Ant-Man and the Wasp: la recensione del film con Paul Rudd ed Evangeline Lilly

L'eroe formica torna insieme a una compagna agguerrita in questo sequel dal divertimento dirompente, dove si perde però l'effetto novità.

Ant-Man and the Wasp: la recensione del film con Paul Rudd ed Evangeline Lilly
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A ogni eroe, la sua dimensione. A ogni franchise, la propria grandezza. Prendiamo l'ottimo Avengers: Infinity War dei fratelli Russo, ad esempio: il film ha riscritto nel profondo i canoni dell'epica supereroistica cinematografica, cucendo insieme storie e personaggi in un film unico e complesso, decisamente fuori portata per molti altri esponenti del genere.
In quel caso le dimensioni sono esageratamente grandi, sotto ogni aspetto: atmosfera, equilibrio stilistico e narrativo, contenuto, ma da un film come Ant-Man and the Wasp non ci si aspetta nulla del genere. Infatti, il sequel di Peyton Reed può essere tranquillamente elencato sotto la lista di quei film che se ne infischiano di tutto e fanno quello che sanno fare meglio: divertire. Non creare suspance, né sorprendere per audacia o virtuosismi di ogni sorta, ma solo e semplicemente divertire. Se poi nel primo capitolo delle avventure dell'eroe formica questa cosa era chiara, qui assume proprio la mastodontica forma di mantra, quasi come misura meditativa contro il finale di Infinity War e l'esasperante attesa di Avengers 4. E al netto di una certa perdita fisiologica dell'effetto novità, il sequel con Paul Rudd ed Evangeline Lilly intrattiene nel migliore dei modi, quello più caro alla commedia, spensierato e leggero, senza prendersi mai sul serio.

Padri, madri e figlie

Vediamo innanzitutto di inserire il film nel giusto contesto. Come ormai noto, Ant-Man and the Wasp è ambientato diversi mesi prima dell'avvento di Thanos e pochi mesi dopo gli eventi di Captain America: Civil War. È un sequel che vive nel mezzo della continuty attuale, si potrebbe quindi pensare che ci siano molti collegamenti con Infinity War, e invece Peyton Reed per lo più se ne frega e scrive una storia che vede nuovamente al centro del racconto i rapporti famigliari, questa volta con l'aggiunta dell'elemento "mamma". Non che non tratti il dopo Civil War, ma lo fa in modo talmente divertito e scontato che passa tutto in secondo piano rispetto al resto, dove "il resto" sono essenzialmente le situazioni e i dialoghi esilaranti del film. Facile insomma capire perché Scott Lang sia ai domiciliari e altrettanto semplice intuire perché Hank Pym (un sempre bravo Michael Douglas) e Hope van Dyne lo abbiano allontanato senza rivolgergli più parola, ma a tre giorni dalla fine della prigionia in casa e con una prospettiva di lavoro interessante, a Scott importa solo di non finire nei pasticci e divertirsi con la figlia.
Prospettiva che, guarda caso, non viene neanche lontanamente mantenuta, e tutto a causa del piano di Hank e Hope per riportare nella nostra realtà Janet van Dyne (Michelle Pfeiffer), moglie di Hank e madre di Hope, rimasta bloccata per trent'anni nel Regno Quantico. Il fatto è che, nella sua breve permanenza nella dimensione quantica, Scott ha avuto una sorta di imprinting con Janet, e per rintracciarla in quel meandro molecolare privo di logica, il suo ex-mentore e la sua ex-fiamma hanno bisogno di lui.
Mettiamoci nel mix anche un alquanto eccentrico miliardario, interpretato da un divertito Walton Goggins, una villain... fisicamente schizzofrenica (con il volto di Hannah John-Kamen) e un parterre di comprimari decisamente particolari, e otteniamo così il quadro generale di un film che sembra nato per prendersi volontariamente in giro.

