Arrivato ormai alla terza pellicola dedicata al detective Hercule Poirot, Kenneth Branagh inizia a mostrare un carattere artistico decisamente più estroso. Assassinio a Venezia è una libera interpretazione di "Poirot e la strage degli innocenti": non uno dei libri più famosi di Agatha Christie, e proprio perché più lontano dalla "sacralità" di grandi classici come Assassinio sull'Orient Express e Assassinio sul Nilo il regista di Belfast (eccovi la nostra recensione di Belfast) sperimenta più che in passato, confezionando una pellicola meno avvincente sul piano della scrittura ma molto più ispirata sul piano visivo.
Poirot e i fantasmi
Con Assassinio a Venezia Kenneth Branagh continua, sulla scia dei due film precedenti, a indagare il lato più umano dell'infallibile investigatore privato. Se nel primo capitolo (leggete la nostra recensione di Assassinio sull'Oriente Express) si intravedeva la volontà di dare al protagonista un background più approfondito, mentre nel secondo (recuperate qui la recensione di Assassinio sul Nilo) si esploravano i drammi e i traumi del suo passato, questa volta si passa al livello successivo con una storia che mette costantemente in dubbio tutte le certezze del geniale detective.

Poirot si è infatti stabilito a Venezia per godersi una meritata pensione, tenendosi ben lontano da qualunque caso di omicidio nonostante chiunque in città tenti di presentarsi alla sua porta per ricevere aiuto, al punto che il nostro ha dovuto ingaggiare una guardia del corpo: Vitale, interpretato dal nostro Riccardo Scamarcio. Accade però che una vecchia amica, la scrittrice di gialli Ariadne Oliver (Tina Fey) si presenta al cospetto di Hercule per renderlo partecipe di un caso quanto mai bizzarro: una casa infestata dallo spirito di una povera ragazza morta suicida poco tempo prima, un gruppo di persone collegate in qualche modo alla sua morte e una seduta spiritica per comunicare con la defunta e scoprire qualcosa in più sulle cause del decesso (la medium è interpretata dall'attrice Premio Oscar Michelle Yeoh, avete letto la recensione di Everything Everywhere All At Once?).
Una vicenda a cui il pragmatico Poirot, uomo di scienza, logica e deduzione, non può credere: eppure, un po' perché costretto e un po' perché attratto dalla curiosità, il detective accetta, finendo per trascorrere una nottata decisamente peculiare, tra nuovi delitti, misteri sempre più intricati e avvenimenti paranormali che metteranno a dura prova la sua mente d'acciaio.
Un giallo-horror audace
Assassinio a Venezia non è un giallo convenzionale. Non nell'accezione più classica, ed è sicuramente molto lontano - per toni e approccio all'indagine - dai due capitoli precedenti. Perché stavolta l'indagine di Poirot è intrisa di una tinta più thriller che mai, concedendosi addirittura un'incursione più che decisa nel territorio dell'horror. Potremmo quindi definire il nuovo episodio diretto e interpretato da Kenneth Branagh un ibrido tra giallo e horror, una commistione che rende la pellicola quanto mai imprevedibile e affascinante. Merito di una regia sicuramente più ispirata che in passato da parte di un Branagh sempre più maturo e desideroso di sperimentare. E in tal senso, grazie alla cornice di una Venezia inedita, notturna, cupa e più gotica che mai, l'ambientazione gioca un ruolo fondamentale nell'accentuare le atmosfere tenebrose e inquietanti in cui si muove l'indagine di Hercule. Che qui indaga, ancor prima che un caso di possibile omicidio, le paure e le fragilità della sua mente, inerme di fronte ad avvenimenti paranormali a cui non riesce a dare una spiegazione logica.
È insomma un Poirot inedito, quello di A Haunting in Venice, diretto da un Kenneth Branagh inedito, che riesce a catturare l'essenza più tenebrosa di Venezia con una regia audace, tra inquadrature grandangolari e movimenti di camera che accentuano i toni inquietanti dell'avventura. Un racconto a cui possiamo imputare il solo difetto di non avere la stessa attrattiva delle due indagini precedenti, pur spingendo tantissimo sull'esoterico e sul sovrannaturale.

Perché la patina horror non è sempre sufficiente a mascherare una scrittura meno cervellotica che in passato, e che ad un occhio più attento potrebbe risultare addirittura prevedibile ben prima della rivelazione finale. Un demerito che potrebbe ricondursi alla natura stessa dell'operazione, che parte da un romanzo di Agatha Christie per concedersi molte più libertà narrative rispetto ai casi dell'Orient Express e del Nilo, che seppur rivisitati conservavano con grande orgoglio l'amore nei confronti della materia d'origine. Ma, per quanto ci riguarda, ben venga comunque questo Assassinio a Venezia: un giallo che tenta di fare qualcosa di diverso sconfinando in un genere inedito, ammantato di un fascino estetico d'altri tempi grazie ad un'ambientazione più cupa e tenebrosa che mai.