozionali molto tradizionali, con il costante voice-over del peloso co-protagonista ad accompagnare lo spettatore per l'arco di tutto il film. Enzo, questo il nome del simpatico quadrupede, è un golden retriever che viene adottato ancora cucciolo da Denny, giovane e promettente pilota con un futuro assicurato nel mondo delle corse automobilistiche.
I due sono inseparabili sin da subito, con il padrone che accompagna Enzo (chiamato così in onore di Enzo Ferrari) a bordo pista durante le sue gare. Un giorno nella vita della "coppia" entra la bella Eve, con la quale il ragazzo inizia una relazione.
Il cane è inizialmente geloso della nuova arrivata, ma ben presto si affeziona anche a lei e comprende come sia la donna giusta per Denny. Il matrimonio e l'arrivo di una figlia, Zoe, completano l'idillio di una famiglia perfetta, ma quando tutto sembra andare per il meglio il destino ci mette lo zampino e pone i genitori di fronte a un terribile e oscuro nemico: Enzo farà di tutto per stare il più vicino possibile ai suoi cari nei momenti di maggior bisogno.

Un esasperato sentimentalismo

Chi ha avuto, e perso, un cane nella propria vita rimarrà senza dubbio maggiormente colpito da una narrazione che poggia tutta la propria, facile retorica sul legame tra il fedele compagno e Denny, pilota che deve affrontare altre gravose tragedie personali durante il percorso filmico. Attraverso i miei occhi non fa nulla per nascondere la sua anima spicciola che tenta in più occasioni di condurre a una forzata commozione, riuscendoci in molte di queste ma risultando ad ogni modo estremamente artificiosa per risultare altrettanto spontanea. La perenne voce fuori campo di Enzo (doppiato nella versione originale da Kevin Costner e in quella italiana da Gigi Proietti) alla lunga finisce per stancare e il suo flusso di pensieri cede a banalità assortite sul senso della vita e della felicità.

La pellicola si dipana tramite un lungo flashback nel quale, tolto il prologo quando è ancora un cucciolo, l'animale è sempre interpretato dallo stesso esemplare che assiste all'invecchiamento dei suoi amici umani e ai drammatici eventi che questi si trovano ad affrontare. Proprio Enzo è una sorta di cantastorie/spettatore, il veicolo, costruito a tavolino, d'immedesimazione per l'occhio e l'anima di chi guarda, con tutti i pro e i contro che questa scelta comporta.

Un amore a quattro zampe

Il contorno agonistico è un elemento puramente secondario, tanto che il protagonista avrebbe potuto essere un calciatore, un tennista o quant'altro: tolta una sequenza finale su quattro ruote utile ai fini della trama e la passione del pet per le corse in televisione, il resto della carriera sportiva è ridotto ai minimi termini. E allora assumono fondamentale importanza le dinamiche tra i personaggi, con situazioni scomode che si complicano sempre di più tra dolorose perdite e accesi contrasti in attesa del comunque, inevitabile, lieto fine condito da amarezza. Il titolo originale, The art of racing in the rain, fa riferimento all'imprevidibilità della pioggia come metafora per l'evento clou che rivoluziona l'intero costrutto narrativo, ma per il resto Attraverso i miei occhi è figlio proprio di una prevedibilità tipica del genere.

Il cast se la cava discretamente, con Milo Ventimiglia e Amanda Seyfried nei ruoli principali, ma anche in quest'occasione deve fare i conti con figure prive di reali sfumature e costrette in vincoli strettissimi, mentre la regia di Simon Curtis, regista inglese conosciuto soprattutto per il biografico Marilyn (2011) e Vi presento Christopher Robin (2017), è tanto diligente quanto scevra da rischi di sorta, escluso un breve e divertente vagito visionario a circa metà visione..

Attraverso i miei occhi Sulla carta la formula era perfetta per attirare quel grande pubblico, possibilmente padrone di animali domestici, pronto a commuoversi in sala: qualcosa però dev'essere andata storta in fase promozionale, visto il riscontro non certo entusiastico ai botteghini statunitensi. Attraverso i miei occhi propone una ricetta di stampo classico, con il costante voice-over del simpatico golden retriever protagonista ad accompagnare lo spettatore alla scoperta della sua famiglia umana e dello strettissimo legame con il pilota Denny, asso delle corse automobilistiche. In una trama apparentemente lineare, un tragico colpo di scena cambia le carte in tavola e conduce la storia su lidi melodrammatici alla ricerca della lacrima facile, addentrandosi nei territori della pura e gratuita retorica di genere. Chi sta al gioco avrà occasione di sentirsi emotivamente coinvolto in più occasioni, ma l'impressione che la sceneggiatura (adattamento dell'omonimo romanzo di Garth Stein) sia costruita ad hoc per compiacere proprio il relativo target di riferimento toglie spontaneità all'intero insieme.

5.5

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