E lo diciamo in senso positivo, perché l'autoironia è una virtù che dovrebbe anzi diventare vizio per questo genere di produzioni, come del resto accade in casa Marvel, che con Thor: Ragnarok o i Guardiani della Galassia ha già dimostrato di essere un bel pezzo avanti per sarcasmo e umorismo. Sembra poi assurdo dirlo e sappiamo già che un'affermazione del genere spaventerà molti di voi, ma con Ant-Man and the Wasp Reed si è persino spinto oltre, rinunciando a una preponderanza di azione mozzafiato e a una certa epica di fondo per confezionare un prodotto marcatamente silly and funny, nel bene e nel male.

Il potere della risata

Messa così sembra che il film offra un intrattenimento spicciolo, ma vi assicuriamo: niente di più lontano dalla verità. Certo, ci immaginiamo già le sedute in writers room tra Chris McKenna e gli altri sceneggiatori (tra i quali lo stesso Rudd) nel mentre della stesura dei dialoghi -come quello tra Scott Lang e il Bill Foster di Laurence Fishburne o più o meno ogni battuta di Luis-, ma in Ant-Man and the Wasp c'è anche altro.

La parte drammatica, ad esempio, è affidata sia al personaggio di Ghost, ragazza perennemente contrita, motivata a trovare una cura alla sua straziante (letteralmente!) condizione, sia a Hope, entrambe donne molto forti e figlie affezionate ai genitori, chi in un modo chi in un altro.
Di base, poi, le motivazioni che muovono le due sono di natura familiare, esattamente come quelle di Lang, che però qui sfiora soltanto di striscio l'elemento drammatico e si rimette completamente alla risata e alla battuta spensierata a tutti i costi. E sì, fanno più o meno tutte ridere, ma il più grande comprimario del film resta Michael Pena, un attore così a suo agio nella parte di Luis da risultare il miglior sollievo comico del film.
Come spiegavamo, l'azione c'è e si nota una certa cura per diverse accortezze creative che già ci avevano fatto emozionare nel primo capitolo, ma a mancare è un'occhio più clinico per la costruzione delle sequenze, che tendono a entusiasmare un po' meno di quelle del predecessore, nonostante poi siano sviluppate e pensate a dovere, questo anche grazie a trovate come la confezione di "automobili portatili" o all'approfondimento delle capacità delle cellule Pym. Di fondo l'elemento fisico viene sfruttato meno nel film e si tende piuttosto a giocare con stile e gusto con i poteri della tuta, ma il sussulto al cuore nel vedere Ant-Man correre sulla canna di una pistola per poi ingrandirsi e stendere un cattivo ci mette di più ad arrivare, il che non è necessariamente un male -ma neanche un bene. Forse è tutto riconducibile alla mancanza dell'effetto novità, ma in realtà Reed e gli sceneggiatori hanno sostanzialmente allineato con più precisione il franchise nel filone della commedia, tagliando molti mezzi termini e tentando un'approccio (riuscito) tout court con il genere. Poco importa che tutto l'atto finale sia una gigantesca sequenza action su più livelli, il discorso resta lo stesso: nella sua spettacolarità, Ant-Man and the Wasp osa di meno del primo capitolo, anche se questo non rovina l'intrattenimento, che è corale, spensierato e grande. E dato che ci viene regalato da piccoli eroi, lo è anche di più.

Ant-Man and the Wasp Ant-Man and the Wasp è il perfetto contraltare alla riscrittura dell'epica supereroistica di Avengers: Infinity War. Non tenta neanche per un secondo di prendersi sul serio e abbraccia completamente la sua natura divertente e divertita, creando siparietti esilaranti e mettendo in chiaro che l'autoironia e le battute, a volte anche silly, sono i suoi grandi mantra. L'azione non manca, anche se meno virtuosa ed entusiasmante rispetto al primo capitolo, ma è soprattutto con i poteri della tuta e delle cellule Pym che Peyton Reed e gli sceneggiatori hanno voluto giocare, imbastendo sequenze action ricche di ironia e trovate "oggettistiche" interessanti. Un sequel che fa del sollievo comico la sua grande chiave di lettura, che vive nel bel mezzo della continuity e che vuole vederci rilassati dopo il doloroso finale della Guerra dell'Infinito e prima dell'arrivo di Avengers 4. Un film che si fa piccolo tra i grandi, insomma.

7.5

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