Recensione As you like it

Fascino d'oriente per l'ultima fatica shakespeariana di Branagh

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The Immortal Bard

Un’infarinatura di Shakespeare ce l’abbiamo tutti, volenti o nolenti. Non solo perché l’immortale bardo, come lo definì Asimov in un suo famoso racconto, è stato straordinario conoscitore e interprete delle passioni umane, indagate in ogni loro sfumatura, ma anche perché, sin dall’epoca delle prime messe in scena delle sue opere, la fama del poeta inglese ha superato ogni aspettativa, dando origine ad una sequela infinita di rimaneggiamenti, trasposizioni o anche solo riferimenti da parte di terzi, con risultati quantomai altalenanti. Ma se è vero, come è vero, che sono proprio le opere più grandi, con il loro valore universale, a prestarsi a sempre nuove interpretazioni, e se è vero, come è vero, che non esiste un metodo univoco e infallibile per rappresentare la genialità, allora sotto a chi tocca, e immergiamoci con fiducia nella nuova fatica di Branagh, tra l’altro non certo nuovo a questo genere di operazioni.

Intrighi a corte, inganni nella foresta

La commedia si apre con un’idilliaca scena familiare, ma destinata, ahinoi, a concludersi anzitempo: il duca e la sua corte sono infatti piacevolmente immersi nella visione di una rappresentazione teatrale No (si, siamo in Giappone. Si, è un’ambientazione un tantinello inusuale), quando il fratello Federigo, supportato da una schiera di ninja, costringe il duca alla fuga usurpandone il trono. Grande è lo sconforto della bella figlia Rosalinda, che solo in parte viene mitigato dalle premure della cugina Celia, della quale svolge ora il ruolo di dama di compagnia. Ma la giovane non è certo l’unica a soffrire a corte: il giovane principe Orlando vive infatti un rapporto a dir poco conflittuale con il fratello maggiore, colpevole, a suo dire, di mantenerlo volontariamente nell’ignoranza e nell’indigenza per invidia nei confronti delle sue qualità. Qualità che non esita a mettere alla prova in un combattimento di Sumo contro il campione in carica Charles, organizzato ad uso e consumo della corte e al quale assiste inevitabilmente anche Rosalinda. Si sa che quando due anime affini si incontrano, il destino è solito dare una spintarella nella giusta direzione, e se poi aggiungiamo da una parte il valore di Orlando (che neanche a dirlo riporterà una vittoria schiacciante sull’avversario), dall’altra la bellezza e la grazia di Rosalinda, ci sono tutti gli ingredienti per la nascita di un grande amore. La difficile situazione al castello, però, costringe entrambi alla fuga, ed è così che sia Orlando, accompagnato dal vecchio servo di famiglia, sia Rosalinda, con la cugina e il giullare Paragone, trovano rifugio nella foresta di Arden, già dimora del sovrano deposto e della sua corte. Per due giovani e nobili signorine aggirarsi per una foresta indifese può purtroppo risultare estremamente pericoloso, ed è così che Rosalinda decide di utilizzare un ingegnoso stratagemma: vestirà i panni di un giovane contadino, chiamato per l’occasione Ganimede, mentre la cugina assumerà il ruolo di sua sorella Aliena. Nessun cambiamento invece per il simpatico Paragone. Tra i numerosi incontri bucolici non mancherà quello tra Rosalinda/Ganimede e Orlando che, bruciante d’amore, non trova di meglio che appendere haiku ispirati all’amata alle povere cortecce degli alberi. Il giovane, evidentemente obnubilato dall’impeto dei sentimenti, non riconosce in Ganimede la bella nobildonna, la quale, facendo sfoggio della rinomata astuzia femminile, non esita a mettere alla prova la veridicità della passione di Orlando, cercando di dissuaderlo dalla brama d’amore simulando (o meglio, simulando di simulare) i capricci del gentil sesso. Ma nella foresta molte altre vicende, amorose e non, attendono una risoluzione, e, considerato lo sceneggiatore, c’è da scommettere che sarà un epilogo in grado di accontentare tutti.

