Recensione Amici miei

Ugo Tognazzi, Gastone Moschin, Duilio Del Prete, Phlippe Noiret e Adolfo Celi sono in Amici miei cinque inseparabili compagni d'avventure che, piuttosto immaturi, trascorrono le giornate all'insegna di feroci scherzi.

Recensione Amici miei
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Sebbene la regia sia di Mario Monicelli, leggiamo "un film di Pietro Germi" in apertura della circa ora e cinquanta di visione; perché, accompagnato dalla voce narrante di Renzo Montagnani, Amici miei (1975) doveva essere diretto proprio dall'autore di Divorzio all'italiana (1961) e Signore e signori (1966), anche responsabile della sceneggiatura al fianco di Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi e Tullio Pinelli, ma prematuramente scomparso poco prima dell'inizio delle riprese.
Un Renzo Montagnani che non vediamo in scena, in realtà, ma presta la voce a Philippe Noiret, ovvero il redattore capo di cronaca Giorgio Perozzi, facente parte di un quartetto di inseparabili compagni d'avventure fiorentini che, tutt'altro che propensi a prendere la vita sul serio e ad abbandonarsi al grigiore della mezza età, trascorrono le giornate escogitando zingarate nei dintorni della città e scherzi a poveri malcapitati.
Quartetto di cui fanno parte l'architetto Rambaldo Melandri, alla perenne ricerca di una donna, Guido Necchi, che gestisce un bar in compagnia della moglie, e il conte decaduto Raffaello Mascetti, rispettivamente con le fattezze di Gastone Moschin, Duilio Del Prete e Ugo Tognazzi.

Germi della Commedia all'italiana

Quattro memorabili performance cui si aggiunge strada facendo quella altrettanto memorabile di Adolfo Celi nei panni del primario d'ospedale Alfeo Sassaroli, destinato ad entrare a far parte della scatenata combriccola che non rinuncia ad imbucarsi a cene in lussuose ville e ad andare a schiaffeggiare i passeggeri affacciati ai finestrini del treno in partenza alla stazione.
Una sequenza, quest'ultima, entrata immediatamente nella storia della risata tricolore su schermo, ma facente parte, in verità, di un elaborato non volto in maniera esclusiva alla comicità ed attraversato da una forte vena d'amarezza come un po' tutta la Commedia all'italiana, della quale rappresenta il canto del cigno insieme al successivo Febbre da cavallo (1976) di Steno.
Del resto, man mano che viene precisato che il genio è fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione e che non poco divertimento è garantito dalla frase priva di senso logico della supercàzzola, utilizzata per sbeffeggiare qualcuno all'occorrenza, non risultano assenti neppure situazioni decisamente drammatiche o stracolme di cinismo (si pensi soltanto al tentativo di suicidio col gas da parte della moglie di Mascetti, incarnata da Milena Vukotic, o al momento in cui la stessa, sola in mezzo alla neve con la figlia, telefona al marito senza immaginare che se la stia spassando insieme all'amante Titti alias Silvia Dionisio).
Due anime della pellicola che, ulteriormente complice l'ottima colonna sonora di Carlo Rustichelli, rivelano un perfetto bilanciamento tra loro testimoniato, inoltre, dal geniale misto di lacrime e sghignazzi posto al culmine degli ultimi dieci minuti da pelle d'oca.
Un perfetto bilanciamento dovuto senza alcun dubbio all'origine germiana, in quanto - senza tenere in considerazione il tardo prequel Amici miei - Come tutto ebbe inizio (2011) di Neri Parenti - non più riuscito né nell'eccessivamente cattivo Amici miei - Atto II° (1982), firmato dallo stesso Monicelli, né in Amici miei - Atto III° (1985) di Nanni Loy, patetico campionario di disgustose e volgari burle compiute dagli ormai anziani protagonisti.


Amici miei Forse lo scherzo con gangster a Nicolò Righi alias Bernard Blier appare tirato un po’ troppo per le lunghe e qualche piccola svista (si noti come la salma sul letto, nella fase conclusiva, respiri in maniera evidente) fanno sì che non venga considerato un capolavoro al pari di altri illustri esempi della Commedia all’italiana, ma, a quarant’anni dalla sua uscita nelle sale, Amici miei (1975) è una storia di amicizia virile che rimane sia una delle più alte vette toccate dal filone, sia una delle migliori prove registiche di Mario Monicelli, premiato con il David di Donatello come pure il protagonista Ugo Tognazzi. Merito sicuramente delle cinque memorabili performance sfoderate dagli interpreti principali, ma anche e soprattutto del fatto che il film è stato ideato e scritto dal Pietro Germi che lo avrebbe dovuto dirigere se la malattia non lo avesse strappato alla vita, cui si deve, con ogni probabilità, la capacità di bilanciare perfettamente risata e dramma (d’altra parte, stiamo parlando di colui che, dopo il precursore monicelliano I soliti ignoti, tracciò in maniera definitiva la linea della Commedia all’italiana tramite Divorzio all’italiana).

9

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