Recensione Another Year

Another Year: il nuovo, pregnante affresco umano del regista inglese Mike Leigh

Recensione Another Year
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Dopo il vivace intermezzo, apparentemente più leggero di Happy Go Lucky, il regista Mike Leigh, fiore all'occhiello insieme al maestro Ken Loach di quel cinema di realismo sociale tanto caro agli inglesi, torna a parlare delle storie a lui più congeniali: persone comuni di grande carattere, immerse nella loro quotidiana realtà di gioie e dolori. Un cinema che porta in primo piano i dettagli della vita, amplificandone le meravigliose peculiarità, così come le contraddizioni e le amarezze.

Leigh's humor

Mary: Non te ne puoi andare in giro con un cartello con su scritto ‘Non t’innamorare di me, sono un uomo sposato’.
Tom: Beh, molti portano un anello.
Mary: Beh lui no.

Another Year

Tom e Gerri (non i celebri topo e gatto, ma come loro molto affiatati) vivono alla periferia di Londra, in una di quelle casette a schiera con bovindo e giardino coltivato. Lui geologo (scava buche) e lei psicologa (cerca di alleviare le sofferenze dei pazienti), sono le due, perfette metà di una stessa mela: sempre più complici e innamorati, per loro il tempo trascorso sembra non aver scalfito affatto il rapporto, che anzi, di stagione in stagione pare sempre più saldo. Hanno un figlio trentenne, Joe, professionalmente appagato, ma ancora in cerca del vero amore, e sono circondati da una manciata di amici smarriti che cercano di confortare come possono: Mary (logorroica collega di Gerri, che affoga i suoi problemi esistenziali nei numerosi bicchieri di vino), o Kenny (l'amico d'infanzia di Tom), sempre più stretto nella morsa del cibo e della solitudine, o ancora Ronnie (fratello di Tom), uomo taciturno e solitario, restio ai contatti umani. La vita di Tom e Gerri, e quella dei loro amici, viene dunque fotografata nell'arco di quattro stagioni (non il dipanarsi lento e allegorico del film di Kim ki-duk, ma quello veloce e frenetico della nostra società occidentale), durante il quale, tra una tazza fumante di tè e un continuo fluire di vino, una nascita e una morte, le svolte positive di another year (un altro anno) si affiancheranno a quelle negative, ricalcando il tipicamente mutevole corso della vita.

Le anime buone di Leigh

La prima inquadratura getta un ponte fisionomico tra questo film e Il segreto di Vera Drake, indugiando in un primo piano sofferente di Imelda Staunton, l'inconsapevole mammana protagonista del succitato film, che nei minuti iniziali presta il suo volto a una donna sofferente d'insonnia e della vita, cui ne sostituirebbe volentieri un'altra. Forse proprio quella, successivamente narrata, vissuta da Tom e Gerri (magistralmente interpretati da Jim Broadbent e Ruth Sheen), ebbra di soddisfazioni e amore, ma che tuttavia non è la vera protagonista del film. È sullo sfondo di contraddizioni o amarezze sociali che Leigh ama far muovere le sue ‘persone buone', anime mosse da buoni sentimenti (come Vera Drake) o inesorabilmente positive (come la Poppy di Happy Go Lucky) che pur osteggiate da condizioni avverse, non rinunciano a un sorriso, a inseguire il ‘bene' o alla loro capricciosa indole. È il caso di Mary, l'amica instabile di Gerri, con un matrimonio finito e molti falsi amori alle spalle, incapace di rimettere in piedi la propria vita, e per questo gelosa dei suoi pochi affetti fino all'ossessione. Un personaggio di grande complessità umana, all'apparenza invidioso, ma capace di contagiare con la sua inesauribile simpatia, che finisce per essere (grazie anche alla superba interpretazione di Lesley Manville) la vera ruota motrice di tutto il film, attorno alla quale si muovono i destini degli altri, che Mary osserva con invidia o tenerezza, gioia o compassione. Dunque ancora una volta un'anima buona o comunque priva di malizia, capace di animare ogni situazione con splendida naturalezza.

Punti di vista

Impossibile non dare a Leigh ciò che appartiene a Leigh. Lo stile precipuo del regista inglese è inconfondibile anche in quest'ultimo lavoro, con inquadrature strette sui volti, o inquadrature parziali a scovare i dettagli, sempre sostenute da dialoghi incalzanti e mai stonati, attraversati da un umorismo denso e reale. Regista abilissimo nello sfruttare il contesto sociale per costruire mondi a volte desolati e di una cupezza desolante, eppure in grado di rischiararsi con una semplice parola, un abbraccio catartico, o un sorriso. Mondi sempre ricchi di quelle esistenze (qualcuno li ha definiti gli invisibili di Leigh) che di solito non abitano i film, ma che forse hanno molto più da dire dei soliti personaggi, che spesso e volentieri soffrono di duplicità molto umane (incarnando a un tempo bene e male), e dei quali è impossibile dire realmente di che pasta siano fatti.

Rimescolando sempre al meglio delle loro possibilità i suoi attori feticcio (Jim Broadbent, Ruth Sheen, Imelda Staunton Lesley Manville, tanto per citarne alcuni), Leigh offre sempre il ritratto di realtà dalle doppie chiavi di lettura (l'altruismo colpevole di Vera Drake, il controverso ottimismo di Poppy e, in questo caso, l'opinabile buonismo di Tom e Gerri). Con subdola perizia, infatti, il regista inglese costruisce la perfetta coppia di anziani impeccacbili e amorevoli, dalla quale però traspaiono, occasionalmente, gesti o atteggiamenti controversi che inducono lo spettatore a chiedersi se siano davvero una coppia buona e generosa che si prodiga ad aiutare gli amici meno fortunati, o piuttosto una coppia boriosa e di un buonismo autoreferenziale che nell'infelicità degli altri trova la propria armonia, la possibilità di ergersi a paladina degli infelici. La duplice chiave interpretativa proietta lo spettatore nelle ipocrisie della propria vita, lasciandolo, mentre le voci si fanno sempre più sottili e il senso di solitudine sempre più denso, a indugiare sull'ultima, significativa inquadratura di un bicchiere. Alcuni lo vedranno mezzo pieno, altri mezzo vuoto.


Another Year Il due volte Palma d'oro regista Mike Leigh (nel '93 per Naked e nel ’96 per Segreti e bugie), dopo la ‘felice’ parentesi di Happy go lucky, torna a focalizzare la sua attenzione sui disagi esistenziali delle persone comuni, buone, felici o infelici. Analizzando il corso di diverse esistenze umane che s’intrecciano nell’arco di un anno (il tempo che passa, le stagioni che mutano), Leigh ci offre un ritratto reale e intenso (dalle molteplici chiavi di lettura) del nostro mondo variegato, animato da persone e sentimenti controversi, ma sempre scandito dalle medesime gioie e dai medesimi dolori. Forse un po’ meno penetrante in quanto più corale di altri suoi film, rimane comunque un affresco societario di indubbia qualità umana e artistica.

7.5

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