Qualche perplessità di troppo

La base sulla quale si è trovato a lavorare Branagh è, inutile dirlo, di tutto rispetto, e, complice la sceneggiatura il più possibile fedele all’originale, l’atmosfera fresca e giocosa dell’opera shakespeariana è intatta. Tema portante della vicenda è la forza trascinante dell’amore, che, sebbene spesso descritto con toni tragici dal poeta inglese, in questo caso assume una valenza propositiva, rinnovatrice, quasi di redenzione: non è, semplicemente, il trionfo di una passione giovanile, quanto un sentimento che, seppur maldestro ed impacciato, sa conquistare, proprio con la sua spontaneità, persino gli animi più ritrosi, e riesce ad avere la meglio anche sulle incomprensioni più testardamente coltivate. Merito, ovviamente, anche del cast, nel quale si distinguono una Bryce Dallas Howard assolutamente deliziosa nel ruolo dell’innamorata sognante/scostante, un Alfred Molina comicamente saggio nell’interpretazione di Paragone, e un Kevin Kline cupo e disincantato, ma in fondo sempre in attesa di essere smentito, nei panni di Jacques, “filosofo” di corte. Peccato che, a tratti, sia proprio la regia a risultare sottotono, appesantita da qualche tempo morto che, se da una parte ha il pregio di focalizzare l’attenzione dello spettatore sugli splendidi paesaggi che fanno da cornice alla vicenda, dall’altro lascia anche una spiacevole sensazione di smarrimento, come se la narrazione si perdesse anch’essa, imitando gli spensierati protagonisti, nel lussureggiante e colorato labirinto arboreo di Arden. Il che ci introduce finalmente alla spinosa questione dell’ambientazione: inutile negare che, quantomeno per i conoscitori dell’opera, risulti un tantino disorientante vedere un’intera schiera di nobili inglesi, sepolti da chilometri di pizzi e crinoline, muoversi tra giardini zen e ciliegi in fiore. E forse il fatto che il fantomatico combattente Charles (che gli astanti, con ogni probabilità, immaginavano come un altero, baffuto spadaccino) si palesi in scena nelle sembianze di un panciuto lottatore di Sumo, con tanto di codino e perizoma d’ordinanza, riesce a mettere alla prova la pazienza anche degli spettatori meno intransigenti. Ciononostante, è innegabile che la coraggiosa contaminazione messa in atto dal regista inglese (suggeritagli dal costume tardo ottocentesco in osservanza del quale i mercanti europei, ospiti di un Giappone che aveva appena aperto le frontiere, ricreavano piccole comunità indipendenti in cui far convivere le proprie consuetudini con le abitudini del luogo) costituisca, da una parte, una chiave interpretativa originale e interessante, seppur comprensibilmente non condivisibile da tutti, dall’altra un pieno successo dal punto di vista della fotografia: sia le scene ambientate nella foresta, con il loro intenso e vivace cromatismo, sia quelle girate tra le eleganti atmosfere del castello giapponese, conquistano per la loro armonia e grazia, e offrono agli occhi dello spettatore un incanto nel quale è impossibile non perdersi. Ma le estrosità di Branagh non finiscono qui, e, dulcis in fundo, il regista ci propone una conclusione metacinematografica in piena regola, con una Rosalinda, ormai Bryce, che si congeda dal pubblico sorseggiando un brodoso caffè mentre scompare all’interno del suo camper. Un altro colpo al cuore per i puristi, un altro divertissement ad uso e consumo dei più permissivi.

L'edizione in DVD

Passiamo in rassegna il versante tecnico di questo DVD. Oggetto della recensione è l'edizione, l'unica al momento prevista per il mercato italiano, a singolo disco, con un modesto comparto di extra e altrettanto modesto comparto sia audio che video.

Il video presenta un bitrate medio di 6.2 Mb/s, non elevatissimo ma nemmeno scadente come abbiamo avuto modo di vedere in altri dvd, restituendo un quadro tuttosommato discreto, con qualche artefatto di troppo e un bel po di grana, forse troppa se si considera la recente produzione di questa pellicola. Buono il livello medio del dettaglio, meno buona la resa cromatica con colori a volte troppo accesi. Il formato video è, l'ormai canonico, 2.35:1.

Due le tracce audio a disposizione, in lingua italiana e lingua originale (inglese) entrambe codificate in Dolby Digital 5.1 a bitrate dimezzato (448kbps). In estrema sincerità, non abbiamo molto da segnalare riguardo al comparto audio, se non una resa dei dialoghi tuttosommato buona, e la colonna sonora molto piacevole, che contribuisce ad una esperienza audiovisiva tutto sommato positiva.

Pochi, come ci si aspettava, gli extra, con due trailer, un making of e alcune interviste.

As you like it In definitiva, questo quinto adattamento shakespeariano di Branagh (dopo Enrico V, Molto Rumore per Nulla, Hamlet e Pene d’Amor Perdute) non delude completamente, ma nemmeno entusiasma, e questo non tanto per la così largamente criticata ambientazione, che in fin dei conti niente toglie alla grandezza dell’opera del bardo e che ha, anzi, il solo demerito di risultare stridente ai più tradizionalisti, quanto per i bruschi cali di ritmo subiti dalla narrazione, che non rendono giustizia alla prova di ottimo livello dell’intero cast e che riescono nell’impresa ardua di far risultare noiosa una commedia di Shakespeare. Senza infamia e senza lodi l'edizione in DVD di questo film, con il comparto audio e video che raggiungono la piena sufficienza.

6

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