American Gangster: Recensione del film di Ridley Scott

Ridley Scott torna nelle sale con American Gangster, epopea che narra la storia di un gruppo di criminali alle prese con la giustizia...

American Gangster: Recensione del film di Ridley Scott
Articolo a cura di

Frank Lucas (Washington) è un uomo che s'è fatto da solo. Dopo aver passato quindici anni a fare il galoppino di un importante uomo d'affari di Harlem, riesce finalmente a mettersi in proprio e ad avviare il suo business familiare. C'é un solo problema: Frank, come il suo maestro prima di lui, fa soldi con la droga. E non con una droga qualsiasi, con l'eroina. Purissima, che importa direttamente dalla Cambogia, grazie al supporto logistico di alcuni militari americani corrotti di stanza in Vietnam.Anche Richie Roberts (Crowe) s'è fatto da solo, è uno dei pochi poliziotti della contea di New York a non aver mai intascato neppure una mazzetta. Ed ha un obiettivo. Distruggere l'impero criminale delle grandi famiglie mafiose. Durante le sue indagini, però, si renderà ben presto conto che il vero boss non è il classico immigrato italiano, ma un gangster nero nato in North Carolina. Un gangster Americano.

Scott porta sul grande schermo la storia vera di Frank Lucas, l'uomo che negli anni settanta dominò la scena criminale newyorchese ed assunse il controllo di quasi tutto il mercato degli stupefacenti mondiale. L'eroina di Frank, la blue magic, era purissima e venduta ad un prezzo enormemente inferiore a quello praticato dalle famiglie criminali ortodosse. Pare che il nostro "eroe" all'apice della sua carriera guadagnasse qualcosa come un milione di dollari al giorno, solo con lo spaccio nell'isolato della 116 strada.Lucas riuscì addirittura nell'impresa di tagliare fuori tutti gli intermediari del mercato nero, andando a rifornirsi direttamente dai produttori del sud est asiatico, costruendo un'organizzazione che farebbe invidia a qualsiasi multinazionale.Il regista costruisce una vicenda densa ed appassionante, ma secca nell'esposizione e nei tempi; i ritimi sono sincopati e le sequenze si alternano in un continuo rimando fra la vita di Frank, lussuosa ma vuota, e l'esistenza di Richie, povera ma con un'ideale. Scott ha limato il film fino all'ultimo briciolo di celluloide, nulla è superfluo, neppure un'inquadratura ed 156 minuti necessari alla visione sono perfetti, non uno di più, non uno di meno. Tutta l'opera è giocata in ambienti claustrofobici e sul meccanismo del campo-controcampo, rendendo lo spettatore partecipe dello squallore della vita delle periferie. Solo una volta Scott usa un campo lungo, quando fa entrare Richie a Manhattan, dove il primo piano sulla macchina si apre in una spendida panoramica della Downtown. Poi basta, si torna negli ambienti angusti e bui della malavita e della polizia, con il loro fumo denso, e la loro generale tristezza.La sceneggiatura, del pluripremiato Steve Zaillian, regge perfettamente il gioco della regia in un susseguirsi di battute sempre credibili e dialoghi destinati a fare la storia del genere (soprattutto quello finale fra Richie e Frank in carcere).Insomma, il regista di Blade Runner pare riuscito nella titanica impresa di risollevare dalle polveri un genere che credevamo avesse esaurito il suo potenziale trent'anni fa, con i capolavori di Coppola e de Palma. Ed invece no, Scott ha reinventato il gangster movie senza minarne le basi poetiche ed anzi restituendogli la dignità di grande classico del cinema. Innumerevoli sono, da questo punto di vista, i rimandi ad opere più o meno recenti, da Il Padrino a Scarface, passando per Gli Intoccabili. Tuttavia l'ultima opera di Ridley Scott supera i suoi, pur importanti, predecessori, riuscendo ad approfondire tematiche totalmente nuove: Frank è un criminale, è vero, ma non riusciamo a non provare pena (ed a volte ammirazione) per lui, stretto fra degli ideali che è convinto di onorare ed una vita che lo sta conducendo nell'abisso. Allo stesso modo Richie è buono ma non simpatico, non riusciamo ad affezionarci a lui come vorremmo, un po' per i suoi metodi, un po' per il suo essere spocchioso nei confronti di qualsiasi collega. E' in questo paradosso che il film trova la sua maggior forza.

La scelta degli attori è ottima: Crowe ormai fa coppia fissa con Scott (dopo Il Gladiatore e Un'Ottima Annata), e Washington si conferma ancora una volta un artista dalle infinite possibilità. Diciamo che se Crowe si gioca un po' il solito ruolo del buono senza se e senza ma, Washington invece ci regala un Frank Lucas partecipato e sofferto, in grado di incollare allo schermo anche lo spettatore più restio. Grandiosi anche i comprimari (soprattutto il detective, corrotto, Trupo) che incarnano perfettamente lo spirito ed il modo di fare dei ruggenti settanta senza scadere mai nella macchietta.

American Gangster American Gangster è un grande film. Segna nuovi standard per il genere ma riesce anche a spingere un po’ più avanti l’intera arte cinematografica, al giorno d’oggi sempre più asfittica ed auto-referenziale. Scott dimostra ancora una volta come il grande cinema sia pronto a stupire e a far riflettere. Sempre con la stessa forza e sempre con la stessa struggente bellezza.

9

Che voto dai a: American Gangster

Media Voto Utenti
Voti: 70
7.4
nd